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Berlusconi, ancora lui
Vinta la sfida con Fini, è nelle sue mani la sorte del governo
Una giornata lunga e carica di tensione ha visto Berlusconi resistere alla mozione di sfiducia, e mantenere la guida del governo, mentre Roma ha vissuto ore di guerriglia urbana. I giornali di oggi raccontano la tumultuosa situazione politica, cercando di delineare quali potrebbero essere gli sviluppi immediati e futuri, a partire dall’allargamento della risicatissima maggioranza.
“Berlusconi vince e apre all’Udc” è il titolo a tutta pagina del CORRIERE DELLA SERA, sintesi politica della giornata prima di lanciare i servizi che riempiono le prime pagine fino alla 13. Poi altre quattro pagine per raccontare le violenze a Roma. Sempre in prima l’editoriale affidato a Sergio Romano: “Il peso della vittoria”. Ecco il pensiero nei passaggi fondamentali: “Ma il punto cruciale, quello che veramente interessa il Paese, è l’uso che Berlusconi intende fare della sua vittoria. Credo che il presidente del Consiglio abbia di fronte a sé due strade. Può compiacersi del successo, infierire sugli sconfitti, lasciare le cose come stanno e dichiarare che governerà sino alla fine della legislatura. I tre voti di maggioranza non gli permetteranno di evitare gli innumerevoli trabocchetti che gli si apriranno sotto i piedi alla Camera e nelle commissioni, in gran parte delle quali la maggioranza non c’è. Ma gli forniranno l’occasione per sostenere che l’impotenza del governo è colpa delle opposizioni e di recitare di fronte agli elettori, se e quando riuscirà a ottenere lo scioglimento delle Camere, la parte del leader vilmente tradito. Il Paese, se Berlusconi adottasse questa linea, sarebbe condannato a un supplemento dell’indecoroso spettacolo a cui abbiamo assistito in questi ultimi mesi: polemiche, litigi, sberleffi goliardici e una generale disattenzione per i problemi economici e finanziari che il Paese sta attraversando. Se vi saranno nuove elezioni in un tale clima, poco importa chi vince e chi perde. L’Italia ne uscirà certamente perdente. – scrive Romano – La seconda strada è la ricomposizione della maggioranza su basi nuove. Oggi la prospettiva può sembrare improbabile, ma diverrà praticabile soltanto se Berlusconi saprà rinunciare ai lodi personali, alle polemiche contro la magistratura (quanto più attacca i magistrati tanto più allontana nel tempo la possibilità di una riforma), agli aspetti più discutibili della sua diplomazia personale. Non basta. Sul piatto dell’intesa dovrà esserci una nuova legge elettorale. Un realista come Berlusconi non può ignorare che quella con cui siamo andati alle urne ha prodotto risultati catastrofici, sia sul piano politico, sia su quello morale. Gli italiani sono stanchi di mandare in Parlamento gli «eletti» dei partiti e vogliono il diritto di scegliere. Berlusconi ha vinto. Ma ogni vittoria può essere guastata dalle decisioni sbagliate del giorno dopo. Tocca a lui ora trasformare una vittoria personale in una vittoria del Paese”. Gianantonio Stella si cimenta in un pezzo “di colore”: “Nell’arena di Montecitorio”, mentre a Berlusconi vengono dedicati due approfondimenti, “Le mille vite del cavaliere”, di Aldo Cazzullo, e “Perché ora punta sui centristi”, di Francesco Verderami. Ma è sempre all’equilibrato punto di osservazione di Massimo Franco, con la sua “Nota” a pagina 3, che il CORRIERE affida il compito di decifrare la situazione: “Se anche è probabile che da ieri le elezioni anticipate sono più vicine, Silvio Berlusconi non lo dà a vedere. E dopo avere umiliato Gianfranco Fini e il Fli nella resa dei conti