Cultura

Benigni a Sanremo: un manager alla Lucignolo

Recensione del film "Pinocchio"

di Aurelio Picca

All?Ariston, Roberto Benigni ha squadernato il repertorio delle bugie di Pinocchio, anticipando il suo prossimo film che, naturalmente, avrà un grandissimo successo. Con un?intelligenza allenata e preparata con i suoi collaboratori baciati dall?Oscar (Piovani e Cerami), Benigni si è alzato due palmi sopra la solita mediocrità (nel senso di spettacolo medio, o specchio dei vizi degli italiani) di Sanremo. Ha conciliato le parti; è stato (nel gesto) meno volgare nel pinzare i genitali a Pippo; ha recuperato, a sé, con finezza (senza dire: W l?Italia!) la BANDIERA, la PATRIA, la FAMIGLIA; s?è persino scusato d?essere un comico: dunque un bambino fragile. Poi, nei tempi di raccordo del suo monologo incalzante, è stato guitto, burattino, giamburrasca. Non c?è che dire: tempi e spartito perfetti. Ma le due cose più riuscite sono state quando ha recitato Dante e quando s?è proposto con quel madrigaletto d?amore. Veramente straordinario. Come a dire: ora vi piazzo questa canzoncina che se l?avessi portata in gara v?avrei fatto il culo. È stato bravo Benigni, ma è un bugiardo perché sembra Pinocchio però non lo è. Infatti Pinocchio è un ingenuo, dice bugie perché è senza mamma, è birichino perché si fa tirare di qua e di là dagli amici furbi come Lucignolo, come Benigni. Che non ha il cuore grande di Pinocchio, ha un senso aziendale degli affari proprio come Lucignolo. È un manager dei giorni nostri. Non è mai stato un genio dilettante come l?indimenticabile Troisi.

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