Non profit

Bertotto (Agire): «Le ong possono solo mettere cerotti»

di Paolo Manzo

Haiti “la terremotata”, con i suoi 250mila morti nel sisma del gennaio 2010, ma anche Haiti che ? dopo quasi cent’anni in cui il colera non mieteva vittime ? ha seppellito già 7.060 suoi figli mentre gli ammalati hanno superato quota 550mila, pari al 5% della popolazione. Lo ha scritto il New York Times, uscito con un reportage durissimo nei confronti dell’umanitario e delle Nazioni Unite ? responsabili, a detta del quotidiano Usa, di avere portato il colera nell’ex perla dei Caraibi che da ormai decenni guida la classifica della povertà, delle Americhe e del mondo.
E, soprattutto, Haiti “la dimenticata” perché «qui non c’è né uno Stato degno di questo nome, né ricchezze minerarie, né petrolio», si sfoga padre Mario, gesuita del Jsr – Jesuit Refugee Service, che denuncia il recente boom della tratta degli esseri umani verso la vicina Repubblica Dominicana. Il coordinatore Onu per le questioni umanitarie, Nigel Fisher, a fine marzo ha cercato di riportare l’attenzione del mondo sulla martoriata isola con un comunicato-appello: «Per garantire la continuità delle operazioni umanitarie nel 2012 è necessario un contributo di 231 milioni di dollari da parte della comunità internazionale, mentre sinora abbiamo raccolto solo l’8,5% della somma». Risultati scarsi, almeno in Italia dove, a parte Misna e Radio Vaticana, nessun altro mass-media ha raccolto l’allarme di Fisher.

I numeri ci sono
«Il disinteresse per Haiti non stupisce», spiega Marco Bertotto, direttore del coordinamento Agire che riunisce le più importanti ong internazionali italiane presenti da oltre due anni a Port-au-Prince. «Già lo scorso anno, dei 328 milioni di dollari chiesti per Haiti i donatori hanno versato poco più della metà, appena il 55%». Con ActionAid, Cesvi, Cisp, Coopi, Gvc, Intersos, Vis, Save the Children e Terre des Hommes ? le nove ong associate presenti ad Haiti ? sono stati in tutto un centinaio i progetti portati a termine negli ultimi 24 mesi. «Per la ricostruzione di 13 scuole, 2 orfanotrofi, 3 centri di salute, una mensa e uno spazio per lo sviluppo artistico è stato investito il 41% dei fondi da noi raccolti. Con il resto abbiamo realizzato 2.347 tra bagni, docce e latrine e 116 pozzi e pompe a mano, offerto tende, cibo, acqua potabile e kit di beni di prima necessità a 78.400 persone e fatto tanto altro», spiega Bertotto. Poi, non amando i giri di parole, va al cuore del problema: «Haiti oggi è solo apparentemente una sfida persa dalla comunità internazionale degli aiuti come ha scritto il New York Times», si sfoga, «perché in realtà non è così; se quel Paese è ancora in grave difficoltà a 28 mesi dal sisma non significa che l’umanitario non ha funzionato».

Cooperazione “emergente”
La questione va vista da tutto un altro punto di vista, secondo il coordinatore di Agire: «Il compito delle ong è di mettere bene un cerotto per curare la ferita, non guarire un Paese dalla sua malattia. Prima o poi spero si possa uscire dal paradosso che se gli aiuti internazionali non stabilizzano un Paese dandogli prosperità economica, il problema è nostro». In effetti, nel dicembre 2009 un rapporto dell’Onu su Haiti testimonia che il Paese versava già in una situazione disastrosa e, oggi, alcuni servizi sono persino migliori dell’epoca pre terremoto. «Il vero problema», si sfoga Bertotto, «è che dopo oltre 24 mesi di aiuti emergenziali o hai situazioni straordinarie dal punto di vista politico, come nel caso dei Territori Palestinesi dove da 60 anni la macchina umanitaria tiene, o il flusso di donazioni è destinato a calare».
Il vero problema è dunque politico, sia sul fronte della comunità internazionale che del governo haitiano. Oggi i nuovi “emergenti” ? pensiamo a Cina, Brasile o ai Paesi islamici ad esempio ? sono “emergenti” anche in tema di cooperazione e stanno oramai prendendo il sopravvento nei flussi degli aiuti sulla classica logica dell’aiuto Nord-Sud. «Anche da questo punto di vista Haiti è un Paese sfortunato», spiega l’economista brasiliano Luiz Gonzaga Belluzzo, «perché non ha nessun appeal dal punto di vista delle risorse né della geopolitica, come ad esempio l’Africa, per le donazioni dei Paesi islamici e degli emergenti». «Inoltre», aggiunge Bertotto, «nelle emergenze molti aiuti arrivano di solito dalle comunità locali, pensiamo alle rimesse degli emigranti o a Paesi con maggiori capacità di risposta come il Bangladesh, colpito dal ciclone del 2007 ma che dimostrò una capacità interna di mobilitazione totalmente assente ad Haiti, Paese tra i più vulnerabile al mondo». E se non bastasse, il presidente Michel Martelly – ex cantante di musica compa e, per sua stessa ammissione ai media Usa, ex dipendente dal crack ? oltre a metterci tantissimo a formare un governo ha dimostrato nell’ultimo anno una totale incapacità di mantenere le promesse elettorali. Oggi, pur essendoci a Port-au-Prince un esecutivo, non offre purtroppo le garanzie che i donatori si attenderebbero mentre l’erogazione di alcuni servizi, come la distribuzione di acqua, è stata sospesa su richiesta dello stesso Martelly.


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