Cultura

Biennale: cronache trasversali del cinema liquido

Il film di Sono Sion scorre rosso, copioso e dannatamente liquido e perduto, quasi a metafora dello stato del cinema internazionale. Così come lo smarrimento ancor più evidente nello statunitense Night Moves di Kelly Reitchard, e nel George Clooney di Gravity. Il cinema se n'è andato dalla realtà?

di Redazione

Scorre rosso  ed ironico il sangue nel giapponese ma tarantiniano Jigoku de naze warui (Why Don't you Play in Hell?) di Sono Sion, presentato  a Venezia, nella sezione Orizzonti, rosso, copioso e dannatamente  liquido e perduto, quasi come metafora dello stato del cinema internazionale. In apertura della Mostra il progetto speciale Future Reloaded (70 cortometraggi per i 70 anni della mostra), lodevole non fosse altro per il rilancio e l' attenzione dedicata al film breve d' autore, Catherine Breillat aveva evidenziato in maniera elegante lo "smarrimento" del cinema  di fronte al futuro in un mirabile schetch di soli 98 secondi, ironizzando su sé stessa e sul cinema d' autore attraverso un gruppo di ragazzi che cerca un cinema per divertirsi e non certo "per vedere un film della Breillat". Due ore sono servite al regista giapponese per sciorinare un repertorio ormai classico di pulping, in cui il sorriso ebete dello yazuka sorpreso in azione dalle telecamere e lusingato è l' antipasto di un finale rissoso e belushiano in cui "tutti guardano dentro le telecamere" e "siamo giapponesi usiamo la spada", quasi metafora dello smarrimento e della con-fusione tra realtà e fiction:  cinema liquido appunto, ed eccessivamente autoriflettente.

Smarrimento ancor più evidente nello statunitense Night Moves di Kelly Reitchard, film lento e denso, storia di un attentato ecologista dai contorni torbidi ed indefiniti, con un finale amaro e soprattutto con torti e ragioni ideologiche mal distribuite e dai contorni incerti, a riprova dello smarrimento ideologico del mondo contemporaneo che tocca trasversalmente e drammaticamente tutte le tematiche.

Difficile ipotizzare che una società quantomeno incerto e smarrita con quella attuale possa produrre una imago mundi differente da quella che pare emergere dalle prime pellicole proiettate, con il paradossale ed imbarazzante George Clooney di Gravity (regia di Alfonso Cuaròn) e disancorarci dal reale per perderci nel nulla.

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