Non profit
Berlusconi, si riparte da Ruby
Legittimo impedimento dimezzato, nuovi guai per il premier
Legittimo impedimento: la sentenza della Consulta in parte boccia lo “scudo” giudiziario per il premier. E’ la notizia del giorno sui quotidiani di oggi, già in parte superata dall’attualità, che vede Berlusconi indagato (da prima di Natale) per il caso Ruby, con le accuse dei reati di concussione e di prostituzione minorile.
“Legittimo impedimento, valuterà il giudice” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA. Sommario: “I paletti della Consulta. Berlusconi: sono sereno, riconosciuto un principio”. In occhiello: “I magistrati decideranno caso per caso sei il presidente del Consiglio deve essere presente ai processi. Il cavaliere forse oggi in tv”. Ma già l’edizione on line ha cambiato in tarda mattinata l’apertura: “Caso Ruby, Berlusconi indagato”. Scrive su corriere.it Luigi Ferrarella: “La Procura di Milano ha indagato Silvio Berlusconi per le ipotesi di reato di «concussione» e di «prostituzione minorile». Secondo la contestazione d’accusa, allo scopo di occultare di essere stato cliente di una prostituta minorenne in numerosi week-end ad Arcore, assicurarsi l’impunità da questo reato e scongiurare che venissero a galla i retroscena delle feste nella sua residenza brianzola, il Presidente del Consiglio la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 avrebbe abusato della propria qualità di primo ministro per indurre i funzionari della Questura di Milano ad affidare indebitamente l’allora 17enne marocchina Karima “Ruby” El Mahroug, scappata da una comunità per minori, alla consigliere regionale lombarda pdl Nicole Minetti. Il reato di «concussione» (articolo 317 del codice penale) punisce con la reclusione da 4 a 12 anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringa o induca taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità. Al premier è contestato con l’aggravante il reato di «prostituzione minorile» (articolo 600 bis, contestato al premier nella forma del secondo comma) punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni chiunque compia atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e 18 anni in cambio di denaro o di altra utilità economica, ed è l’unico caso nel quale il cliente di una prostituta è sanzionato penalmente”. Al momento in cui scriviamo la replica politica del Pdl è affidata a Daniele Capezzone: «Dinanzi al consueto e logoro copione, fatto di fughe di notizie e di accuse inverosimili, – scrive in un comunicato il portavoce del partito, Daniele Capezzone – i cittadini possono ancora una volta scegliere se indignarsi o sbadigliare. Sono certo che una sempre più vasta maggioranza di italiani abbia ben compreso cosa sia in gioco e si stringerà a sostegno del presidente del Consiglio». Fatto sta che oggi a Silvio Berlusconi è stato notificato dalla Procura di Milano l’invito a comparire. Ma torniamo al CORRIERE di carta. Molti i servizi e i commenti all’atteso verdetto della Corte Costituzionale. Innanzitutto la notizia: la Consulta ha riconosciuto il principio secondo il quale premier e ministri a causa della loro funzione hanno motivi specifici (rispetto agli altri cittadini) per non presentarsi in udienza. Ma al tempo stesso l’impedimento non può essere automatico e sarà il giudice a valutare di volta in volta se è giustificata l’assenza al processo. “Che succede ora” è il titolo dell’editoriale in prima affidato al notista politico Massimo Franco: “Il tentativo è di accogliere la decisione come un compromesso tutto sommato accettabile e ininfluente sul destino del governo. Per questo gli avvocati di Berlusconi minimizzano, mentre il premier ufficialmente non parla. E minimizza la Lega, preoccupata solo di non intralciare la marcia sorniona verso il federalismo: al punto che gli attacchi alla Corte di alcuni esponenti del Pdl finiscono per apparire fuori misura, nella loro virulenza. Siccome fingere che non sia successo niente appare difficile, si tende a dimostrare che non è accaduto nulla di traumatico: le incognite per la coalizione sono altre, e si annidano in Parlamento”. I servizi da pagina 2 a pagina 6. Giovanni Bianconi racconta il retroscena a pag. 2: “Invito alla «leale collaborazione» tra poteri”. Cauta la reazione di Berlusconi, narrata da Marco Galluzzo a pagina 3: “Salvato il principio, sono sereno. Non mi aspettavo niente di diverso”. Il CORRIERE cerca di sondare anche il parere del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, con Marzio Breda a pagina 5: “Il giudizio del Quirinale: sentenza equilibrata”. Luigi Ferrarella sempre a pagina 5 fa il punto sui processi in corso, e si scopre che la prescrizione è quasi sicura per tutti e tre i procedimenti giudiziari a carico del premier. Ovviamente le indagini sul caso Ruby non erano ancora contemplate.
