È il colpo di coda del 2013. Un po’ come capita per libri e dischi, anche la migliore buona pratica d’impresa sociale salta fuori a dicembre inoltrato, durante un seminario a Venezia sulla finanza sociale. Si tratta di hugbike, una bici che facilità la mobilità delle persone autistiche (e non solo) grazie a un telaio che, come dice il nome, consente di abbracciare la persona. Idea semplice e, forse proprio per questo, efficace.
Oltre che di prodotto l’innovazione di hugbike è anche di processo. La bici è frutto di una rete “unsectored”, cioè che coinvolge soggetti appartenenti a settori economici ed istituzionali diversi, ma con una cosa in comune: il territorio. A far da capofila una banca di credito cooperativo che non si è limitata “a fare il suo mestiere” di banca in senso stretto, ma ha agito piuttosto come agenzia di sviluppo che ha coalizzato le risorse e i talenti giusti per questo progetto: cooperative sociali, associazioni, agenzie di comunicazione (a proposito, ottimo l’apparato informativo) e, non ultimo, artigiani locali esperti nella costruzione di biciclette.
Insomma un’esemplificazione di quel che significa, oggi, fare rete e che è stato ben sintetizzato in termini più astratti da un post che candido – pure lui – nella classifica delle migliori indicazioni di management dell’innovazione sociale. Otto “powerfull lessons” per i costruttori di rete e che nella versione originale sono twittabili una ad una (una chicca). Le riassumo di seguito in salsa hugbike:
1) assegnate alle reti uno scopo preciso,
2) definite un modello organizzativo,
3) fiducia come ingrediente base,
4) esplicitare fin da subito l’assetto di governance,
5) preoccuparsi di creare un valore condiviso e rendicontabile,
6) non solo interessi comuni, ma anche conoscenza ed esperienza,
7) lavorare sulla comunicazione e sulle tecnologie più adatte allo scopo,
8) mantenere la focalizzazione anche rinunciando a crescere troppo.
Comincerei da qui il 2014 dell’impresa sociale. Da una bici che incorpora innovazione sociale pronta a essere scalata. Scommettiamo che se fosse finita su una piattaforma internazionale di crowdfunding avrebbe potuto raccogliere facilmente le risorse economiche per il prototipo? Del resto vedrei bene sfrecciare hugbike non solo tra le campagne della marca trevigiana – dove è stata ideata – ma anche per le ciclabili di qualche metropoli “smart”.
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