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Berlusconi, il sociale e il Terzo settore nel pensiero del fondatore di Forza Italia

Nel febbraio del 2018 in vista delle politiche del marzo successivo, VITA intervistò il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, scomparso oggi all'età di 86 anni. Tredici domande a tutto campo: azzardo, anziani, accessibilità, povertà, ambiente.... Qui di seguito l'intervista integrale

di Redazione

Nel febbaio del 2018 in vista delle politiche del marzo successivo VITA intervistò il presidente di Forza Italia Silvio Berlusconi, scomparso oggi all'età di 86 anni. Tredici domande a tutto campo, dal soci-sanitario al Terzo settore passando per l'ambiente. Qui di seguito l'intervista integrale firmata da Stefano Arduini.

In Italia cala la spesa pubblica e sale quella privata (la spesa sanitaria delle famiglie ormai ha superato quota 33 miliardi). Sempre più cittadini rinunciano a curarsi (sono 11 milioni, erano 9 nel 2012). Al Sud ormai si vive tre anni in meno che al Nord. Come garantire una sanità più giusta e meno selettiva?

«Rinunciare a curarsi per mancanza di soldi è uno degli effetti dell’aumento della povertà in Italia ed è una situazione insopportabile. Noi proponiamo tre rimedi, complementari tra loro. Il primo consiste in misure di contrasto immediato della povertà: il “reddito di dignità” e l’aumento delle pensioni minime a mille euro al mese. La seconda è quella di riprendere davvero la via dello sviluppo, perché solo lo sviluppo crea nuovi posti di lavoro e dunque nuovo benessere. Infine, serve una forte responsabilizzazione della classe dirigente delle Regioni. Abbiamo modelli, come ad esempio la nostra Lombardia, che devono diventare un modello per tutti».

Andando per un attimo al di là dei fondi pubblici dedicati al tema, l’accessibilità non è solo assenza di barriere architettoniche, ma una città più semplice per tutti. Non si tratta di eliminare, ma di progettare infrastrutture (fisiche e non) in modo che la vita delle persone con disabilità siano sempre più integrate nel tessuto sociale delle nostre comunità. Cosa intendete proporre su questo tema?

«L’accessibilità è in primis un fatto culturale: le infrastrutture vanno pensate fin dalla loro progettazione come accessibili a tutti. Non mi riferisco solo alle persone con disabilità, ma anche agli anziani, alle mamme con i passeggini, a chi è temporaneamente infortunato. La prima cosa da fare è mettere a fattor comune le migliori esperienze locali, fatte dal pubblico e dalle realtà del Terzo settore: si tratterebbe di una forma di “riciclo” che sarebbe utile a tutti. Inoltre, nella società digitale devono essere accessibili anche i servizi online, a partire da quelli della pubblica amministrazione. Da una proposta di legge a firma mia e del collega Campa ebbe origine nel 2004 la legge sull’accessibilità dei siti internet della PA, nota come “Legge Stanca”, dal nome del nostro ministro dell’innovazione, perché il governo Berlusconi volle farsi carico di questa situazione. Sono però ancora troppe le amministrazioni che non la rispettano. Nella prossima legislatura dobbiamo intervenire con una forte azione di pressione e, se necessario, con sanzioni alle amministrazioni inadempienti».

L’azzardo è, oramai, una tragedia vissuta da milioni di famiglie che si svela appena scendiamo tra la gente e guardiano dietro i numeri (96 miliardi di fatturato, quasi 10 incassati dall’Erario) di un business finanziario enorme Quali sono i passi concreti e immediati, in termini di contrasto e regolamentazione, che intende intraprendere?

«Questo è un tema molto delicato. In questi anni i governi hanno avuto un atteggiamento ondivago. Anche in questo caso credo che la prima misura sia quella di non interferire e anzi di sostenere le iniziative prese dalle amministrazioni locali, comunali o regionali, spesso assieme alle associazioni del Terzo settore, per contrastare la diffusione indiscriminata di postazioni di gioco d’azzardo, la loro accessibilità ai minorenni e il recupero di coloro i quali cadono preda della ludopatia.

Tutto è reso ancora più complicato dal fatto che il digitale rende disponibile a tutti in qualsiasi ora la possibilità di scommettere e che uno smartphone non distingue tra minorenni e maggiorenni. Una volta tornati al governo approfondiremo i dati nazionali e locali e valuteremo quali iniziative proporre, consapevoli però che proibire il gioco legale avrebbe il solo effetto di alimentare il gioco illegale in mano alla malavita».

