Non profit
Benedetto XVI, il primo Papa «a-capitalista»
Il testo del Pontefice letto con Fausto Bertinotti
«Questo documento chiude un ciclo. In cui i “nemici”
erano capitalismo e mondo operaio. Il nuovo avversario
della Chiesa è il mercato globale». È ormai chiaro che
«la sua autoregolamentazione è pura utopia» Caritas in veritate o Veritas in caritate? Già, bel dilemma. «Tu con chi staresti, Fausto?». «Io starei con San Paolo». Ovvio, come non averci pensato prima? Fausto Bertinotti “legge” l’ultima Enciclica del Papa, la commenta, la interpreta, ma il suo cuore antico batte per il primo teologo del cristianesimo. San Paolo, appunto. Intervistare Fausto Bertinotti è già di per sé un’esperienza affascinante e particolare, nel suo genere, ma farlo avendo per oggetto la Caritas in veritate – l’Enciclica di papa Benedetto XVI dedicata ai temi del lavoro, della società, del non profit – è un’esperienza davvero unica e speciale.
Vita: Benedetto XVI presenta un nuovo scenario, quello di un mercato che si “regola” solo se si fonda sulla solidarietà e la fiducia reciproca. Siamo, ancora una volta, alle belle e inutili parole?
Fausto Bertinotti: Il terreno di analisi su cui si muove questo Papa è di grande, enorme interesse per me. Vorrei dire, senza paura di sbagliarmi, che questa Enciclica “chiude” un ciclo che, nella Chiesa cattolica, aprì Leone XIII con la Rerum novarum, che è passato attraverso la Quadrigesimo anno di Pio XI e che è arrivato fino a Giovanni Paolo II, con la Sollecitudo rei socialis. Cosa è stata, infatti, la Rerum novarum se non una grande, potente, risposta ideale, politica e sociale all’irrompere sulla scena mondiale del movimento operaio e contadino e alle sue, fortissime, rivendicazioni sociali? Certo, Leone XIII e la Chiesa dell’Ottocento avevano anche la necessità di “aggiustare il tiro”, e cioè di rispondere, alle sfide di un capitalismo brutale. In tutti i “titoli” di quell’Enciclica si vede e si sente questo: non a caso, si chiamano, quei titoli, «Questione operaia», «Socialismo falso rimedio», «Socialismo inaccettabile per gli operai», eccetera. La Chiesa cattolica, dunque, “fa i conti”, risponde ai due protagonisti dell’epoca, capitalismo e movimento operaio.
Vita: Allora era una Chiesa forte, capace di muovere le sue truppe. Oggi è tutto diverso. È così?
Bertinotti: La Chiesa è in difficoltà ovunque, ed è in sofferenza. Anche la Chiesa, dunque, si pone il problema di essere preparata e di attrezzarsi alle sfide della post modernità, del post Novecento. Inoltre, la Chiesa ha visto anch’essa venir meno, quasi schiantarsi di colpo, i suoi due avversari storici, il capitalismo rampante e brutale come la forza storica e politica del movimento operaio. Potrei quasi dire, da questo punto di vista, che nella Caritas in veritate non vedo una Chiesa e un’idea “anti capitalista” ma “a-capitalista”. Ecco perché, appunto, il Papa non “se la prende” più con il capitalismo né, tantomeno, con il movimento operaio, ma con “il mercato”. E con un modello economico-sociale che è quello “nuovo” del capitalismo globale, finanziarizzato e globalizzato. Derubricato, quindi, il tema della “fuoriuscita” dal capitalismo, la critica del Papa è tutta interna, al capitalismo, punta a “regolamentare” il mercato, ben sapendo che la presunzione che il mercato si “autoregoli” è pura utopia. O puro interesse di chi, in quel momento, il mercato guida. La critica del Papa, dunque, si appunta e si circostanzia sulle conseguenze sociali e umane negative che “questo” sistema economico e sociale, “questo” capitale e “questo” capitalismo hanno prodotto e generato, nella società contemporanea. Marxismo e liberismo, qui, non c’entrano più nulla, sono ideologie e schemi del passato, come pure lo è la loro lunga, feroce, contesa. Qui, per il Papa, è la dimensione dell’etica e della morale che deve vagliare e sottoporre a verifica il mondo, e lo stato di cose presenti. Perciò, la critica che il Papa muove al capitalismo finanziario e globale si fonda sulle ragioni e i diritti di una concezione del mondo etico-morale, che è esattamente quella di questo Papa.