LA REPUBBLICA apre con la decisione della Consulta: “Berlusconi, scudo dimezzato”. Nel sommario si spiega: “La Consulta boccia in parte la legge: «Decida il giudice volta per volta»”. Seguono cinque pagine per spiegare una sentenza che sezione la legge e toglie quello che non va. Ad esempio il passaggio della norma in cui si parlava di «impegno continuativo» come pure soppresso il passaggio in cui si diceva: «il giudice, su richiesta di parte, rinvia il processo ad altra udienza». Nel suo retroscena, Francesco Bei riferisce di un Berlusconi abbastanza insoddisfatto al di là dei proclami pubblici: «non mi aspettavo nulla di diverso. Hanno scritto una sentenza sovversiva: la sovranità è nelle mani dei giudici, la volontà del Parlamento non conta più nulla». Sarebbe già pronta la controffensiva: una serie di ricorsi che faranno andare per le lunghe i processi (alcuni dei quali vicini alla prescrizione). «Bisognerebbe andare al voto ma ora temo che mi preparino una trappola. Con un risultato incerto proverebbero di nuovo a fare un governo tecnico». Quanto alle reazioni politiche al Bondi furioso (la sentenza «rovescia l’ordine democratico»), corrisponde un Matteoli equilibrato: la Consulta «è formata da giuristi competenti e di esperienza. Possono avere le loro idee politiche, ma questo non determina ostilità». Palamara, presidente Anm, ribatte: è «grave pensare che decisioni non gradite possano essere il frutto di opposizione preconcetta o addirittura di un complotto». A chiudere doppia pagina in cui Giuseppe D’avanzo fa l’elenco dei processi in corso a carico del premier: “Lo scudo si è ormai sciolto il premier pronto alla guerra”.
IL GIORNALE di Milano apre in prima pagina con il titolone “Non si va a votare” che sovrasta una vignetta di Forattini di un giudice che consegna una bomba innescata all’imputato Berlusconi. «La Consulta azzoppa il legittimo impedimento e porta i giudici dentro il governo. Ma il premier tira dritto: andrò ai processi, megli la gogna che danneggiare il Paese» recita l’occhiello. L’editoriale è di Alessandro Sallusti. «Nel centrodestra si sforzano di vedere il bicchiere mezzo pieno. Cioè che la Corte costituzionale non ha bocciato del tutto la legge sul legittimo impedimento, quella che permetteva a premier e ministri di non essere al servizio permanente delle procure. In effetti, e per la prima volta, ieri si è stabilito che il presidente del Consiglio ha dei diritti ( pochi) che gli derivano in automatico dalla sua funzione. Non è cosa irrilevante, ma il bicchiere mezzo vuoto pesa come un macigno sulla libertà dell’attività politica e di governo. I giudici infatti avranno ora la possibilità, nella maggior parte dei casi, di accettare o respingere la giustificazione del premier che, chiamato in tribunale, avanzasse un legittimo impedimento. Per esempio: è un impedimento preparare col proprio staff un importante vertice internazionale? Dover incontrare un ambasciatore, un governatore regionale, è motivo sufficiente per saltare un’udienza? Se la risposta è affidata al magistrato di turno, è ovvio che le toghe avranno il potere di decidere l’agenda di governo, di stabilire che cosa è giusto e utile per il Paese, il suo futuro, la sua sicurezza» attacca il direttore. In conclusione sottolinea come «la sentenza pilatesca dell’Alta Corte non sposta di fatto l’ago della bilancia sulle elezioni anticipate, che restano in bilico più di quanto le dichiarazioni