In Italia abbiamo 4,7 milioni di persone in povertà assoluta. A gennaio 2018 è partito il Rei, la prima misura nazionale di contrasto alla povertà. Sta emergendo poi la necessità di creare una «infrastruttura sociale» che supporti le persone nella loro attivazione. Qual è la vostra visione in merito a questo tema?

«In quest’ultimo anno più volte abbiamo ribadito che nessuno, a maggior ragione chi si trova in una situazione di benessere, può rimanere indifferente al fatto che oltre il 15% della popolazione vive in una condizione di povertà. Per questo motivo, come ho già detto, proponiamo con forza due misure di intervento immediato: il “reddito di dignità” e l’aumento delle pensioni minime a mille euro al mese, unito alla rivalutazione delle pensioni e alla pensione “alle nostre mamme”, vale a dire alle donne che hanno dedicato la loro vita alla famiglia, curando marito e figli e, magari, anche i propri genitori o suoceri. Questi interventi, oltre a essere atti di giustizia, sono anche fruttuosi dal punto di vista dello sviluppo. Infatti è evidente che un pensionato che si vedesse portare la pensione minima a mille euro al mese non metterebbe i soldi sotto il materasso ma li userebbe per cibo, abbigliamento, medicine, tempo libero. In questo modo si alimenta la domanda interna e si fa girare l’economia, con benefici per tutti: i consumi creano nuova domanda e, di conseguenza, nuovi posti di lavoro e lo Stato tramite le tasse pagate sui beni acquistati e da aziende e lavoratori recupera parte dei fondi erogati. Ciò che è buono è anche utile».

La Legge di Stabilità 2016 ha promosso il welfare aziendale nell’ambito dell’erogazione della parte variabile del salario legata alla produttività favorendo fiscalmente i servizi di welfare rispetto all’equivalente in denaro. La “rivoluzione” è stata ampliata l’anno successivo. Con la Legge di Bilancio 2018 il legislatore ha scelto di continuare sulla strada. Crede che questa sia la via giusta nell’ottica della costruzione di un nuovo modello di welfare? Quali opportunità e quali rischi vede?

«Per noi che da sempre sosteniamo il principio di sussidiarietà e la libertà di scelta da parte dei singoli e delle famiglie, queste nuove forme di welfare sono una efficace risposta a un contesto in cui il Welfare State del secolo scorso non è più sostenibile da parte dello Stato. Anche in questo caso ciò che è bene si dimostra anche utile. Infatti è evidente che una mamma o un papà che lavorano e che possono godere di una serie di servizi che li rendono più sereni nella gestione dei figli, dei genitori anziani o delle proprie esigenze personali sono delle persone che lavoreranno con più gusto, passione, impegno e serenità. Non ho difficoltà a dire che la via intrapresa è una strada interessante, da approfondire in due direzioni: valutando i risultati e rendendo sempre più conveniente alla imprese attivare le varie forme di welfare aziendale. Le grandi aziende offrono da tempo servizi di questo tipo ai loro collaboratori, ma per un’azienda di grandi o medie dimensioni ciò è relativamente semplice. La questione è diffondere questo tipo di interventi anche nel tessuto delle piccole e piccolissime imprese italiane, che spesso non hanno la “capacità” di tener dietro a queste innovazioni sociali».

In Italia abbiamo 2 milioni di Neet (oggi 3 milioni, ndr.) e una disoccupazione giovanile attorno al 32%, con le indagini Excelsior che ci ripetono da anni lo scandalo del mismatch, il timore dei robot che sostituiranno l’uomo nel lavoro, il fatto che le iperspecializzazioni nel contesto attuale vengono superate e bruciate rapidissimamente. Quali iniziative pensate per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro e creare un sistema formativo più efficiente?

«Per favorire l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro la nostra proposta è chiara: detassare completamente per sei anni (tre di apprendistato e tre di contratto) i contratti di assunzione a tempo indeterminato per i giovani. Questo, unito alla semplificazione fiscale e alla diminuzione delle tasse per le imprese grazie all’introduzione della Flat Tax, renderà più conveniente per le aziende assumere e considerare queste nuove assunzioni come un investimento a lungo termine, su giovani da formare e far crescere nella propria impresa.
Non dimentichiamo però che per creare posti di lavoro, servono gli imprenditori. Per questo continueremo a promuovere l’imprenditoria giovanile: stiamo valutando il modo in cui estendere a tutte le nuove imprese create da under 35 i benefici di natura fiscale e burocratica previsti per le startup e le pmi innovative. Per quanto riguarda la scuola, in primo luogo vogliamo potenziare il sistema degli ITS, voluto dal governo Berlusconi nel 2010, che consente ai giovani diplomati che non vogliano seguire un percorso universitario di unire la formazione teorico/pratica ai nuovi lavori con un rapporto con le aziende del territorio. Inoltre vogliamo rendere ancora più efficaci le iniziative per formare alla società digitale che hanno preso il via in questi ultimi anni, verificando quelle che funzionano e correggendo quelle che non danno risultati».

