Famiglia

Benvenuti al club delle menti ritrovate

Si chiamano Clubhouse e assomigliano a circoli di amici. Si entra come soci, si esce da lavoratori indipendenti. In 30 Paesi hanno funzionato. E ora, a Milano...

di Gabriella Meroni

Quando si trovò di fronte a una parete bianca, Bob (chiamiamolo così) non si scompose più di tanto. Nel manicomio in cui aveva vissuto per 17 anni i muri erano tutti, ma proprio tutti, bianchi. Quello che lo fece sussultare fu la richiesta di Pauline, la ragazza che l?aveva portato via di là e gli stava offrendo un letto in un appartamento protetto. «Di che colore vuoi dipingere la tua stanza?». Bob allora – siamo nel 1995 – aveva 54 anni e gli psichiatri lo definivano uno «schizofrenico senza speranza». Nella sua vita non aveva mai scelto niente, né il colore di un muro, né una giacca, né che cosa fare della sua vita. Di lì a poco, Bob iniziò a lavorare per l?università di New York, una settimana dopo Pauline gli scattò una foto con il suo primo stipendio stretto tra le dita, e lui la incorniciò e la appese alla parete della sua stanza. Arancione. Bob è uno dei 55mila ospiti delle Clubhouse, una rete di case (ma meglio definirle proprio ?club?) in cui i malati psichici vengono accolti, in tutto il mondo, per 24 ore o per qualche momento della giornata, e in cui, sempre che lo vogliano, possono iniziare a lavorare. Con i loro tempi, al loro livello. Per poi, come obiettivo finale, riprendere le capacità annebbiate e trovare un impiego esterno, completando il processo di recupero. «Il modello Clubhouse nasce a New York 55 anni fa», spiega Pauline Anderson, l?amica di Bob che oggi dirige l?International center for Clubhouse development (Iccd). «Ma oggi siamo presenti in 30 Paesi, da Hong Kong a Mosca, dall?Australia al Kosovo. Il nostro obiettivo, ambizioso ma urgente, è dare un?opportunità alle persone che soffrono di una delle patologie più comuni ma anche più ignorate a livello globale». Pauline snocciola cifre da brivido. Duecento milioni di persone al mondo soffrono di disturbi mentali; una famiglia su quattro è toccata dal problema; l?85% dei malati non lavora o è sotto-occupato; il 40% delle nazioni, specie se povere, non dispone di legislazione sulla salute mentale. «L?adesione alla Clubhouse di un disabile psichico è volontaria. Non esistono contratti, programmi o regole», continua Pauline. «Chi entra lascia la propria diagnosi fuori dalla porta e torna a essere una persona. Punto e basta». La Clubhouse è separata da qualsiasi centro per la salute mentale o ambiente istituzionale. Progettata per facilitare la giornata lavorativa ma anche per essere piacevole, proprio come un circolo, offre la possibilità di darsi da fare gratuitamente per il buon funzionamento della casa ma anche di tornare al lavoro retribuito, attraverso tre livelli di impegno: lavoro di transizione (part time e limitato nel tempo), lavoro supportato (a tempo indeterminato, ma sostenuto dalla Clubhouse) e indipendente (esterno e autogestito). E quando Pauline parla di lavoro, intende lavoro. Niente pupazzetti da vendere nei ristoranti, niente statuine da intagliare per passare il tempo. «I nostri soci sono impiegati nelle top companies di New York e del mondo», sorride questa vivace signora dai capelli rossi e l?accento irlandese. «Dow Jones, McKenzie, le università, il palazzo reale norvegese, il parlamento svedese. Quella che abbiamo con le aziende è una partnership win-win, dove entrambi guadagnano: i lavoratori e le imprese, che così incrementano la loro responsabilità sociale». Un modello di qualità certificata (le Clubhouse devono adeguarsi a elevati standard verificati dallo staff direttivo, e aggiornati ogni due anni) che l?Iccd ha il compito di portare in tutto il mondo. Prossimi sbarchi? «Incredibilmente, l?Iran. E l?Italia». Qui il testimone è pronto a prenderlo l?associazione Progetto Itaca, nata cinque anni fa a Milano e che può contare su oltre 100 volontari che portano avanti vari progetti nel campo della salute mentale (vedi box). Itaca aprirà a fine giugno la prima Clubhouse italiana (a Milano, sui Navigli) grazie al contributo di imprese, imprese sociali e sponsor che credono nella filosofia ?amicale? che sta alla base del progetto. Quanto ai muri, i barattoli dei colori sono già pronti. Associazione progetto Itaca Chi raccoglie il testimone L’Associazione Progetto Itaca è nata a fine 1999 per attivare iniziative e progetti di prevenzione, assistenza e riabilitazione per persone affette da disturbi della salute mentale. Progetto Itaca gestisce una linea d?ascolto nazionale dedicata a chi soffre di depressione, ansia, attacchi di panico, anoressia, bulimia e ai loro famigliari, e realizza diversi progetti di informazione e prevenzione del disagio psichico e dei disturbi dell?umore e del comportamento alimentare nelle scuole. Inoltre ha dato vita, con le associazioni Borgo in Città e Cast al progetto Borgo in Rete per assicurare a persone che hanno avuto l?esperienza del ricovero in ospedale o in comunità un appartamento protetto, e sovrintende con i suoi formatori a diversi gruppi di auto-aiuto composti da persone che hanno in comune lo stesso disagio psichico. L?associazione ha inoltre creato una banca dati di tutte le strutture sociosanitarie pubbliche e del privato sociale d?Italia nel campo della salute mentale. L?ultima iniziativa di Itaca sarà l?apertura, a Milano a fine giugno, della prima Clubhouse italiana. Info: tel. 02.72021138 segreteria@progettoitaca.org www.progettoitaca.org


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