ufficiali di ieri sera (comprese quelle di Berlusconi che le ha escluse) lascino intendere. Il presidente del Consiglio, forse perché si aspettava di peggio, dicono non sia di pessimo umore. Primo perché per carattere ama vedere i bicchieri mezzi pieni, secondo perché prima di ordinare il sciogliere le righe della legislatura vuole esplorare fino in fondo la possibilità di allargare la maggioranza. Per farlo ha bisogno di due cose: ancora un po’ di tempo e dimostrare nei fatti un grande senso di responsabilità per agevolare l’avvicinamento di quei moderati stufi di stare tra i banchi di una opposizione deludente e schizofrenica». Sempre in prima pagina, di spalla due commenti. Il primo è di Stenio Solinas e s’intitola “Trent’anni in ostaggio dei pm posson bastare”. «Quando non eravamo neppure trentenni, abbiamo imparato a diffidare della magistratura che fa politica. I “pretori d’assalto”, i “giudici democratici”, la “giustizia rivoluzionaria”, quella “proletaria”, i “teoremi” costruiti sui ritagli di stampa, sui mitomani e sulle intercettazioni telefoniche, le “piste nere”, “l’emergenza” fanno parte di un amarcord amaro che fa ancora venire i brividi. Ci sono state vite spezzate per il pressappochismo, la supponenza, la cieca determinazione con cui i membri di una corporazione trasformatasi in casta braminica, ansiosi di correre in aiuto del vincitore di turno, s’industriavano a costruire il castello del proprio potere e dell’altrui rovina.
Al termine di processi monstre, biblioteche di volumi accusatori, ragazzi di vent’anni diventati nell’attesa uomini si sono ritrovati assolti, la famiglia distrutta, il futuro già passato senza neppure aver avuto inizio» è l’incipit dell’articolo che è un violentissimo attacco alla magistratura. «Trent’anni dopo continuiamo a diffidare della magistratura che fa politica. E ne diffidiamo con maggior convinzione che allora. Perché nell’aberrante idea che il processo potesse essere “ideologico”, che l’imputato fosse “oggettivamente” un nemico di classe o di partito c’era, per quanto bacata e malsana, l’idea di un fine superiore, la fede in un sistema di pensiero che grazie alla giustizia usata come braccio armato della politica avrebbe trionfato. La magistratura, insomma, faceva politica in nome di un’idea della politica, al servizio di una concezione politica dello Stato. Oggi, non c’è neppure questo e da anni ormai la magistratura fa politica in proprio».
Il secondo intervento invece è di Luigi Mascheroni e titola “Giustizialismo, quel male oscuro della sinistra”. La sentenza secondo il giornalista «Ha anche scalfito in profondità una più generale difesa, meno contingente e occasionale, di ognuno di noi dal male oscuro del giustizialismo, un morbo infettivo, contagiosissimo e tenace che da diciassette anni, dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi a oggi, si è acutizzato sospetto dopo sospetto, accusa dopo accusa, processo dopo processo. Avvelenando non solo e non tanto la vita politica ma, cosa ben più grave e sciagurata per il Paese, quella sociale, culturale e di relazione. È anche per colpa di un cieco giustizialismo aprioristicamente antiberlusconiano – e fomentato, non bisogna dimenticarlo, da un altrettanto cieco garantismo berlusconiano frutto di una reazione uguale e contraria – che l’Italia è spaccata in due fazioni invece che suddivisa in partiti, e gli italiani identificabili in supporter invece che in elettori».