Negli ultimi cinque anni le adozioni internazionali in Italia hanno vissuto una notevole crisi. In Italia nel 2015, ultimo dato ufficiale disponibile, sono stati adottati 2.216 bambini, circa la metà rispetto ai 4.130 entrati nel 2010. Le cose non vanno meglio sul fronte nazionale: nel 2016 sono state presentate 8.305 domande di disponibilità all’adozione nazionale, la metà rispetto al 2006. Come intervenire?

«Conosco bene il mondo dell’adozione e in questa legislatura è venuto meno il sostegno da parte del governo. Il mal funzionamento della Commissione Adozioni Internazionale che di fatto per lunghi anni ha bloccato i propri lavori, ha allontanato le famiglie italiane dalle adozioni. Tornati al governo, vigileremo che la nuova conduzione della Cai sia finalmente all’altezza. Oltre a sbloccare il pagamento dei rimborsi dovuti alle famiglie per le adozioni internazionali portate a termine negli ultimi anni, penso sia necessario ragionare su come portare tra le detrazioni per i carichi familiari almeno parte delle spese che si supportano per le adozioni internazionali: non possono essere appannaggio solo di chi se lo può permettere economicamente».

Siamo uno dei Paesi con maggior crollo della fecondità under 30, maggior rinvio del primo figlio, maggiori difficoltà di conciliazione tra lavoro e famiglia, i posti nei nidi dove ci sono restano vuoti. Nella prossima legislatura il sostegno alla famiglia sarà una priorità?

«Avere un lavoro è la prima condizione che consente ai giovani di pianificare un futuro e anche di pensare a mettere al mondo dei figli. Per questo, come ho già detto prima, vogliamo creare occupazione stabile, con assunzioni a tempo indeterminato e prospettive di impiego a lungo termine per i giovani e potenziare le misure di welfare aziendale a favore di una gestione della vita familiare meno stressante. In questo modo, chi ha un figlio può più serenamente pensare di averne un secondo. Inoltre la Flat Tax, con l’ampliamento della no tax area a 12mila euro e la riduzione delle tasse, può lasciare in tasca alle famiglie più denaro da “investire” in un nuovo figlio. Ricordo anche che nel 2005 il governo Berlusconi aveva introdotto la deduzione dal reddito imponibile di 2.900 euro per ogni figlio, naturale o adottato. Con il maggior gettito generato dalla Flat Tax, potremo pensare di reintrodurre quella misura, che di fatto è una no tax area per i figli a carico».

Oggi 136.477 migranti, pari al 78% del totale, vivono nei 7mila Cas (grandi alberghi, ex caserme, appartamenti, luoghi spesso isolati), sparsi in tutta Italia. Come intervenire sul sistema di accoglienza e integrazione? Quale ruolo immagina per la nostra cooperazione internazionale, in particolare in Africa e nel rapporto con i Paesi di provenienza dei migranti?

«Da tempo sosteniamo che il nostro governo deve chiedere con forza all’Europa in primis e poi a Russia, Cina, Stati Uniti e Paesi Arabi di unirsi per un grande Piano Marshall per l’Africa, per portare sviluppo e creare posti di lavoro in loco. Questa è una misura ad alto impatto e di lungo periodo, per risolvere definitivamente la questione delle migrazioni per motivi economici. Sarebbe un atto di giustizia nei confronti di queste popolazioni. Le cifre confermano che il governo ha fallito. Del resto non siamo stati capaci di coinvolgere l’Europa, anzi i Paesi confinanti hanno chiuso le frontiere e l’Italia, da Paese di transito dei migranti economici è diventata luogo di residenza per persone che nella stragrande maggioranza non sono dei rifugiati ma persone che fuggono dalla miseria. Abbiamo comprensione umana e cristiana per tutti loro ma è evidente che il nostro Paese non può sopportare l’impatto di centinaia di migliaia di persone senza lavoro e senza prospettive».