parlamentare, ostenta una calma e una prudenza che dimostrano l’incertezza del governo. Il presidente del Consiglio assicura di essere pronto perfino a esaminare l’ipotesi di una crisi pilotata, per allargare il centrodestra all’Udc di Pier Ferdinando Casini, sebbene ridimensioni l’apertura spiegando che la Lega non sarebbe d’accordo. Conta sulla risacca finiana dopo la bruciante sconfitta di ieri a Senato e Camera. E nega il pericolo di una «sindrome Prodi», ovvero il rischio di avviarsi a un rapido logoramento a causa di un vantaggio risicato.” A pagina 9 Marzio Breda riferisce la reazione del Quirinale, dopo il colloquio di 50 minuti con Berlusconi: “Napolitano apprezza ma chiede stabilità” e in una nota il Colle chiarisce che lunedì il presidente esporrà le sue valutazioni. E Francesco Verderami nota subito il cambiamento dell’inerzia politica: “Sulle elezioni anticipate si rovesciano i ruoli. Fini ora le vuole, il Cavaliere cerca di evitarle”. Ma tanto per non dimenticare che ieri il voto è dipeso dai “ripensamenti” di alcuni parlamentari, a pagina 11 due ritratti: “Siliquini: ci ho messo la faccia. La colpa è tutta dei falchi”; “Polidori, dalle lacrime al «no», «Non l’ho fatto per un posticino»”. E l’opposizione? Relegata a pagina 13. “Pd sconfitto, ma Bersani non cambia linea” scrive Maria Teresa Meli, mentre Monica Guerzoni intervista il fondatore dell’Italia dei Valori: “Di Pietro fa mea culpa: «Sento la responsabilità per i traditori dell’Idv»”.
“Berlusconi si salva per tre voti”: LA REPUBBLICA dedica l’intera prima pagina al voto di ieri e alla guerriglia urbana nella capitale. Oltre la cronaca, i commenti. A cominciare dall’editoriale del direttore Ezio Mauro: “La partita comincia ora”. Berlusconi rimane a Palazzo Chigi: «ma per fare che cosa? Quel margine precario, appeso a mille promesse impossibili, nel giorno per giorno non consentirà al premier di far approvare più nulla. Ma a Berlusconi i voti non servono per governare: gli servono per comandare. Ieri li ha avuti e tanto gli basta. La politica può aspettare, il paese anche». Nel suo retroscena, Francesco Bei descrive un premier gongolante, ora disposto anche a una crisi pilotata per far entrare al governo l’Udc, capace di riferire il suo colloquio con il presidente della Repubblica alla presentazione di un libro (cosa che ha irritato il Colle). In ogni caso – promette Berlusconi – non galleggeremo. Nel frattempo Fini cerca di analizzare la situazione, di capire come muoversi per superare questo che è un oggettivo momento di crisi e di guardare all’immediato futuro: in ballo c’è anche per esempio la sfiducia a Bondi. Ma soprattutto l’alleanza con Casini, il super-corteggiato del premier che per ora si limita a dire: no grazie. «Se Berlusconi non sarà in grado di governare, c’è solo una strada: costringere irresponsabilmente il paese alle elezioni». Quanto al Pd, Bersani parla di vittoria di Pirro ma deve fare i conti con lo scalpitante Renzi («Fini in trent’anni non ha mai azzeccato una mossa, neanche per sbaglio» e c’è stato chi «lo ha osannato in questi sei mesi, convinto che fosse un compagno solido per il futuro», ha scritto il giovane sindaco su Facebook). D’Alema, in un colloquio con Goffredo De Marchis, difende l’ipotesi di un governo di responsabilità nazionale con il terzo polo di Fini e Casini. «Credo che nessuno nel Pd sia così stupido da sollevare questa obiezione. Cosa dovevamo fare? Votare la fiducia a Berlusconi per non fare sponda con Fli e Udc?». Certo aggiunge con questi numeri, lo sbocco più naturale sono le elezioni. Molto critico verso Di Pietro: «ha costruito un bel partito del cavolo».