IL MANIFESTO: «Decisione ineccepibile» è questo il titolo dell’articolo (occhiello: «(Il)legittimo impedimento») nella parte bassa della prima pagina sulla sentenza della Consulta di Livio Pepino che prosegue poi a pagina 7 interamente dedicata al tema e che ha un richiamo dal titolo «Ma Berlusconi ci spera ancora». L’apertura è anche oggi dedicata al referendum di Mirafiori in corso con il titolo «Io non ho paura». La vignetta di Vauro è dedicata alla sentenza: «Stop al legittimo impedimento», il titolo e nel disegno un giudice seduto al banco della corte che con un largo sorriso dice: «Rientri l’imputato». Scrive Livio Pepino: «(…) Per la terza volta, dunque, il giudice delle leggi (che già aveva “bocciato” il lodo Schifani e il lodo Alfano) dice che la pretesa del presidente del Consiglio di sottrarsi, grazie al suo status, ai procedimenti penali pendenti nei suoi confronti viola i principi fondamentali del nostro ordinamento, che non consente privilegi personali neppure se ammantati dalla forma di legge. La decisione è ineccepibile. Verrebbe da dire ovvia, e – se vivessimo in un Paese normale – persino caratterizzata da eccessive cautele formali (…) Decisione ineccepibile, si è detto. Eppure, sino all’ultimo, l’on. Berlusconi e i suoi collaboratori e portavoce hanno tentato di scongiurarla con pressioni inaudite sui giudici costituzionali (definiti “comunisti” e indicati come responsabili di una situazione di instabilità politica incontrollabile che una sentenza «sfavorevole» al premier avrebbe aperto…). A decisione intervenuta, poi, si susseguono reazioni scomposte di esponenti della maggioranza (…)». L’apertura di pagina 7 è intitolata «Via mezzo scudo mediazione alla Corte». «La Consulta non si spacca e cancella solo una parte del legittimo impedimento. Via l’autocertificazione degli impegni e tornano i poteri di controllo del tribunale ma resta la lunga lista di attività “giustificate”. Il presidente del consiglio passa all’incasso e prepara la sua doppia crociata: in tv contro le toghe sovversive e alle camere contro i finiani traditori. Sì al puntello dei responsabili». È un’analisi politica, invece l’articolo in prima pagina «Partita doppia» a firma di Ida Dominijanni che collegando sentenza e vertenza Fiat, osserva: «(…) è prevedibile che, a onta delle sue dichiarazioni della vigilia sulla «ininfluenza» della sentenza sulla durata e l’attività del governo, Berlusconi userà il verdetto della Corte per rilanciare la sua crociata contro la magistratura e riportare l’asse del dibattito pubblico su se stesso, guadagnando così tempo di governo ma di fatto allenando i muscoli per la campagna elettorale. (…) Non per questo ne guadagnerà la strategia delle alleanze di Pierluigi Bersani, che l’ammucchiata vorrebbe invece limitarla al centro-sinistra ma dal centro ha già ricevuto una sostanziale indisponibilità. (…)La vertenza Fiat diventa così un fattore dirimente di chiarezza nell’opacità del gioco politico. E non solo la vertenza Fiat, in verità. Più passano le settimane, più si capisce il ruolo di spartiacque giocato dalla giornata del 14 dicembre scorso, nel duplice scenario del Palazzo e della strada (…)».
Lancio in prima fra i richiami sopra l’apertura de IL SOLE 24 ORE: “Lo scudo del premier bocciato in parte. Il giudice valuterà gli impegni dell’imputato”. Non manca poi il commento dell’inossidabile, onnipresente, Stefano Folli. I servizi sono a pagina 7, oltre al commento («Al momento Berlusconi ha tutto l’interesse a mantenere i nervi saldi. Il compromesso non è destabilizzante per gli equilibri di governo e non decapita il presidente del Consiglio. Una consolazione a metà: forse la legge sarebbe stata più efficace e avrebbe superato il vaglio della Corte se a suo tempo fossero stati accettati gli emendamenti proposti da Vietti, allora esponente dell’Udc e oggi vicepresidente del Csm. Ma è andata così.»), c’è la cronaca della giornata a firma Donatella Stasio (“«Scudo» bocciato in parte”), mentre Barbara Fiammeri raccoglie le reazioni della maggioranza: «Apparentemente mostra indifferenza Silvio Berlusconi. Da Palazzo Grazioli si lascia trapelare che è meglio guardare «il bicchiere mezzo pieno», che il verdetto della Corte costituzionale è «un compromesso accettabile», che non provocherà conseguenze sulla tenuta del governo. Valutazioni riportate da chi ieri ha avuto modo di incontrare il premier anche se prontamente smentite da una nota ufficiale di Palazzo Chigi. Quel che pensa della sentenza, Berlusconi lo dirà stamane a Canale 5, nella trasmissione condotta da Maurizio Belpietro. Ma l’intenzione del Cavaliere è quella di non enfatizzare la pronuncia della Corte». Una tabella, infine, riassume quanto ha deciso la Consulta, mentre Giovanni Negri si preoccupa di informarci sulle conseguenze del verdetto sui processi che attendono Berlusconi: «la ripartenza dei procedimenti potrebbe diventare veramente una corsa a ostacoli e soprattutto contro il tempo. Con il rischio molto concreto che a vanificare tutto il lavoro della magistratura prima di una valutazione nel merito arrivi la tagliola della prescrizione».