Vita: A sentirla si direbbe che – al netto del profondo rispetto e della grande attenzione che dimostri per questo Papa e per questa sua, straordinaria, enciclica – c’è più di qualcosa che non le torna, che non la convince?
Bertinotti: Ho un profondo rispetto per questo Papa e per le sue idee e non vorrei entrare in campi che non mi competono. Lo stesso titolo dell’enciclica, Caritas in veritate, per me è molto significativo e dice molto della sua complessità e vastità. Solo che io sto con San Paolo, che parlava di «veritas in caritate». Voglio dire, cioè, che è l’immissione della verità nell’afflato umano dell’altro che, a mio parere, fa premio su tutto, e che io – nel mio linguaggio di uomo della sinistra – traduco nel principio che la verità “sta” nella giustizia sociale e nella lotta per affermarla. Benedetto XVI, invece, si rende protagonista di un’operazione che ha molto a che fare con il suo profilo teologico, e cioè con quello che io definisco una sorta di “illuminismo della fede”. Confida cioè nella ragione, per arrivare alla verità, e pone la carità come uno strumento che è adoperabile e ricercabile solo se si cerca e se si punta alla verità. Direi che, in lui, vi è quasi “un’eccedenza” dell’umano, perché per lui la verità è accessibile all’umano e la fede è l’elemento di dono che va ricercato e perseguito. Ma qui ci trovo un’ambiguità. Perché se la verità dipende e deriva direttamente dal rapporto con il Divino, ma che la trascende, il che vuol dire che l’uomo può anche non averne bisogno, nella sua incessante ricerca d’indagine e sulla sua azione di riscatto della verità del proprio tempo, allora comincerei a preoccuparmi. Perché troverei, in questa ricerca, un preoccupante dato di integrismo. Ritengo, invece, che il cammino di tutti gli uomini, credenti e non credenti, nella ricerca della verità sia il terreno giusto in cui si può incontrare la giustizia sociale. Se invece è solo aderendo al progetto di Dio che la verità è accessibile, allora si apre una crisi profonda, tra credenti e non credenti. La figura del Cristo, per dirla fuori dal ragionamento teologico, non può essere vista come un qualcosa che si limita ad “aggiungere” qualcosa alla ricerca della verità. Gesù è venuto sulla Terra per tutti gli uomini e l’impulso all’amore, come alla ricerca della giustizia, è di tutti.
Vita: Secondo il Papa, è in campo anche un colossale tentativo di colonizzazione dell’immaginario collettivo, da parte del capitalismo. È d’accordo su questa denuncia?
Bertinotti: La Chiesa di Benedetto XVI parla sempre in modo e in chiave “politica”, quest’impostazione è netta e visibile in tutto il suo pontificato. La Chiesa oggi ha paura del proprio tempo, è come passata da una visione “ottimistica” del mondo a una “pessimistica”. Al “pessimismo della ragione”, per dirla con Antonio Gramsci. Teme, la Chiesa, una modernizzazione desacralizzante, quella proposta da una visione individualistica (e da “un individuo”) tipico del nostro tempo, quella dell’homo mercantile, e cioè della riduzione dell’umano a una visione tutta e solo economica, quando non economicista. Questa è la prima, vera Enciclica del Papa che affronta i temi, le paure e i rischi della globalizzazione, di cui teme e contrasta il neomaterialismo, una visione dell’uomo e della società tutta e solo materiale e commerciabile, una sorta di nuovo paganesimo. Un mondo, dunque, che sconfigge la verità, non certo la difende o la esalta. Ma la Chiesa rischia anche di “impastarsi” e di lasciarsi corrompere dalle paure e dalle paludi di questo mondo. Ecco perché reagisce.
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