IL MANIFESTO: «Che fiducia», questo è il titolo a tutta pagina che va a sfondare una fotografia, sulla quale in bianco sfonda in bianco anche la testata, dedicata agli scontri di ieri a Roma. «La compravendita dei deputati va a buon fine, Berlusconi si salva, ottiene la fiducia per tre voti e dichiara: “Andrò avanti”. Grande manifestazione a Roma, ma la notizia da Montecitorio fa esplodere un’inedita rivolta, che dilaga nel centro della città. Un centinaio di feriti e decine di fermati» sintetizza il sommario che rimanda alla successive pagine: fino a pagina 7 si affronta in parallelo la fiducia e i disordini di Roma. Nell’editoria di Norma Rangeri in prima dal titolo «La coda velenosa» si legge: «Il presidente del consiglio ieri è salito al Quirinale, ma per rilanciare se stesso e il suo governo. Anche se con solo tre voti, anche se con una maggioranza in crisi, anche se la sua è stata definita una vittoria di Pirro, Berlusconi ha battuto l’avversario e strappato la fiducia. Ora sarà lui a decidere quando buttare all’aria il tavolo per portarci alle elezioni. Con questa legge elettorale, con questo potere mediatico, con la forza della sua ricchezza. (…)» e prosegue concludendo: « Alle scene di una città messa a fuoco, corrispondeva lo spettacolo della corruzione, delle consorterie, delle cricche. Con la sfilata dei deputati appena conquistati che vanno a votare solo all’ultima chiamata per avere il palcoscenico sgombro e mostrare il rito dell’obbedienza. Il voto di ieri è la coda velenosa di un sistema in crisi. Bisognerà mettere in campo l’antidoto e rinforzare gli anticorpi di un’altra politica». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Andrea Fabozzi, il cui pezzo con occhiello «dentro” fa da contraltare a quello di Loris Campetti «fuori». L’articolo intitolato «Il numero fisso della camera» inizia in prima pagina per proseguire poi alla 3 « La rissa c’è anche dentro, ci sono tradimenti e bugie, sorprese, sbandieratori, cori, insulti, spintoni, sparizioni e abbracci, molti abbracci. Ma il Palazzo è fermo e fisso è il numero della vittoria: tre e quattordici come il pi greco» descrive poi il siparietto del dopo intervento di Berlusconi « Berlusconi esce dall’aula solcando apposta il gruppo dei finiani. Si ferma con Consolo, erano amici, lo sgrida e si allontana agitando l’indice, più su c’è Bocchino che intervenendo gli ha dato dell’arricchito, dello speculatore e dell’amico di Gheddafi e adesso si trova la mano del cavaliere sotto il naso, da stringere. La stringe e si prende due parole, senza replica. Poi il cavaliere rientra passando dal gruppo Udc e sono baci e sono carezze (…)».
“Governo salvo per tre voti. Roma sconvolta dai disordini”. Il titolo (e le foto) in apertura del SOLE 24 ORE mettono a confronto il voto in parlamento e quel che è accaduto fuori. Così come i commenti. Stefano Folli “Ultima chance per guidare il paese” si occupa della politica: «Berlusconi ha conseguito un successo personale di cui è difficile non cogliere il risvolto politico. Ha sconfitto il rivale Gianfranco Fini, che ha avuto il coraggio di sfidarlo a viso aperto, ma anche la colpa di scegliere una strategia sbagliata. E oggi – secondo punto importante – il presidente del Consiglio può gestire da Palazzo Chigi la fase che si annuncia. Con due ipotesi: tentare di allargare la maggioranza parlamentare ai centristi di Casini, oltre che ai «pentiti» del partito finiano; ovvero preparare le elezioni anticipate. C’è di più. Il vantaggio di Berlusconi consiste nell’aver dimostrato, grazie al voto di Senato e Camera, che non esiste in concreto alcuna alternativa di governo: esecutivo tecnico, di responsabilità nazionale, di armistizio o di transizione…». Alberto Orioli “Una giornata da dimenticare” degli scontri: «Rivisti i filmati che affiorano su Youtube, con teppisti che cercano di incendiare le camionette e un finanziere che in difesa ha estratto la pistola, è chiaro che se contiamo i feriti e non il morto è solo per fortuna. Non siamo tornati, improvvisamente, nella Roma blindata e devastata, degli anni 70. La storia non si ripete mai, ma la preoccupazione è forte per questo rigurgito violento. (…) nell’assenza di una politica di indirizzo di sviluppo economico e di crescita, prolifera il nulla petulante delle baruffe chiozzotte, benzina (non solo ideologica) per le molotov degli studenti arrabbiati e dei facinorosi di mestiere».