ITALIA OGGI affida il commento a Marco Bertoncini. Nella sua Nota Politica “Una decisione politica incipriata di diritto”, Bertoncini sostiene che la decisione della Consulta «è politica, ammantata da dotte elucubrazioni giuridiche che leggeremo, nelle loro doviziose minuzie, una volta depositate le motivazioni». Bertoncini indica anche che a questo punto al premier rimangono due soluzioni: «tutelarsi dalla prevista offensiva della magistratura» oppure reagire politicamente andando alle urne «traducendo in voti quella che verrebbe dipinta come persecuzione di una sedicente giustizia». L’unica cosa certa, si legge nel pezzo “Tutti in attesa della reazione del premier” è che il no comment del premier «ha mandato il tilt le opposizioni che hanno sì reagito, ma con la preoccupazione di sapere se il premier alzerà il livello dello scontro oppure no». Basta leggere le dichiarazioni degli esponenti della sinistra e del terzo polo riportate nel pezzo per capire che gli avversari del premier non hanno alzato i toni. L’aspetto tecnico del pronunciamento della consulta è invece affidato al pezzo “Silvio bocciato e quasi prescritto” pubblicato a pag 3.
Anche AVVENIRE apre sulla sentenza della Consulta. Il titolo è: “Incrinato il mini-scudo”. Questo il riassunto: «sul legittimo impedimento una sentenza che chiama alla leale collaborazione tra i poteri. Il Pd: bocciatura sostanziale. Nel Pdl accenti diversi». Nei servizi alle pagine 6 e 7 le dichiarazioni di Berlusconi che prova a sposare la linea Alfano-Ghedini secondo cui l’impianto della legge resta valido e fa asse con la Lega per non bloccare l’azione del governo. «Fatico a credere che i giudici siano davvero capaci di aprire una stagione di collaborazione. Ma se eccepiranno ricorrerò alla Consulta e solleverò un conflitto di attribuzioni», ha dichiarato il premier. I Democratici, spiazzati dai toni soft del Pdl, «si sono dovuti accontentare di rintuzzare soltanto le dichiarazioni più forti del ministro della Cultura Bondi e della Lega Nord». Della sentenza della Consulta e degli scenari politici futuri parla anche Danilo Paolini nell’editoriale “Ora equilibrio” che chiede di andare oltre la logica del conflitto e sottolinea: «Non va dimenticato che la legge sul legittimo impedimento è stata pensata come un provvedimento “ponte”: il suo secondo e ultimo articolo prevede che essa sia applicata fino all’entrata in vigore di una legge costituzionale… Potrebbe apparire illusorio pensare di aggregare, in questo Parlamento, i numeri per l’approvazione di una legge costituzionale. Ma una soluzione andrà pur trovata, per salvaguardare l’equilibrio istituzionale del Paese. Ed è essenziale che sia pensata al futuro, non inchiodata alle diatribe del passato e alle angustie del presente. È un interesse di tutti».
