Politica

Beni confiscati, il nodo dei costi di ristrutturazione

Il presidente della Fondazione con il Sud, Carlo Borgomeo, aveva lanciato la proposta nei giorni scorsi: «lo Stato sostenga economicamente la ristrutturazione dei beni e l'avvio delle attività». Per Roberto Reggi (ex Demanio) e Mario Morcone (ex Beni Confiscati), l'idea può essere presa in considerazione ma «non deve essere assistenzialismo». La strada «è quella della co-progettazione a regia pubblica», chiarisce la portavoce del Forum del Terzo Settore, Claudia Fiaschi

di Lorenzo Maria Alvaro

Il 31 ottobre, scade il termine entro il quale gli Enti del Terzo settore possono presentare domanda all’Agenzia per i beni confiscati alle mafie, per l’assegnazione diretta di mille beni. Un bando che introduce due grandi novità: l'assegnazione dei beni diretta dall’Agenzia agli Enti del Terzo settore, quindi non passando attraverso gli Enti locali e la definitività delle assegnazioni che diventano a lungo termine.

Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud, un ente che negli ultimi dieci hanno ha attivato 102 progetti di valorizzazione di beni confiscati, nei giorni scorsi (con un editoriale su Avvenire), ha però sottolineato un limite del bando: «non mette a disposizione degli assegnatari risorse economiche per la ristrutturazione dei beni e l’avvio della fase di gestione delle attività. Vi è uno stanziamento simbolico di un milione di euro che, riferito a mille beni, diventa una somma del tutto inutile». Da qui la proposta di utilizzare a tal fine 200 milioni «riducendo, molto parzialmente, le risorse derivanti da confische di contanti e titoli, da trasferire al Fug (Fondo unico giustizia)».

L'idea «che lo Stato sostenga queste progettualità non è affatto peregrina», sottolinea Roberto Reggi, ex Direttore dell'Agenzia del Demanio e inventore dei bandi a rete, «non mi sento quindi di essere in disaccordo con Borgomeo soprattutto circa beni che vanno completamente ristrutturati. Ma solo per quelli. Diverso è invece il discorso se si considerano beni in buono stato e pronti per essere utilizzati. In questo caso l’autosostenibilità delle iniziative deve partire da subito. Sono innumerevoli gli esempi di concessioni di valorizzazione di beni del demanio che ne dimostrano la fattibilità. È una questione di messaggio: sarebbe terribile se, a fronte di un bene sottratto alla mafia, la comunità interiorizzasse che l'unica alternativa sono i sussidi statali».

Per Mario Morcone, ex direttore dell'Agenzia dei beni confiscati alla mafia, «conoscendo Borgomeo e la sua serietà gli darei i fondi anche a occhi chiusi. È sempre stato molto positivo, pieno di idee», ride, «ma dobbiamo tenere presente che non tutti sono come Borgomeo».

La proposta per Morcone «è buona e mi convince. I beni devono trovare una collocazione rapida e devono essere leva per lo sviluppo», la criticità però è che, «da un lato sui quesi soldi contano in tanti, ci sarà la resistenza di alcune istituzioni. Non dimentichiamo che quei fondi vengono usati per programmi e progetti dalle forze di polizia e dal ministero della Giustizia. C'è poi un punto nodale come sottolinea Reggi: le cose si devono fare e le aziende devono vivere con le proprie gambe. A me sembra che il pubblico e il Terzo settore stiano facendo la propria parte. A mio avviso quello che manca è il contributo del mondo profit. Oltre alle partnership pubblico-privato sociale è necessario che il mondo produttivo faccia un passo avanti».

«Come abbiamo già evidenziato all'Agenzia dei beni confiscati, quello che sottolinea Borgomeo è un problema reale», spiega la Portavoce del Forum del Terzo Settore, Claudia Fiaschi, «spesso si tratta di beni che non si riescono ad affidare perché sono particolarmente complicati da rigenerare in termini di impatto sociale, ma soprattutto di sostenibilità economica. Questo rende molto ostica la realizzazione di progettualità sostenibili e impattanti dal punto di vista sociale. È un tema che c'è ed è stato evidenziato nelle sede consultive in cui siamo presenti».

«Ci sembra», sottolinea la portavoce, «che l'utilizzo del Fondo unico di giustizia, cioè di un fondo che si alimenta anche con le risorse confiscate, trovi nel sostegno a queste attività la sua naturale collocazione. Sappiamo che queste risorse vengono già usate per altri capitoli di spesa, ma nulla vieta che una parte possa essere destinata a investire in beni confiscati che lo necessitino».

«Già oggi», conclude Fiaschi, «fondazioni, non profit, enti pubblici e imprese collaborano in molte occasioni. Sono anni che sottolineamo l'importanza della co-progettazione e del coordinamento a vari livelli di questi processi all’interno delle comunità. Oggi nessuno si può esimere dal giocare il proprio ruolo nella costruzione di uno sviluppo diverso e quello del profit può essere un apporto utile: non alternativo, ma integrativo al terzo settore».

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