“Se adesso Fini caccia dal Fli la Siliquini e la Polidori, fa la stessa figura del Cav”, è il titolo che campeggia in prima pagina (ma non in apertura) su ITALIA OGGI. Secondo il quotidiano giallo infatti «Berlusconi starebbe per chiedere alle due il sacrificio di restare nel gruppo dei futuristi ancora un po’ a fare opposizione interna». Notizie e commenti sulla bagarre politica occupano le prima otto pagine del giornale. La tesi di fondo è esplicitata nel titolo al commento di Diego Gabuti: “Sul voto di fiducia il cav ha stravinto, ma è debolissimo”, con Fino che a pag 6 “promette il Vietnam: ogni voto sarà una sfida, Milleproroghe e giustizia in testa”. Interessante il focus di Carlo Russo sulla posizione della Lega. Secondo ITALIA OGGI infatti il voto di fiducia ha aperto un caso Lega, che in Emilia ha già iniziato a perdere i pezzi. Nel pezzo si cita il caso di Orazio Russotto leghista reggiano di Novellara che dopo il voto «si è tolto il fazzoletto verde dal taschino» e l’espulsione di Marco Lussetti. Per questo in Emilia Bossi ha inviato i suoi proconsoli: Rosi Mauro, Cristian Morselli e Giovanni Torri.
Prima pagina insolita per IL GIORNALE: titolo berlusconiano (“Cribbio, che botta”), grande vignetta centrale di Giorgio Forattini (il gladiatore Silvio con la daga sguainata attende il “pollice verso” di Giorgio Napolitano per finire un disarmato Gianfranco Fini), e pagina tutta dedicata a un’intervista a Vittorio Feltri, direttore de Il Giornale sospeso dall’Ordine dei giornalisti e quindi impossibilitato a scrivere il “suo” editoriale. E che così attraverso l’escamotage dell’intervista fa il punto sul voto di ieri alla Camera («Berlusconi ne è uscito incolume. Mentre Fini s’è scornato. Dovrebbe andarsene in esilio per un po’. Non dico cambiare mestiere, perché non mi risulta che ne abbia uno, ma una pausa gli servirebbe per riconquistare un pizzico di lucidità»). Ampio spazio (tre domande, con altrettante risposte in codice) è dedicato alle possibili aperture della maggioranza all’Udc. Secondo Feltri, riferito a Casini, «siccome le gerarchie vaticane in questa fase politica non si fidano né dei finiani, né della sinistra radicale, consiglieranno all’Udc di avvicinarsi a Berlusconi e di negoziare il suo ingresso nella maggioranza». Seguono 9 pagine tutte dedicate alla cronaca, agli approfondimenti e ai protagonisti – vincenti e perdenti – della giornata di ieri. C’ spazio per tutti: per la colomba ex Fli Silvano Moffa («Non mi è mai andata giù l’idea di far dimettere Berlusconi soltanto perché qualcuno, a un certo punto, non è più piaciuto. Torno nel Pdl»), per “La disfatta del Bocchino furioso” (pezzo di sfottò a tutta pagina sul capogruppo finiano), per “Le due donne che hanno messo ko Gianfranco” (Polidori e Siliquini; si sottolinea che «ormai nella formazione finiana sono rimaste solo 5 deputate contro 27 uomini»), e per il sempre fedele