“Scudo, deciderà il giudice” è il titolo di apertura de LA STAMPA, che dedica alla sentenza due commenti, uno più politico di Federico Geremicca (“Un paese bloccato”) e uno più giuridico di Carlo Federico Grosso (“Ristabilita l’uguaglianza”). Per Geremicca “quel che è ipotizzabile, in conclusione, è che la sentenza della Corte – nel suo merito e in quanto tale – sarà rapidamente archiviata per lasciar nuovamente spazio ad una logorante e spesso incomprensibile polemica politica, interna ed esterna alla maggioranza. Tutto, insomma, rischia di ricominciare come prima: anche se, a conti fatti, il tempo per elezioni in primavera va rapidamente consumandosi ed una scelta va ormai fatta. E una scelta qualunque – questo purtroppo è lo stato delle cose – appare comunque migliore del clima di incertezza che blocca ormai da mesi governo, Paese e Parlamento». Grosso: «la Corte Costituzionale ha, innanzitutto, dichiarato in modo assolutamente deciso l’illegittimità dell’art. 1 comma 4 della legge sul legittimo impedimento, stabilendo che l’ipotesi d’impedimento continuativo attestato dalla presidenza del Consiglio viola clamorosamente il principio di eguaglianza. Esso infrange infatti, è scritto nel comunicato, l’art. 3 Cost., che prevede, appunto, che “tutti i cittadini sono eguali di fronte alla legge”. (…) . A questo punto è agevole indicare quali saranno gli effetti della sentenza della Corte sui processi del premier. Essi ovviamente riprenderanno. Il premier avrà, pur sempre, titolo per opporre, di volta in volta, un suo eventuale legittimo impedimento. Il giudice avrà, tuttavia, la possibilità di valutare in concreto la fondatezza o meno dell’istanza. Il principio di eguaglianza risulterà, in questo modo, sicuramente ristabilito. Non è difficile tuttavia immaginare quali saranno le tensioni che si accompagneranno ad ogni istanza presentata e ad ogni decisione di merito del giudice».
E inoltre sui giornali di oggi:
FIAT
LA REPUBBLICA – Editoriale del direttore, Ezio Mauro intitolato “Le ragioni di Marchionne e le ragioni di tutti”. «Il voto e la sfida di Torino non disegneranno un nuovo modello di governance per l’Italia… ma la ridefinizione, dopo tanti anni, del rapporto tra capitale e lavoro”. Marchionne, manager transnazionale, in sostanza ha liberato la famiglia Agnelli da ogni responsabilità nei confronti del Paese. Le ragioni dell’ad sono quelle della globalizzazione; «ma ci sono anche le ragioni degli altri, che sono le ragioni di tutti perché chiamano in causa la democrazia». «Separato dai diritti il lavoro torna ad essere semplice prestazione, merce. Ma insieme con i diritti il lavoro diventata un elemento di dignità e di emancipazione». Un nodo problematico di fronte al quale la sinistra è «gregaria» perché non ha alcuna visione alternativa e «pensa che l’innovazione sia cedere al pensiero dominiante perché non ha un’idea propria di lavoro oggi».
COOP
ITALIA OGGI – Le coop uniscono le loro forze per contare di più sui tavoli delle rappresentanze istituzionali. Nel pezzo “Mondo delle coop, svolta unitaria” il presidente nazionale di Legacoop Giuliano Poletti, annuncia per il 27 gennaio la nascita di Cooperativa Italia. Questa alleanza, che mette insieme coop bianche e rosse, Agci, Confcooperative e Legacoop, servirà anche a contrastare la crisi economica «guadagnando in competitività, creando maggiori i opportunità, e favorendo la crescita della cultura della cooperazione». Oggi, ricorda il pezzo, 1,1 milioni di persone lavorano nelle cooperative, con un incremento di 500 mila unità negli ultimo dieci anni.
NON PROFIT
LA REPUBBLICA – “Donazioni e volontariato è il Facebook della bontà”. Si chiama Shiny Note ed è un nuovo social network operativo a fine gennaio, avrà una impostazione etica e servizi per cercare compagni di strada e di attività volontaria. «Lo abbiamo costruito intorno alle storie delle persone, e lo abbiamo destinato a coloro che sanno rintracciare nel quotidiano una scintilla di speranza» dicono i sostenitori.
