Welfare

Benvenuti nel videogame dove in palio c’è la vita

Le morti bianche protagoniste di un'installazione di Eva Frapiccini

di Redazione

Giorgio, Andrea, Pal, Roberto. Sul monitor di un gioco da bar scorrono le storie e le immagini di tanti eroi normali. Protagonisti di un partita chiamata lavoro Giorgio aveva 43 anni quando, il 15 febbraio del 1990, salì sul tetto del Teatro Giacosa di Ivrea per un intervento di ristrutturazione. Dopo essere stato assunto come operaio in una grande azienda di infissi in alluminio, era stato promosso a capocantiere, con uno stipendio di circa due milioni di lire. Le fotografie del suo album di matrimonio, così familiari nella loro ambientazione – l’auto d’epoca, il parco immerso nel verde, la villa con torretta sullo sfondo – ci raccontano di un uomo che andava incontro con fiducia al futuro. Il libretto di lavoro numero 232738, aperto sulla data di cessazione di servizio, è tutto quello che rimane oggi di lui, trascinato giù da quel tetto, dove lavorava senza impalcatura, da una folata di vento.
C’è un modo per raccontare questa storia, al di là delle statistiche, lontano dalla morbosità dei media, arrivando davvero al cuore della gente? Eva Frapiccini, una giovane artista nata a Recanati nel 1978, ha scelto di comunicare un tema così delicato come quello della sicurezza sul lavoro attraverso i linguaggi dell’arte contemporanea, affidando il caso di Giorgio e quello di altre sette persone vittime di incidenti ad un’installazione video. L’opera, intitolata Street Fighters, è stata realizzata nel 2010 per la collezione di fotografia contemporanea della Fondazione Cassa di risparmio di Modena, che seleziona periodicamente lavori di giovani artisti italiani attraverso bandi di acquisizione specifici.
«Mi incuriosisce tutto quello di cui non si parla», spiega l’artista. «Per mia indole mi avvicino agli argomenti attraverso le fonti dirette, per cercare una mia idea sul reale. Così è iniziato il contatto con il tema del lavoro “insicuro”. La mia ricerca si è mossa dai numeri sconvolgenti delle statistiche, di milioni di italiani coinvolti, passando alla sfera personale delle famiglie, coi loro album, le storie di vita. Ho formato un puzzle chiaro di assenza di prevenzione, di consapevolezza di lavoro come causa di malattia. Ho scelto un game-cabinet come simbolo e custode di queste esperienze video, di interviste di familiari e protagonisti, che per molti sono vittime di fatalità, per altri non esistono, e per alcuni sono perdite calcolate, morti virtuali come in un videogioco».
Il nome dell’installazione evoca un videogame molto popolare nelle sale giochi degli anni 80, in cui a battersi erano eroi dai superpoteri, capaci di difendersi a calci e pugni. Nella variante creata dalla Frapiccini i protagonisti sono persone qualunque, magari un po’ più deboli delle altre, a causa della mancanza di protezione e tutela sul posto di lavoro, ma certamente non meno valorose ed eroiche di quei guerrieri digitali. L’installazione della Frapiccini ce le presenta ad una ad una, in forma di immagini che scorrono sul monitor di un videogioco da bar. Ci si siede su uno sgabello, si indossa una cuffia, si azionano le manopole e sullo schermo compaiono i racconti da guardare, suddivisi nelle asettiche categorie utilizzate dalle compagnie assicurative: «morti bianche», «incidenti sul lavoro», «malattie professionali». Veniamo così a sapere di Giorgio, ma anche di Pal, maestro di matematica in Albania, muratore in Italia, rimasto disabile al 70% nel 2003, dopo che gli era caduto addosso un balcone di marmo da 25 quintali. Di lui la Frapiccini ci mostra i segni lasciatigli sul corpo dall’incidente, una lunga cicatrice sulla schiena, una radiografia. Eppure Pal è ancora lì, sul suo divano, a raccontare con sua moglie quel che è successo. È un sopravvissuto. Per Roberto, invece, 32 anni, operaio alla Thyssen, così come per gli altri sei compagni rimasti coinvolti nella terribile esplosione del 2007, non c’è stato niente da fare. Game over.

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