Welfare

Bettoni (ANMIL): «La vicenda impone valutazione dei rischi security, dimenticati dal decreto 81»

Anmil sottolinea che l'esposizione dei lavoratori ad atti di criminalità endemica o terroristica è ormai un problema molto diffuso. E invita a colmare una lacuna normativa visto che il Testo Unico salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008) non disciplina espressamente e in modo inequivocabile la materia

di Redazione

«La recente scomparsa dei due operai italiani in Libia – ad oggi imputata ad un presunto sequestro di persona avvenuto nel corso dello svolgimento dell’attività lavorativa a bordo di un furgone – non è solo l’ennesima vicenda criminale che colpisce nostri connazionali all’estero. Infatti, oltre ai rilevanti profili penalistici, diplomatici e di relazioni internazionali e nell’attesa che ne vengano definiti meglio i contorni, questa vicenda riaccende i riflettori su un dramma ben più profondo: quello del lavoro, della sua ricerca disperata, della sua precarietà e della mancanza di tutele per la salute e la sicurezza dei lavoratori, specie in tempi di crisi economica come questi»,  dichiara il Presidente nazionale ANMIL Franco Bettoni a pochi giorni dalla notizia già scomparsa dalle pagine della cronaca.

Anmil fa sapere, in una nota,  che “Da quanto emerso dalla stampa nazionale e internazionale, i due uomini meridionali di origine calabrese, non avendo avuto opportunità di lavoro in Italia, si trovavano in Libia da alcuni mesi ad operare come tecnici per una azienda italiana, per l’esecuzione di opere nel settore edile e in condizioni contrattuali non meglio specificate. Oltre alla pericolosità delle lavorazioni, già tipiche del settore edile, pare che l’azienda datrice di lavoro, di piccole dimensioni, non fosse sufficientemente strutturata e solida al punto da far fronte a tutti gli adempimenti in materia di tutela della salute e sicurezza, ivi incluse le attività di prevenzione e protezione dai numerosi e gravi rischi di aggressioni criminose di terzi, ben noti e presenti sul territorio libico. Rischi che pur dovrebbero essere ordinariamente presi in considerazione da ogni datore di lavoro, ovunque operi la sua impresa".

«Quello dell’esposizione dei lavoratori ad atti di criminalità endemica o terroristica è ormai un problema molto diffuso, specie in quei settori produttivi che operano in territori a rischio – aggiunge il Presidente Bettoni -; basti pensare al caso della energia, dei trasporti, delle comunicazioni, e in generale quello delle infrastrutture critiche, in cui i cosiddetti rischi di security aziendale sono parte integrante dei processi produttivi e non possono essere ignorati dai datori di lavoro italiani, anche quando operano oltre i confini del territorio dello stato, come in questo caso».

Anmil continua: "Tuttavia, nonostante tali doveri siano pur riconosciuti dalla giurisprudenza e dal nostro codice penale, il cosiddetto Testo Unico di salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. n. 81/2008) non disciplina espressamente e in modo inequivocabile questo obbligo; così nonostante il grande sforzo normativo che pur è stato realizzato con un testo di legge di oltre trecento articoli, resta aperto un vuoto su questo tema. A ciò si aggiungono gli oltre venti decreti attuativi, dello stesso Testo Unico, rimasti ad oggi inattuati anche a causa della instabilità politica che ha caratterizzato il nostro paese negli ultimi anni.

Tra questi provvedimenti sospesi, tra l’altro, vi è anche quello sulla qualificazione nel settore dell’edilizia, che dovrebbe regolamentare un processo di selezione delle imprese tale da garantire l’applicazione di standard di sicurezza elevati e condizioni di lavoro regolari per tutti gli addetti.
A tutto questo continuano a fare da sfondo la crisi economica e la disoccupazione, in cui un posto di lavoro si arriva talvolta a barattarlo con condizioni di lavoro irregolari e insicure, anche in paesi ad alto rischio terroristico o a criminalità diffusa. Ci chiediamo dunque quanti lavoratori debbano ancora pagare prima che si possa proteggere, in modo pieno e sicuro, il lavoro ovunque esso si svolga e da qualunque tipo di rischio allo stesso riconducibile".

«La nostra associazione, che da sempre si batte per la sicurezza sul lavoro – precisa Bettoni – da più di un anno sta portando avanti una battaglia anche su questo delicato tema con un progetto volto ad ampliare il quadro normativo e a garantire la cogenza dell’obbligo di valutare e gestire i rischi di security aziendale. Da soli però non possiamo fare tutto: serve coesione e dialogo tra tutti gli attori interessati, sia pubblici che privati, perché fatti di cronaca come questi smettano di far parlare l’Italia sempre male di sé e perché il lavoro sicuro sia un diritto di tutti i nostri cittadini, ovunque operino nel mondo».


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