Welfare

Bettoni: «Le donne più vittime di quanto si pensi»

Anmil dedica uno studio agli infortuni sul lavoro che colpiscono le lavoratrici che si intitola “Prendersi cura di chi ci cura - La sicurezza e la tutela sul lavoro delle donne che operano nel campo dell’assistenza sanitaria”

di Carmen Morrone

La ricerca evidenza come la Sanità rappresenti un settore in cui l’incidenza infortunistica femminile è superiore a quella maschile sia in termini assoluti che relativi. Nel quinquennio 2009 – 2013, a fronte di una flessione generale del 25% circa, nel settore della Sanità il calo è risultato più contenuto: in particolare per le donne gli infortuni sono scesi dai circa 37.000 del 2009 ai 31.900 del 2013 per una riduzione pari al 13,7%.

«Il fenomeno infortunistico lavorativo riguarda purtroppo anche le donne. Tra i tanti temi affrontati, quest’anno abbiamo voluto puntare l’attenzione sui rischi (vecchi e nuovi) presenti in Sanità, con una ricerca che riguarda i profili di maggiore vulnerabilità per le lavoratrici: quei rischi emergenti e più allarmanti per le statistiche e per la medicina (lo stress da lavoro, la violenza e le aggressioni, i disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico), in un contesto normativo che a tali fattori non appresta ancora un quadro di tutele completo e dettagliato», afferma Franco Bettoni, presidente ANMIL.

«Oltre 15 anni fa in ANMIL nasceva il Gruppo donne per le politiche femminili  – aggiunge Bettoni – e da allora organizziamo eventi e promuoviamo iniziative mirate a mettere in rilievo le problematiche e le questioni di loro specifico interesse»

La presenza femminile nel settore della Sanità raggiunge, oltre il 70% del personale (circa 850.000 unità su un totale di addetti assicurati pari a circa 1,2 milioni) e dalla ricerca emerge che la maggior parte degli infortuni sul lavoro, 17.500 circa nel 2013 pari al 55% del totale, si verificano nelle Strutture ospedaliere o nelle Case di cura e nelle strutture di Assistenza sociale per anziani e disabili (28%).

È l’infermiera l’operatrice più colpita in assoluto da infortuni. Ogni anno le Infermiere subiscono infatti oltre 10.000 infortuni, pari al 32% del totale. In pratica, su tre operatrici sanitarie infortunate una è Infermiera.

La prima causa di infortunio per le donne che operano nella Sanità è rappresentata dalla “Caduta di persona” che conta nel 2013 circa 5.500 infortuni, pari al 23% del totale. Il 90% di tutte le malattie professionali denunciate dalle operatrici sanitarie riguarda l’Apparato muscolo-scheletrico ed osteo-articolare, ed è dovuto a sovraccarico biomeccanico, posture incongrue, movimenti scoordinati o ripetuti, ecc.

Dei 23.530 infortuni indennizzati nel 2013 alle operatrici sanitarie la stragrande maggioranza, ben 22.712 pari al 96,6% del totale, si è risolta con esiti di inabilità temporanea al lavoro.

Nel 2013, sono stati 4.000 i casi di infortunio di lavoratrici straniere. La comunità straniera di gran lunga più rappresentata è quella della Romania con oltre 650 infortuni nel 2013, pari al 16,1% del totale.

ANMIL per la festa della donna ha raccolto TESTIMONIANZE di lavoratrici del settore sanità. Eccone tre, scritte dalle stesse donne con parole efficaci e toccanti.

Mi chiamo Anna Maria, ho 58 anni, vivo in provincia di Bologna e dal marzo del 1997 ho avuto un infortunio sul lavoro che ha cambiato la mia vita, sia personale che lavorativa. Ero un’operatrice socio sanitaria (OSS), un giorno durante il turno di lavoro pomeridiano, stavo trasportando un paziente. Purtroppo, le ruote del lettino si erano incastrate tra le “guide” dell’ascensore proprio mentre stavo entrando con il paziente. A quel punto, essendo sola, mi è venuto spontaneo provare a sbloccarlo sollevandolo con tutte le forze, ma ho sentito una fitta fortissima, come un “crac” lungo la schiena. Quello che più mi colpisce, a distanza di diversi anni dal mio infortunio, non è solo il fatto che la mia vita sia cambiata nella gestione delle piccole e delle grandi cose, ma che all’epoca in cui mi sono fatta male, noi addetti non eravamo informati adeguatamente su questa tipologia di rischi presenti sul lavoro e che ancora oggi le cose non siano cambiate, nonostante le novità introdotte dalle normative di settore. Gli operatori non vengono educati e formati alla prevenzione dei disturbi muscolo-scheletrici nonostante il fenomeno sia molto allarmante nel nostro settore. Il senso di abbandono, di solitudine e di mancanza di prevenzione unito al sovraccarico di lavoro per la carenza di personale, è una condizione costante per la nostra categoria che deve essere affrontato e gestito.

Mi chiamo Concetta, ho 74 anni e sono pensionata. Per quarant’anni ho lavorato nel reparto di radiologia di un ospedale, fino a diventarne coordinatrice. Dal 1963 al 2006, anno in cui sono andata in pensione per anzianità, sono stata esposta ai raggi x mentre effettuavo, giorno dopo giorno, radiografie ai pazienti. Non ricordo esattamente quando ho iniziato a manifestare i primi sintomi derivanti dall’alterazione della cute delle mani: ho iniziato ad avere secchezza, la pelle si assottigliava sempre di più e diventava squamosa e rugosa perdendo di elasticità. Poi è iniziato il prurito e l’alterazione della colorazione. L’esposizione superiore ai limiti previsti dalla normativa ai raggi x mi ha causato anche problemi alla circolazione oltre ad una riduzione della sensibilità alle mani. La conseguenza peggiore sono stati i problemi alla vista dovuti dalla sclerosi del cristallino. Nel tempo sono diventata ben consapevole del fatto che le modalità di effettuazione degli esami diagnostici radiologici, a quel tempo, determinavano una esposizione molto elevata a questi tipi di rischio. Oggi per fortuna le cose sono diverse, grazie alle nuove norme e alle tecnologie. Mi ritengo certamente fortunata per aver ricevuto dall’INAIL quanto credo che mi spetti. L’INAIL mi è stata vicina e mi ha tutelato.

Mi chiamo Laura Uda, ho 44 anni, sono separata ed ho tre figli. Mi sono infortunata nel 2011, dopo la caduta sono svenuta e mi hanno trovato lì solo dopo un’ora. Dopo l’infortunio sono stata operata e dall’intervento è derivato l’accorciamento della gamba. Prima dell’infortunio solo un paio di volte mi hanno fatto partecipare a riunioni sulla sicurezza, ma queste riunioni riguardavano soprattutto la gestione sicura dei cibi e non tanto la prevenzione dei rischi per noi lavoratori.

 

 

 

 

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