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Benedetto XVI, intervista in volo
Ecco le domande dei giornalisti e le risposte del Papa durante il viggio verso il Camerun
di Redazione

Santità, dopo la sua ultima lettera ai Vescovi del mondo i giornali parlano di solitudine del Papa. Si sente davvero solo?
Devo un po’ ridere su questo mito della mia solitudine. In nessun modo mi sento solo. Ogni giorno ricevo visite dei miei collaboratori più stretti cominciando dal Segretario di Stato, il Prefetto di propaganda e tutti i capi dicastero. Ogni giorno ricevo personalmente i vescovi. Ho numerosi colloqui amichevoli. E nei giorni scorsi sono venuti a trovarmi anche i miei colleghi dalla Germania per chiacchierare con me. Non c’è solitudine.
Viaggia in Africa mentre è in corso una crisi economica mondiale. In particolare l’Africa deve fronteggiare anche una crisi alimentare. Lancerà un appello alla comunità internazionale? E in questo viaggio anticiperà anche i contenuti della sua prossima enciclica sulla globalizzazione?
Un elemento fondamentale della crisi economica è il deficit di etica nelle strutture economiche. L’economia non funzione se non porta in sé l’elemento etico. Perciò parlando di Dio e parlando dei grandi valori spirituali che costituiscono la vita cristiana cerco di dare un contributo per superare questa crisi e rinnovare le strutture economiche dall’interno. Naturalmente farò appello alla solidarietà internazionale. E di questi temi parlerò anche nella prossima enciclica. Questo è un motivo del ritardo nella pubblicazione. Eravamo quasi arrivati a pubblicarla quando si è scatenata la crisi economica. Abbiamo ripreso il testo per rispondere al cambiamento nel contesto attuale alla luce della dottrina sociale della Chiesa. Spero che l’enciclica potrà essere un elemento di forza per superare questa crisi.
In Africa a volte i responsabili della Chiesa sono considerati come un gruppo di ricchi e privilegiati e i loro comportamenti non sono coerenti con l’annuncio del Vangelo. Lei inviterà la Chiesa in Africa a un esame di coscienza e di purificazione delle sue strutture?
Ho una visione più positiva della Chiesa in Africa: è una Chiesa molto vicina ai poveri, ai sofferenti, alle persone che hanno bisogno di aiuto. Dunque mi sembra che sia un’istituzione che funziona ancora quando le altre istituzioni non funzionano più. Con il suo sistema di educazione, i suoi ospedali è molto presente tra i poveri. Naturalmente non c’è nessuna società perfetta. Ci sono peccatori e mancanze anche nella Chiesa in Africa. In questo senso un esame di coscienza e una purificazione interiore diventano necessari. Una purificazione delle strutture è necessaria ma è inutile senza una purificazione dei cuori.
In Africa si registra la presenza aggressiva delle sette, accanto alle religioni tradizionali africane. Qual è il messaggio della Chiesa cattolica in questa situazione?
È vero che ci sono dei problemi con le sette. Noi non annunciamo, come fanno alcuni di loro, un Vangelo di prosperità, ma un realismo cristiano. Non annunciamo miracoli, ma la sobrietà della vita cristiana. Noi siamo convinti che proprio questa sobrietà, questo realismo che annuncia un Dio che si è fatto uomo, un Dio che soffre dà senso alla nostra sofferenza. È un annuncio che apre a un orizzonte più vasto, un annuncio che ha più futuro. Sappiamo che queste sette non sono stabili nella loro consistenza. Per il momento sembra prevalere l’annuncio della prosperità e di guarigioni miracolose. Ma dopo un po’ di tempo si vede che la vita è difficile, che un Dio umano, un Dio che soffre con noi è più promettente, più vero, rappresenta un più grande aiuto nella vita. Inoltre noi abbiamo la struttura della Chiesa cattolica: non siamo un piccolo gruppo che dopo un po’ di tempo si perde. Ma entriamo in questa grande rete universale della cattolicità che ci avvolge dappertutto. Una grande rete di amicizia che ci unisce e che ci aiuta anche a superare il tribalismo.
