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Benvenuti al Nord

Film Sorpresa: anche quelli di Calais hanno un'anima

di Maurizio Regosa

S i dice che se qualcuno deve andare a Calais, piange due volte. La prima, ovviamente, perché gli tocca trasferirsi nella terra di nessuno, dove regnano il freddo e l’oscurità? La seconda, inaspettatamente, quando riparte: si è trovato talmente bene che ora il Sud (regione che in Francia significa ricchezza e benessere; vedi caso) gli appare una terra pallida e poco invitante. Effetto dei giudizi preformulati, i peggiori e al tempo stesso quelli più duri a morire: bisogna sbatterci il naso, insegna questa commedia divertentissima, e soprattutto avere il buon senso di cambiare idea. Conquista, anche quest’ultima, non da poco. Lo sappiamo tutti: ci si affeziona alle proprie idee, e assai di più a quelle cattive?
Chapeau dunque al malcapitato direttore delle poste trasferito per (meritatissima) punizione nel Nord del Nord. Là dove il sole non batte mai – a detta dei francesi – e dove la lingua non è più tale: è suono indistinto e borbottante, in cui le vocali si allungano sino a essere strascicate e le consonanti fatalmente si agglutinano. Bienvenue chez les Ch’Tis è, appunto, il titolo originale del film di Dany Boon (sceneggiatore super, regista discreto, interprete eccellente). Contro ogni aspettativa e a dispetto del suo umor nero, è capace, il nostro funzionario (e bravo anche a Kad Merad), di aprire gli occhietti e riconoscere quel che vede attorno a sé; di osservare davvero quella comunità in cui va ad inserirsi, di mettere da canto le aspettative (circa i cerberi settentrionali, ubriaconi e grevi) e di non rifugiarsi nella supponenza di chi ha dalla sua, o crede di avere, la forza della maggioranza. Della normalità presunta. Della cultura nazionale brandita come un’identità armata. È in questo modo che impara ad apprezzare i formaggi molto profumati, i sapori “forti”, l’ironia e finanche il buon senso. Ciò detto, nemmeno i settentrionali sono perfetti. Un po’ grezzi lo sono davvero. Né mancano loro quei tic tipici delle comunità non troppo abituate al confronto. Ma nel complesso sono onesti. Non fanno giochetti; sanno accogliere con simpatia. E hanno la voglia di mostrarsi. Dal lato buono (come da quello meno fotogenico).
Così, tra gags degne della miglior commedia francese (c’è un pizzico persino di Jacques Tati), situazioni incredibili (ma non per questo meno vere: vedi le reazioni della moglie del trasferito), paradossi (non solo linguistici), Giù al Nord si rivela un’ottima commedia agrodolce. Nel finale, è vero, diventa leggermente mielosa, con un epilogo ottimistico e conciliante. Ma se lo può davvero permettere. Fin lì ci ha fatto talmente divertire?

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