Migranti e Politica
Biffoni: «Sui migranti pronti a collaborare, ma non ci chiedano di stare zitti»
Ci sono migliaia di posti vuoti nel Sistema Accoglienza Integrazione-Sai di Anci e Viminale, ma il Governo ricorre all'accoglienza straordinaria scaricando migliaia di persone migranti nei territori comunali. Ammassandoli in grandi strutture e senza progetti di accoglienza. Parla il delegato nazionale immigrazione dell'Associazione nazionale comuni italiani
La voce dei sindaci in questa estate si è levata forte e chiara, da destra e da sinistra, da nord a sud: un secco “no” al metodo di gestione “straordinaria ed emergenziale” degli arrivi delle persone migranti sul territorio italiano. Con il “decreto Cutro” il governo Meloni ha, infatti, ristretto le maglie delle persone che possono accedere ai Sai. I Centri di accoglienza straordinaria-Cas sono stati “impoveriti” e la situazione sta diventando insostenibile.
Eppure in Italia un sistema di accoglienza che funziona c’è. Un sistema che consente ai Comuni di decidere se accogliere, chi accogliere. Un sistema pubblico a governance multilivello finanziato dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo: quindi soldi pubblici che devono essere spesi e rendicontati secondo regole severe e con controlli costanti da parte del Servizio centrale. Il Sai ha una lunga e tormentata storia: arriva dal 2001, dal Programma nazionale asilo-Pna, che poi nel 2002 è diventato Sistema per la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati-Sprar, che nel 2018 si trasforma in Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per minori stranieri non accompagnati-Siproimi e che dal 2020, appunto, si converte in Sistema accoglienza e integrazione. Il punto di forza di questo sistema pubblico è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata si avvalgono del prezioso supporto delle realtà del terzo settore, garantendo interventi di accoglienza integrata che, oltre ad assicurare servizi di vitto e alloggio, prevedono in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico.
Ma il governo Meloni lo ha depotenziato. Ne parliamo con Matteo Biffoni, sindaco di Prato e Delegato nazionale immigrazione dell’Associazione nazionale comuni italiani-Anci, che nei giorni scorsi ha lanciato più volte un “allarme sostenibilità” della situazione dell’accoglienza nei Comuni italiani.
È da tanto che noi sindaci diciamo di uscire dalla “emergenzialità” per entrare in una logica “strutturale” dell’accoglienza.
— Matteo Biffoni
Sindaco Biffoni, cosa sta succedendo? I sindaci non vogliono più accogliere le persone migranti? Nelle ultime settimane lei ha dichiarato “È saltato tutto”: ci spiega?
Quando si dice che il sistema sta saltando è perché i numeri degli arrivi e quelli delle uscite non corrispondono più, gli spazi si sono esauriti a causa dell’esplosione dei dati. L’anno scorso erano 49mila arrivi, adesso siamo oltre 105mila senza che ci sia stata una progettazione. Questo ha creato un sistema che sta tracimando. Questo governo ha solo complicato le cose attraverso il Decreto Cutro, ma è da tanto e noi sindaci diciamo di uscire dalla “emergenzialità” per entrare in una logica “strutturale” dell’accoglienza. Noi sindaci non è che non vogliamo più accogliere. Noi vogliamo accogliere facendo però le cose per bene: non mettendo in difficoltà le persone che arrivano e mettendo in difficoltà i territori che accolgono. Quindi diciamo fermiamoci, fermiamo le macchine perché non siamo in grado di dare risposte all’altezza di questa sfida.
Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale, oggi assessore regionale campano, ha dichiarato a “il Manifesto” che «I progetti Sai gestiti dal servizio centrale dell’Anci assicurano percorsi di integrazione e inclusione. E prevedono la responsabilità politica del sindaco. Non è una cosa da poco». Perché allora il sistema Sai non ha funzionato? Perché non ha “attecchito” nella cultura della governance dell’accoglienza?
Non è che non ha attecchito perché comunque non si parla di circa 45mila persone che stanno dentro un progetto. Ma si torna al discorso di prima: se non si esce dalla “logica emergenziale” e si comincia a ragionare in termini “strutturali”, è chiaro il Centro di accoglienza straordinaria-Cas continuerà ad essere il baricentro della situazione, anche perché è uno strumento flessibile nelle mani dei prefetti che in questo momento devono riuscire a governare questo tipo di fenomeno. Ecco perché in realtà in Italia il Sai non è ancora “parte centrale” dell’accoglienza.
Non pensa che ci sia una “responsabilità politica” nel non avere comunicato a sufficienza l’esistenza dei Sai? Tanti sindaci che abbiamo sentito ci dicono che neanche lo conoscevano. Forse agli inizi non si voleva dire che un’idea della Bossi-Fini, quindi della destra, era comunque “una buona idea”?