In Italia ci sono 6,6 milioni di persone che si dedicano al volontariato nelle sue diverse forme organizzate o informali. 1,7 milioni lo fanno all’interno delle organizzazioni. Come valorizzare e promuovere questa tradizione italiana in modo che anche i giovani possano avvicinarsi sempre di più a questo tipo di esperienza?

«Intanto bisogna dare piena applicazione alla riforma del Terzo settore, per la quale mancano ancora decine di decreti attuativi, per dare chiarezza e rendere operative le nuove regole che coinvolgono anche le associazioni di volontariato. Penso in particolare alla parte delle nuove agevolazioni fiscali per chi investe nelle imprese sociali e dunque anche nelle cooperative. In secondo luogo, questa “tradizione italiana” deve essere raccontata bene dai media, che spesso raccontano solo le poche eccezioni negative. In questo senso voi di Vita svolgete un’opera meritoria».

La riforma del Terzo settore ha introdotto la revisione della normativa sull’impresa sociale. Questo tipo di imprese (spesso impegnate nell’ambito del welfare o comunque del sociale) prevedono una governance condivisa fra pubblica amministrazione, privato for profit e privato non profit e sono più orientate all’impatto sociale che alla generazione di profitto. Quale spazio vede per questo tipo di imprese e ritiene che valga la pena costruire un ecosistema che ne possa favorire la diffusione?

«Noi siamo stati i primi, nel 2005, a varare una legge per l’impresa sociale. Oggi il welfare ha tutte le potenzialità per essere una nuova “industria”, capace di creare nuovi posti di lavoro e di produrre utili non solo economici ma soprattutto per le comunità. Nello scorso autunno la Camera dei Deputati ha ospitato un convegno organizzato da noi su questo tema. Sono e siamo assolutamente favorevoli alla creazione di un ecosistema che possa favorire la diffusione dell’impresa sociale. Oggi i bisogni sociali sono così tanti che il volontariato da solo non può reggere: occorre fare bene il bene, anche sotto l’aspetto imprenditoriale».

Il consumo di suolo, a causa della trasformazione di aree agricole e naturali in aree edificabili, infrastrutture o altre coperture artificiali, viaggia a una velocità di circa 3 metri quadrati al secondo. Una progressione che mette a rischio una delle grandi ricchezze italiane: il paesaggio. Come tutelare questo patrimonio?

«Il consumo del suolo non è un destino ineluttabile. Noi siamo forti sostenitori dell’edilizia, perché questo è storicamente un settore trainante del nostro Paese. Da un lato c’è un enorme lavoro da fare nella riqualificazione degli edifici esistenti, per diminuirne l’impatto ambientale e per mettere in sicurezza le molte aree sismiche del Paese: per questo abbiamo sempre sostenuto le misure di defiscalizzazione degli investimenti in ristrutturazioni edilizie e ambientali. Dall’altro lato nuove abitazioni o ampliamenti di costruzioni già esistenti possono anche svilupparsi in verticale, senza alcun impatto in termini di consumo del suolo».

Grazie all’Art Bonus 6.345 mecenati hanno donato oltre 200 milioni che hanno permesso 1.323 interventi per il recupero e la salvaguardia del patrimonio artistico pubblico. Siete favorevoli ad allargare i benefici dell’Art Bonus anche ai beni gestiti o posseduti da organizzazioni non profit?

«La storia dei governi Berlusconi mostra che siamo favorevoli a tutte le misure di incentivo fiscale per i cittadini che investono a favore del bene comune. Questa è la traduzione concreta di quel fondamentale principio di libertà che è il principio di sussidiarietà. Ciò vale in tutti i settori, beni artistici compresi. Siamo per questo totalmente d’accordo ad allargare i benefici dell’Art Bonus anche ai beni gestiti o posseduti da organizzazioni non profit. Aggiungo che noi siamo quelli che nel 2005 hanno voluto la norma cosiddetta “Più Dai, Meno Versi” che per la prima volta defiscalizzava in modo importante le donazioni di imprese e privati per gli enti del Terzo settore. In quello stesso anno abbiamo messo in campo per la prima volta il “5per mille” a favore degli enti del Terzo settore e della ricerca scientifica. La nostra storia parla per noi. Non è così per gli altri. La sinistra, e solo in parte, ci è arrivata ora. Invece i Cinque Stelle hanno sempre votato contro l’uso della leva fiscale per coinvolgere i privati nel sostegno di servizi pubblici, come la scuola o le attività del Terzo settore».

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