SCUOLA
AVVENIRE – Inchiesta a pagina 11 sulla ricerca dell’Isfol che parla di Finlandia, Francia e Regno Unito: Paesi di punta che sostengono istituti non statali e famiglie. Niente distribuzione a pioggia, ma sostegno concreto a progetti che nascono dalla società. In Finlandia, la parità tra scuole “governative” e “non governative” è totale e l’accesso pieno, con scuole e trasporti gratuiti. In Francia gli aiuti alle famiglie arrivano fino a 8mila euro.
TUNISIA
IL MANIFESTO – Il richiamo principale, a fianco dell’apertura, è dedicato allo sciopero generale in Tunisia «Sangue nelle strade della rivolta, poi Ben Alì apre e promette di tutto». Due le pagine dedicate ai disordine tunisini. In prima inizia l’articolo di Giuliana Sgrena: « La città è deserta, l’aria resa irrespirabile dai lacrimogeni lanciati in vari quartieri dove la polizia ha anche sparato, uccidendo almeno due ragazzi. Mancano ancora due ore all’inizio del coprifuoco, ma Tunisi è una città spettrale, in stato d’assedio: blindati sparsi ovunque, i luoghi più sensibili protetti da schiere di poliziotti con i loro scudi o dall’esercito circondato da rotoli di filo spinato. (…) Ben Ali si è rivolto ai tunisini alla vigilia della grande prova di forza: oggi lo sciopero generale convocato dall’Unione generale dei lavoratori tunisini cercherà di dare una nuova spallata al traballante regime di Ben Ali. La sua famiglia pare abbia già lasciato il paese, chi per il Canada chi per i paesi del Golfo. I giganteschi manifesti del leader che ha guidato un regime autoritario e corrotto per ventitrè anni appaiono ancora più surreali mentre cade la sera su una città che non è più un regno incontrastato della sua famiglia. (…) Si vivono momenti estremamente difficili e molti tunisini per paura non osano uscire di casa ma stanno attaccati alle tv satellitari e soprattutto Internet – il vero strumento d’informazione in questa rivolta. C’è chi va sul tetto di casa per vedere cosa succede intorno – il fumo che sale da un quartiere è il segno di una rivolta in corso – per poi comunicarlo agli amici che a loro volta hanno raccolto altre notizie. Il telefono suona incessantemente. Ma i numeri cambiano, la precauzione non è mai sufficiente: le detenzioni continuano (…)» e conclude: «(…) C’è chi mi chiede cosa si dice in Europa ed è imbarazzante ammettere la mancanza di sensibilità delle forze democratiche che finora non sono andare oltre qualche comunicato. Però le informazioni circolano e questo per loro è molto importante. Quello che stiamo combattendo è la nostra camorra, mi dice un ragazzo per farmi capire meglio di che si tratta. Chissà chi riuscirà a distruggerla per primo».
SUDAN
IL SOLE 24 ORE – “Il «sì» del Sudan più povero” è un reportage da Bor, nel Sud Sudan. Lo firma l’inviato Roberto Bongiorni che ci racconta delle speranze, ma anche delle tensioni del villaggio di Jongley dove l’affluenza per la secessione è al 98%. Tutto questo a pagina 15.
SOMALIA
LA STAMPA – Marco Bardazzi intervista il premier somalo Mohamed Abdullahi Mohamed. “Somalia calamita di terroristi. Il premier: Italia aiutaci”: «La Somalia è come l’Afghanistan. Con la differenza che là c’è la Nato, mentre i terroristi fuggiti da Kabul ora sono qui da noi». Asserragliato nel palazzo del governo, in una Mogadiscio dove ogni giorno si spara e si muore, Mohamed Abdullahi Mohamed non usa giri di parole nel lanciare l’allarme sui rischi che corre il Paese di cui è da poche settimane il nuovo primo ministro. I guerriglieri islamici di Al Shabaab, legati ad Al Qaeda, continuano a ipotecare il futuro di quello che viene considerato il Paese più pericoloso al mondo. ”Hanno trovato – spiega – un rifugio da dove possono colpire New York come Milano: la comunità internazionale deve capirlo e agire al più presto, e tocca all’Italia mettersi alla guida dell’impresa”.
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