Umberto Bossi (“Bossi vuole le urne ma toglie il veto sull’Udc”). A chiudere, una pagina di approfondimento a firma Vittorio Macioce sul flop del sognato terzo polo (“Il battesimo del Terzo polo è un funerale”). Macioce è drastico: «Fini, Casini e Rutelli per sopravvivere in termini elettorali sono obbligati a cannibalizzarsi tra loro». Curioso come all’opposizione Il Giornale dedichi solo una stentata paginetta che segue due pagine dedicate agli scontri violenti avvenuti ieri nella Capitale durante e dopo le votazioni alla Camera, di cui oltre alla furia cieca dei black block vengono accusati i “bombaroli della parola”, nello specifico Vendola, che «sta con la piazza impazzita». E per l’opposizione, appunto, un titolo quasi malinconico: “Il flop di Pd e Idv, la solita sinistra zero tituli”. Con un certo compiacimento, ci si sbizzarrisce a mettere il dito nella piaga del movimento di Antonio Di Pietro, che con i suoi due transfughi ha consentito, di fatto, la sopravvivenza del Governo («a dirla tutta, per l’ex pm sbarcato in politica non è una novità. Da quando è nato, l’Idv perde pezzi per strada: Pino Pisicchio e Sergio de Gregorio, Salvatore Misiti e Giuseppe Giulietti. Già una decina di parlamentari hanno fatto le valigie e cambiato casacca»).
“Governo in piedi. E apre all’Udc” è il titolo a tutta pagina di AVVENIRE, sopra il fotomontaggio di un Berlusconi sorridente e, sullo sfondo, il cartellone del voto alla Camera affiancato da una foto della polizia in assetto di guerra. Il sottotitolo recita “Gruppi di antagonisti incendiano il centro storico di Roma”. Cinque le pagine interne sul voto di ieri che ha confermato la fiducia all’esecutivo. Ora Berlusconi non esclude una”crisi pilotata” per allargare la maggioranza e Bossi toglie il suo veto ai centristi. A pagina 6 il travaglio dei futuristi (per Fini è una vittoria di Pirro, ma il Fli si spacca) e la posizione del Pd, con la Bindi che dice “no” alle lusinghe del Cavaliere. Sulla nuova fase il direttore Marco Tarquinio nell’editoriale “Ritorno alla politica” scrive: «I conti alla fine sono tornati a Silvio Berlusconi e non a Gianfranco Fini. E il risultato è chiaro. Il presidente del Consiglio ha vinto. Il suo antagonista presidente della Camera ha perso: nessun disarcionamento, nessun ribaltone, nessuna crisi formalmente aperta. Tuttavia la fase critica è tutt’altro che archiviata. E dal punto di vista dell’interesse generale, non si può certo considerare esaltante la conclusione del feroce derby giocatosi in quello che era il centrodestra trionfatore delle elezioni del 2008». Due per Tarquinio le vie d’uscita politiche: «O le elezioni anticipate. O il rilancio del governo e della sua azione. Cioè il ritorno alla politica…. Da ieri è chiaro che molto dipenderà da chi, a Palazzo Chigi e in varie sedi di partito, sa fare progettazione e l’equilibrio non lo cerca solo nei numeri parlamentari».
