Welfare

Beni confiscati: la legge da sola
 non basta, serve visione politica

La prefazione firmata dal presidente di Fondazione con il Sud Carlo Borgomeo all'Instant Book per i 25 anni dalla legge del 1996 che VITA presenterà in diretta Facebook venerdì 12 alle ore 17 con la partecipazione dei sottosegretari all'Interno Ivan Scalfarotto e alla Giustizia Francesco Paolo Sisto

di Carlo Borgomeo

Voglio festeggiare i 25 anni della legislazione più avanzata al mondo in tema di confisca, legislazione nata su impulso di una straordinaria mobilitazione delle coscienze promossa da Libera, fermandomi su due questioni molto attuali. La prima è l’iniziativa dell’Agenzia per i beni confiscati che ha messo a bando mille beni confiscati prevedendo l’assegnazione diretta ad enti del Terzo settore. Iniziativa che abbiamo salutato con grande soddisfazione: non tutti i beni erano particolarmente appetibili, ma tuttavia questa decisione ha provato a dare uno scossone ad un sistema che mostra in modo sempre più evidente, limiti, ritardi, contraddizioni. Ma questa iniziativa è monca: all’assegnazione del bene non si accompagna, come sarebbe ovvio, un contributo finanziario indispensabile per le opere di ristrutturazione e per l’avvio delle attività.

La Fondazione Con il Sud ha ripetutamente sollecitato il Governo perché venissero destinate al Bando risorse che l’Agenzia trasferisce al Fondo Unico Giustizia. Ma inutilmente. E così i beni, assegnati, resteranno in gran parte inutilizzati. La seconda è relativa a ciò che prevede l’attuale versione del Pnrr (Piano nazionale di riprese e resilienza): «Si interviene sulla valorizzazione dei beni confiscati alle mafie, potenziando il lavoro congiunto dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati e dell’Agenzia per la coesione territoriale, con investimenti finalizzati alla restituzione alla collettività dei beni confiscati e al loro utilizzo a fini di sviluppo economico e sociale (inclusa la creazione di posti di lavoro), nonché come presidi di legalità a sostegno di un’economia più trasparente e del contrasto al fenomeno della criminalità». Un efficace ed insopportabile esempio della retorica sui beni confiscati, senza scelte, senza indicazioni operative, senza risultati attesi. A che servono i 300 milioni stanziati? Sono due vicende esemplari: sui beni confiscati manca un pensiero forte, mancano scelte politiche adeguate. Non si vuole fare i conti con l’evidente inadeguatezza dell’impianto normativo e degli strumenti di gestione rispetto alle caratteristiche del fenomeno: beni immobili, aziende confiscate, somme di danaro confiscate hanno raggiunto dimensioni enormi, impensabili 25 anni fa. Scarso il numero di beni immobili valorizzati, ridicolo il numero di aziende rimesse in moto, buio pesto sull’utilizzo dei beni mobili registrati, sconosciuta la destinazione delle somme confiscate. Rispetto a questo quadro si è proceduto, negli anni, con una logica emergenziale sia a livello legislativo che amministrativo. L’ultima modifica legislativa, il Codice antimafia, è figlia dello scandalo che colpì la magistratura palermitana in materia di aziende confiscate; di tanto in tanto si destina qualche risorsa in più all’Agenzia intanto costretta, per una scelta demagogica, a lavorare in un piccolo appartamento confiscato. Manca un disegno politico adeguato. Soprattutto è debole la convinzione che la massa dei beni confiscati, se ben utilizzata, può diventare una formidabile leva di sviluppo sui territori.

Lo Stato e le comunità sono più forti delle mafie se confiscano i beni, ma anche se li utilizzano a fini sociali e di sviluppo. Ma per fare questo non basta l’attuale sistema. Qualche anno fa la Fondazione Con il Sud ha coordinato un gruppo di lavoro costituito dalle Fondazioni Cariplo, Cariparo, del Monte di Bologna, Sicilia e dal Forum del Terzo Settore e ha prodotto un documento contenente alcune proposte. Un lavoro lungo ed approfondito, sostenuto da due studi puntuali ed affidabili dell’Università di Bologna e di Nomisma. Nessun effetto: il mondo di riferimento resta condizionato da inerzia e rendite di posizione. Vale la pena di richiamare le principali indicazioni di quella proposta. Trasformazione dell’attuale Agenzia in Ente pubblico economico con personale qualificato in campo finanziario, immobiliare, industriale, agroalimentare. E regolato dal contratto di lavoro privatistico. Destinazione di tutte le risorse economiche confiscate al medesimo Ente per gli investimenti necessari alla valorizzazione dei beni. Procedure molto rapide per decidere sul futuro delle aziende confiscate evitando che per anni, spesso per decenni, siano affidate ad amministrazioni giudiziarie costose ed improduttive di risultati; vendita all’asta dei beni mobili registrati (automobili, barche); utilizzazione dei beni immobili per fini istituzionali (caserme, scuole, uffici pubblici); per iniziative sociali gestite da Enti del Terzo settore cui, dopo un congruo periodo, trasferire la proprietà; per attività economiche sostenibili; e nel caso di beni inutilizzabili per questi obiettivi, vendita o demolizione.

Se ne può parlare? Si può impostare una radicale riforma? Si può utilizzare questo immenso patrimonio per lo sviluppo? Siamo convinti che si può fare buona e sana economia utilizzando questo patrimonio? Siamo convinti che battiamo le mafie dimostrando che la legalità non è solo giusta, ma conveniente? Spero di sì.

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Foto: Feudo Verbumcaudo a Polizzi Generosa (PA) – (A.Puglia)

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