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“Bif&st”, una sedia vuota a sostegno del regista Panahi e del popolo iraniano

Il regista iraniano Jafar Panahi, arrestato dal regime, sarà il presidente onorario della giuria internazionale del “Bif&st” in programma a Bari. Sarà presente con una sedia vuota. Come Panahi sono tanti gli artisti imprigionati o condannati a morte per le proteste contro il governo degli ayatollah dopo l’assassinio della giovane Mahsa Amini

di Emiliano Moccia

Una sedia vuota destinata a fare rumore, a far sentire la sua voce. La voce di chi chiede libertà e rispetto dei diritti umani. Perché Jafar Panahi, anche se arrestato dal regime iraniano e rinchiuso in carcere per “propaganda contro il sistema”, sarà il presidente onorario della giuria internazionale del “Bif&st 2023” che si svolgerà a Bari dal 24 marzo al 1° aprile. Il regista iraniano imprigionato nel luglio scorso mentre protestava contro il governo per l’arresto dei suoi colleghi Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad, sarà presente al Bari International Film Festival attraverso quella sedia vuota a cui è affidato il suo messaggio. Al suo fianco, siederanno gli altri sei membri della giuria. Non solo. Il primo dei 12 film in concorso, “No End di Nader Saeivar”, si ispira proprio alla figura di Panahi che ne ha curato anche il montaggio.

La decisione di Felice Laudadio, direttore del “Bif&st”, nasce per chiedere «l’immediato rilascio dalla prigione, e a sostegno della lotta del popolo iraniano contro il feroce regime degli ayatollah». Vincitore con i suoi film di numerosi riconoscimenti nei festival di Venezia, Cannes, Berlino, Locarno, San Sebastian, Tokyo il regista Jafar Panahi, è stato condannato a sei anni di carcere «ad opera dello spietato governo iraniano che sta brutalmente reprimendo le proteste popolari esplose nel Paese dopo l’assassinio della ventiduenne Mahsa Amini, massacrata di botte». Il “Bif&st 2023”, dunque, vuole diventare una nuova occasione per tenere alta l’attenzione sulla violazione dei diritti umani e sulle violenze che da settimane scuotano le città iraniane per contenere le proteste scaturire dopo la morte, a metà settembre, della giovane curda, colpevole di aver indossato l’hijab in modo sbagliato. La sua morte è diventata il simbolo della violenza contro le donne sotto la Repubblica islamica dell’Iran, aprendo nuove forme di protesta nei confronti del regime degli ayatollah guidati da Ali Khamenei.

Tanti gli artisti che, come Panahi, stanno pagando sulla loro pelle il prezzo delle loro idee e del loro senso di opposizione. Registi, attori, cantanti. L’artista iraniano di 23 anni Mohsen Shekari, lo scorso mese di dicembre, è stato riconosciuto colpevole di “guerra contro Dio” dal tribunale della rivoluzione islamica di Teheran. E’ stato condannato a morte ed impiccato per aver preso parte alle recenti proteste antigovernative. A novembre, invece, sono state arrestate due famose attrici, Hengameh Ghaziani e Katayoun Riahi, con l’accusa di essersi mostrate in pubblico senza velo per esprimere solidarietà ai manifestanti contro il regime. Mentre solo qualche giorno fa l’attrice Taraneh Alidoosti è stata rilasciata grazie a una cauzione di 225.000 euro. La co-protagonista del film premio Oscar “Il cliente” era stata arrestata il 17 dicembre nella sua abitazione di Teheran perché si era mostrata in foto senza hijab e con in mano un cartello con la scritta (in curdo) “Donna, vita, libertà”.

Il rapper iraniano Tomaj Salehi, che nelle sue canzoni denuncia la violenza del regime iraniano e si è schierato a sostegno delle manifestazioni dopo la morte di Mahsa Amin, è stato arrestato nelle settimane scorse. E’ stato anche costretto a realizzare una video-confessione in cui si dichiara pentito per quanto fatto. Destino peggiore per il rapper curdo Saman Yasin, che dopo aver pubblicato canzoni critiche nei confronti del governo è stato condannato alla pena capitale dopo essere stato riconosciuto colpevole di “guerra e corruzione” dalla Corte islamica. La situazione è drammatica, perché oltre agli artisti sono tanti i cittadini, soprattutto giovani, che stanno subendo violenze e torture o che vengono uccisi per le loro posizioni in difesa della libertà. Secondo l'organizzazione non governativa con sede ad Oslo Iran Human Rights 109 persone, arrestate durante le dimostrazioni anti governative in corso da quasi quattro mesi nel Paese, rischiano di essere condannate a morte o giustiziate.

Anche per questo, quella sedia vuota al “Bif&st” di Bari vuole contribuire ad accendere attraverso il cinema i riflettori della comunità internazionale su quanto sta avvenendo in Iran e sulla sorte di quanti al pari del regista Panahi si oppongono apertamente al regime, rischaino la loro vita o venendo privati della loro libertà. Perché in ballo c’è la vita di tanti, di troppi. «Teheran» dice Volker Turk, Alto commissario Onu per i diritti umani «sta usando la pena di morte come arma per punire la popolazione che esercita i suoi diritti di base, come quello di organizzare o partecipare a manifestazioni, e schiacciare il dissenso».

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