Ma onestamente non lo so come mai c’è questa assenza di conoscenza perché noi, almeno quando sono io il responsabile immigrazione di Anci, lo abbiamo detto in tutti modi, ci siamo battuti contro il centrodestra, quando i decreti Salvini hanno smontato un intero sistema. Abbiamo fatto sempre un grande lavoro di coinvolgimento dei sindaci, la prova è nei numeri che citavo prima. Ancora c’è da fare, certo, ma qui c’è anche un problema di carattere politico perché l’immigrazione è una delle questioni su cui è più facile perdere consenso o sicuramente è molto difficile guadagnarne. Quindi c’è un “rendiconto psicologico” che un po’ blocca tanti sindaci, anche se tutti sappiamo benissimo che un progetto Sai, se fatto bene, porta ricchezza e servizi, qualifica il territorio.
Quanti posti vuoti ci sono nei Sai?
Posti vuoti, credo circa 1.500. Ma sono dati ballerini perché le persone entrano ed escono. Tenga presente che se sono progetti destinati a donne non ci si possono inserire uomini, se sono progetti destinati a famiglie non si possono inserire persone singole, se una persona è stata in un Cas in una città non può andare in un Sai in un’altra o viceversa. In più, il decreto Cutro ha impedito d’ingresso nel sistema di accoglienza ai richiedenti asilo e questo ovviamente ha reso più complicato, paradossalmente, saturare i posti.
Quante domande di attivazione Sai restano inevase per la chiusura delle “finestre” di presentazione progetti?
Penso qualche migliaio, ad esempio penso ai 4mila posti per i Minori stranieri non accompagnati-Msna che eravamo pronti ad attivare, più qualche migliaio che non viene attivato per l’inerzia del sistema, per l’incapacità del sistema di essere rispondente ai criteri e alle necessità dei comuni e anche alle loro sollecitazioni. Perché poi tenga presente che c’è sempre una questione economica, ci vogliono i fondi, e questo ovviamente comporta anche delle scelte di carattere politico perché i soldi sono quelli che sono e quindi ci vuole una scelta politica.
Sono un po’ arrabbiato anche col mio partito, ma questa potrebbe essere l’occasione per rimettersi insieme, togliere l’immigrazione dalla campagna elettorale e riscrivere completamente il testo unico.
— Matteo Biffoni
La Bossi-Fini deve in qualche modo essere rivista…
Lo ha detto Fini stesso: la legge è obsoleta. Io l’ho sempre detto dal 2015 e sono un po’ arrabbiato anche col mio partito perché ci vuole la forza di metterci mano e riscrivere completamente le regole del gioco. La crisi che sta vivendo questo governo di centro-destra che in campagna elettorale diceva “porti chiusi, basta sbarchi” potrebbe essere l’innesco giusto per mettersi tutti quanti intorno a un tavolo e scrivere quelle che sono complessivamente le linee guida della gestione dell’immigrazione. Non risolveremo tutto, ma sicuramente si supererebbero il caos e l’improvvisazione che purtroppo si stanno vedendo in questi anni. Questo governo ha l’aggravante di avere promesso in campagna elettorale cose che non potevano essere mantenute, lo sapevamo tutti, ma non è che gli altri abbiano fatto esageratamente meglio. Dobbiamo riscrivere la legge e questa potrebbe essere l’occasione, appunto, per rimettersi insieme, togliere l’immigrazione dalla campagna elettorale e riscrivere completamente il testo unico.
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Cosa chiedete al Governo e su cosa, invece, i sindaci dovrebbero cedere?
Ora c’è una contingenza su cui le scelte sono solo governative. I sindaci stanno già dimostrando generosità, abbiamo fatto di tutto di più. Poi, ad un certo punto, l’arrabbiatura che attraversa il Nord come il Sud, i sindaci di centrodestra e di centrosinistra, i comuni grandi e quelli più piccoli, dimostra oramai che il livello di sopportazione dei sindaci complessivamente è saltato e non ce la facciamo più. Lo Stato deve fare delle scelte che abbiamo più volte detto: Hub di primissima accoglienza per i minori, rinforzare il sostegno economico e, quindi, la tutela delle persone dentro ai Cas nei quali introdurre la tutela legale, la formazione linguistica, la formazione professionale. Evitare, insomma, di lasciare andare in strada persone che non sono nelle condizioni. Insomma, io non penso proprio che i Comuni debbano cedere più qualcosa perché, tra l’altro, stanno anticipando milioni di euro soprattutto sugli Msna.
Qual è il vostro punto di mediazione possibile?
Come Anci noi non abbiamo nessuna voglia di litigare “a prescindere”. Io da quando ho questa delega ho litigato e discusso con governi di centrodestra e con quelli di centrosinistra o con quelli tecnici. La mia volontà di collaborare è totale. Quindi, se il governo vuole noi siamo a disposizione perché a noi interessa risolvere i problemi, ma non ci possono chiedere di stare zitti di fare finta che vada tutto bene perché, rappresentando i sindaci di tutta Italia e vedendo quanta difficoltà stanno vivendo tanti territori, noi abbiamo il dovere di dirlo con tutta la forza possibile perché quello che accade è sotto gli occhi di tanti, troppi sindaci.
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