Fra i molti mali che travagliano l’Africa vi è anche in particolare quello della diffusione dell’Aids. La posizione della Chiesa cattolica sul modo di lottare contro di esso viene spesso considerata non realistica e non efficace. Lei affronterà questo tema durante il viaggio?
Direi il contrario. Penso che la realtà più efficiente, più presente e più forte nella lotta contro l’Aids è proprio la Chiesa cattolica con i suoi movimenti, con le sue diverse realtà. Penso alla Comunità di sant’Egidio che fa tanto visibilmente e anche invisibilmente nella lotta contro l’Aids, penso ai camilliani, a tutte le suore che sono a disposizione dei malati. Direi che non si può superare questo problema dell’Aids solo con i soldi: questi sono necessari ma non bastano se non c’è l’anima. L’Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi che al contrario aumentano il problema. La soluzione può essere solo duplice: la prima, un’umanizzazione della sessualità cioè un rinnovamento spirituale e umano che porta con sé un nuovo modo di comportarsi l’uno con l’altro. La seconda, una vera amicizia soprattutto con le persone sofferenti, una disponibilità anche con sacrifici e con rinunce personali per stare con i sofferenti. Questi sono i due fattori che aiutano nella lotta all’Aids e che portano i progressi più visibili. Questa è la nostra duplice forza: rinnovare l’uomo interiormente e dargli forze spirituali e umane per un comportamento giusto nei confronti del proprio corpo e di quello dell’altro e la capacità di soffrire con i sofferenti che rimane presente nelle situazioni di prova. Mi sembra la giusta risposta della Chiesa che così offre un contributo grandissimo e importante.
Quali segni di speranza vede la Chiesa nel continente africano?
Nonostante tutti i problemi che conosciamo bene ci sono grandi segni di speranza in Africa: nuovi governi, nuova disponibilità di collaborazione, lotta contro la corruzione, direi anche l’apertura delle religioni tradizionali alla fede cristiana. Ho parlato con più della metà dei vescovi africani e mi hanno riferito che nonostante le difficoltà, anche le relazioni con i musulmani sono buone: hanno creato un comitato di dialogo, cresce il rispetto reciproco e la collaborazione.
Per seguire questo viaggio
Sul significato di questo viaggio ha scritto su Vita non profit magazine Padre Giulio Albanese. Scrive Albanese: «Benedetto XVI si accinge a visitare due Paesi africani che si affacciano sul grande Golfo di Guinea: il Camerun e l’Angola. È la prima volta che Papa Ratzinger mette piede nel continente dall’inizio del suo mandato petrino, in vista soprattutto della seconda Assemblea Speciale del Sinodo per l’Africa che si terrà a Roma nell’ottobre di quest’anno. Un momento di grazia e di discernimento per l’Africa, martoriata in questi anni da un’irrefrenabile ondata di violenze e in tempi più recenti dai drammatici effetti della crisi finanziaria internazionale con il conseguente drastico taglio dei fondi destinati alla cooperazione da parte dei donors. Un’assise episcopale dunque che dovrà affrontare i grandi temi della riconciliazione, della giustizia e della pace nel contesto globale dell’evangelizzazione di un continente grande tre volte l’Europa. E’ allora in questa cornice “missionaria” che si colloca il viaggio papale, con l’intento anche d’infondere speranza alle Giovani Chiese disseminate in un contesto geopolitico segnato da gravi sperequazioni sociali». (qui per leggere tutto l’articolo di padre Giulio Albanese).
Del viaggio si è occupato anche Lucio Brunelli nella sua rubrica Pani & pesci su Vita Magazine. In particolare Brunelli ha messo in rilievo lo scarsissimo interesse della stampa internazionale per questo viaggio. L’Africa è davvero la perfieria del mondo…
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