Alessandro Bergonzoni non è solo quello che conosciamo. Da anni cova una passione: quella di disegnare. Così qualche mese fa ha pubblicato un libretto Bastasse Grondare (Libri Scheiwiller, 16 euro). Nell’introduzione dialoga con un artista famoso, Emilio Isgrò, sul senso del fare arte. Come accade sempre quando c’è Bergonzoni di mezzo, sono riflessioni per nulla scontate. Come questa…
Se ormai non fosse stata svuotata di forza userei la parola “coraggio”? Allora ti chiedo: perché si ha così “paura” di parlare “davvero” d’arte? Quando ne parlo nei giornali, nelle interviste, con il pubblico, sembra sempre che non stia in tema; che pronunci una parola che rimanda più al tempo libero, all’intrattenimento, alle feste o manifestazioni comandate, più che alla libertà dal tempo? un qualcosa che conquista soltanto in alcuni momenti dell’esistere, quei momenti in cui, distratti, ci si rifà un po’ il palato, ci si lava? Perché l’arte non nasce come un continuum, come “la preesistenza”, l’energia, l’altro trascendente, un immenso?
Tutto è gestione e organizzazione delle vite, amministrazione del vissuto e del vivrai, economia del cittadino, finanza all’opera, raziocinio in un lago senza cigni e senza lago? Non ci dovrebbe essere soprattutto la creazione – non ho detto creatività -, l’invenzione, l’energia cosmica – permettimi – o almeno universale, in chi scava e solca l’invisibile? Perché di invisibile voglio anche parlare e – scusa ancora – delle sue anime unanimi?
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