Sono 15 le pagine che LA STAMPA dedica alla politica. Tre gli editoriali lanciati in prima (Mario Calabresi, Marcello Sorgi, Federico Geremicca), dove campeggia un’immagine degli scontri a Roma fra studenti-black block e forze dell’ordine e di sotto, taglio medio, l’abbraccio fra Silvio Berlusconi e Pierferdinando Casini. Il quotidiano di Torino offre ampio spazio ai retroscena sul voto, sulle trattative dopo la doppia fiducia, alla cronaca degli scontri in strada. Il direttore nel suo “Il muro tra politica e Paese” moralizza: «Il 14 dicembre è finalmente passato e Berlusconi è rimasto in sella, vincendo un’altra battaglia della sua guerra totale con Fini. Ma un governo che si salva per tre voti, conquistati nottetempo, ha poco da festeggiare: la sua unica preoccupazione oggi dovrebbe essere quella di riuscire a ritrovare la capacità di ascoltare il Paese e non quella di sopravvivere un giorno in più». Vale la pena, poi, nel marasma delle informazione e delle cronache fornite, riportare le parole di Mattia Feltri dal suo “Tra partorienti e insulti in scena il Silvio-show”: «Mentre la Polidori diceva sì alla fiducia, e quelli della Lega sentivano un insulto (alla Polidori era attribuita un`antica professione) che i finiani negano d`aver pronunciato, uscivano istinti mai sopiti, Fabio Granata e Giorgio Conte tiravano fuori un orgoglio borgataro, fra loro e il leghista Gianni Fava c`era uno scambio di immaginabili inviti, ad andare a fare di qui e di là, ognuno con la propria testa ben qualificata» e ancora «Berlusconi aveva invitato Casini a tornare nel centrodestra, Casini aveva replicato che prima Berlusconi si deve dimettere: vecchie e inconciliabili posizioni finché il congressino non è diventato gazzarra, Berlusconi che, dall`alto della sua ipnotica capigliatura, invitava Casini a tingersi, se non altro per ragioni d`alcova, visto che il marrone ratto pare più ambito del brizzolato. E Rocco Buttiglione, Lorenza Cesa, Luca Volonté, tutti a ridere come vecchi camerati, s`intende di servizio militare, in un incredibile esperimento di fascinazione collettiva». La morale? 1-0 per B. ma F. ora promette la Cambogia parlamentare.
E inoltre sui giornali di oggi:
MIGRANTI
IL MANIFESTO – L’articolo di apertura a pagina 8 è dedicato al fatto che « A sorpresa il Parlamento europeo boccia le norme della “Bolkestein 2”, che avrebbe finito per discriminare proprio i soggetti che intendeva proteggere, creando braccia straniere low-cost», l’articolo è intitolato «Strasburgo dice no alla schiavitù moderna». « Era partita come una direttiva utile per gli immigrati, almeno nelle intenzioni di facciata, ed è finita per diventare un mostro di discriminazione tanto da meritarsi il soprannome di Bolkestein 2, il ritorno del dumping. La direttiva sul permesso unico di lavoro e di residenza per i lavoratori immigrati, che pretendeva dare pari diritti a chi è comunitario e a chi non lo è, è stata bocciata ieri, non senza sorpresa, dal Parlamento europeo». Si spiega anche che nel documento bocciato « La differenza la fanno le eccezioni. Il testo della Commissione, appoggiato anche dai 27, eliminava dal campo di applicazione della direttiva i lavoratori immigrati stagionali (un esercito in paesi come l’Italia e la Spagna), chi gode o ha richiesto una qualche forma di protezione internazionale e i dipendenti che un’impresa di un paese terzo sposta in una sua succursale europea. Gli alberghi e ristoranti europei – rifletteva Cercas prima del voto – rischiano di essere gestiti da lavoratori stagionali da paesi terzi, con meno protezione dei colleghi comunitari, in un nuovo tipo di schiavitù moderna». Per quanto riguarda i diritti negati dalla normativa bocciata si ricorda: « La direttiva non riconosceva infatti la portabilità delle pensioni dal paese europeo in cui si è lavorato a quello di origine (in pratica non si poteva tornare in patria, una volta finito il percorso lavorativo), limitava i diritti alle prestazioni familiari, alla casa (si poteva accedere alle liste per le case popolari dopo 3 anni di residenza e non da subito), alla formazione ed all’educazione permanente».
DISABILI
AVVENIRE – A pagina 13 racconta la vicenda di 3 disabili in Calabria che rischiano di restare senza assistenza. Oggi la Regione deciderà se rifinanziare il progetto “Abitare in autonomia” (in scadenza il 31 dicembre) che da otto anni consente ai malati gravi e a chi non si può muovere da casa di sopravvivere con dignità. Uno dei tre disabili è Mimmo Rocca, che da 25 anni coordina dalla carrozzella le operazioni di soccorso della squadra della Protezione Civile ultraspecializzata dei “Diavoli Rossi” e in una intervista racconta la sua esperienza.
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