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Beni: l’Arci è unita, troveremo una soluzione

Paolo Beni resta alla guida dell'Arci fino a un "congresso bis". «Sul programma politico, la visione è unitaria la discussione è sul come dare rappresentanza alle diverse anime dei circoli», spiega Beni. Che anticipa: «Chiavacci e Miraglia restano i candidati, ma forse questa volta si troverà un accordo prima»

di Sara De Carli

Il giorno dopo, Paolo Beni sdrammatizza. Il Congresso che avrebbe dovuto eleggere il suo successore alla presidenza dell’Arci, che ha radunato a Bologna per quattro giorni quasi 600 delegati (il 98% degli aventi diritto, un tasso di partecipazione altissimo), si è concluso con la scelta di sospendere i lavori senza andare alla votazione, riaggiornandosi entro il 3 giugno. Fino ad allora Beni – che dall’anno scorso è anche onorevole Pd – resta alla guida dell’associazione con un milione di soci («non senza fatica», ammette, «ma non potevo tirarmi indietro»), insieme a un Comitato di Reggenti di cui faranno parte tutti i presidenti regionali di Arci.

Cos’è successo?
Innanzitutto non drammatizziamo. È stato un buon congresso, per partecipazione e per discussione. C’è condivisione sul progetto politico e culturali, gli odg e il documento politico sono stati votati all’unanimità, c’è stata una discussione molto positiva e molto unitaria.

Perché allora si parla di rischio spaccatura?
Proprio in virtù dell’unitarietà sulla visione politica, sarebbe insensato rischiare divisioni interne. Per questo ci siamo fermati, per darci un supplemento di riflessione e di discussione.
 
Toscana e Emilia Romagna hanno minacciato di lasciare il Congresso…
Sono le cose che succedono nella concitazione, per questo sono contento che abbia prevalso la ragionevolezza, fermando le dinamiche pericolose. Siamo d’accordo sugli obiettivi, c’è disaccordo sugli strumenti organizzativi e sull’assetto da dare all’organizzazione.

Ma il nodo critico qual è? Il problema sembra quello tra le due anime dell’associazione, quella più movimentista e quella più politicizzata…
Arci ha sempre avuto diverse anime, che hanno sempre convissuto: non è una contraddizione, è la nostra ricchezza. Ci sono territori in cui i circoli sono molto forti, con numeri elevati, e territori che hanno numeri più bassi ma una grandissima motivazione e sono molto attivi nelle dinamiche locali. Il problema è trovare un equilibrio alla rappresentanza di queste due dimensioni, in sede nazionale: c’è – ovviamente – il criterio del numero di iscritti, che è indiscutibile ed è la base di qualsiasi democrazia rappresentativa, ma serve anche apportare dei correttivi o affiancare nuovi criteri per garantire adeguato protagonismo anche alle esperienze numericamente meno consistenti, ma importanti.

È su questo equilibrio che le cose sono saltate?
Ancora una volta devo dire che nemmeno questo è un tema nuovo, il punto di equilibrio si è sempre trovato. Il problema è che in questa situazione la tendenza a dare più o meno peso a uno dei due criteri si è sovrapposta con la dinamica della competizione elettorale fra i due candidati. La discussione è stata viziata dal fatto che il punto di equilibrio che si andava cercando avrebbe influenzato anche l’esito delle votazioni.

Un candidato cioè era più favorevole a alla componente numerica, uno all’altra?  
Esatto.

Miraglia più per i correttivi, Chiavacci più per il proporzionale?
Sì, esprimono territori dove la realtà è questa.

Che succede da qui al 30 giugno? I candidati alla presidenza restano loro?
Cosa succederà non lo so. Io sono dell’idea che i candidati restino loro due, ho sempre detto che sono due ottime figure, non sono incompatibili, auspico invece una gestione unitaria a prescindere da chi farà il presidente, che deve essere uno. Può darsi poi che si trovi una soluzione diversa o che si vada a un accordo prima del prossimo congresso. Ovviamente non sarà un nuovo congresso, non sarà tutto da rifare, si deve solo concludere il lavoro già fatto.
 


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