Cultura

Bergoglio, il papa dell’incontro

Nella breve predica mattutina a Santa Marta commenta il vangelo della resurrezione del figlio della vedova di Nain e per ben 30 volte ritorna su questa parola chiave. Un parola che spiega come poche altre la direzione del suo pontificato.

di Giuseppe Frangi

Se c’è una parola chiave per definire non solo il pensiero ma anche la posizione umana di papa Francesco, questa parole è incontro. Se ne è avuta una conferma questa mattina quando nella breve riflessione che accompagna la messa mattutina a Santa Marta, Bergoglio si è trovato a commentare il Vangelo di Luca con l’episodio della vedova di Nain. In quei pochi minuti di predica la parola “incontro” ricorre 30 volte, intorno all’idea che quella che unisce ogni azione di Gesù sia sempre una «cultura dell’incontro». Per spiegarsi Bergoglio ha fatto un esercizio di immaginazione, proprio secondo l’insegnamento di Sant’Ignazio, il fondatore dei Gesuiti. «Quello che il Vangelo oggi ci annuncia», ha detto, «è un incontro. C’è un incontro fra la gente, un incontro tra la gente che era sulla strada, fra un uomo e una donna, fra un figlio unico vivo e un figlio unico morto; fra una folla felice, perché aveva incontrato Gesù e lo seguiva, e un gruppo di gente, che piangendo accompagnava quella donna». È grazie quell’incontro che Gesù viene preso dalla compassione: «Gesù con la sua compassione si coinvolge nel problema di quella signora. “Si avvicinò, le parlò e toccò”. Dice il Vangelo che toccò la bara. Ma sicuramente quando ha detto “non piangere”, toccò la vedova pure. Una carezza. Perché era commosso, Gesù. E poi fa il miracolo». Vale a dire il miracolo di risuscitare il ragazzo. Ma a questo punto c’è il passaggio più sorprendente della riflessione del papa: «C’è un gesto di Gesù che proprio fa vedere la tenerezza di un incontro e non solo la tenerezza, la fecondità di un incontro. “Il morto si mise seduto e cominciò a parlare ed egli — Gesù — lo restituì a sua madre”. Non ha detto: “Ecco, è fatto il miracolo”. No, ma: “Vieni, prendilo, è tuo”». È un modo incontrovertibile per far capire come «ogni incontro è fecondo. Ogni incontro restituisce le persone e le cose al loro posto».

È un’annotazione psicologicamente sottilissima: l’incontro non è semplicemente un venire incontro a un bisogno. È un «rimettere le cose al loro posto». Per questo insiste Bergoglio il vero rischio che corre la società di oggi è quello di non capire che l’incontro è la sostanza della quotidianità. Che non è una esperienza di momenti speciali, ma è il cuore del buon vivere. «Se io non guardo — non è sufficiente vedere, no: guardare — se io non mi fermo, se io non guardo, se io non tocco, se io non parlo, non posso fare un incontro e non posso aiutare a fare una cultura dell’incontro». Come aveva efficacemente detto nell’Evangelii Gaudium, «il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo».

E questo corpo a corpo riguarda ogni istante, ogni situazione anche quelle più apparentemente di routine, come ad esempio la vita in famiglia: Gesù infatti, sintetizza Francesco, «ci fa riflettere sul modo di trovarci fra noi».

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