Economia

Benedetto Delle Site: «Non c’è buona economia senza buoni imprenditori»

Imprenditore nel campo dei servizi finanziari, presidente nazionale del Movimento Giovanile dell'Ucid: “Papa Francesco ha chiamato ad Assisi proprio le nuove generazioni affinché si impegnino per rendere l’economia più fraterna e più umana. Come Movimento giovanile vogliamo collaborare a questo compito”

di Massimiliano Niccoli

Fede e impresa, creazione di valore economico attraverso il corretto esercizio dei talenti e condivisione della ricchezza generata, all’interno e all’esterno dell’azienda. Sono aspetti molto cari all’Ucid, Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, organizzazione che in Italia riunisce gli imprenditori e i manager cattolici e che richiama i suoi appartenenti alla testimonianza in azienda dei principi della dottrina sociale della Chiesa: la centralità della persona, il bene comune, la sussidiarietà e la solidarietà, la destinazione universale dei beni. Presente a livello mondiale con l’Uniapac, l’Ucid ha visto avvicendarsi alla sua guida imprenditori protagonisti della vita economica italiana del calibro di Francesco Merloni e Giancarlo Abete. “Alla base del fare impresa non sta solo la ricerca di profitti, il profitto è l’indicatore del buono o cattivo andamento dell’impresa ma i valori di fondo sono una determinante in ogni iniziativa imprenditoriale” sottolinea Benedetto Delle Site, classe 1989, romano, imprenditore nel campo dei servizi finanziari, che dell’Ucid è il presidente nazionale del Movimento Giovanile, che aggiunge “Papa Francesco ha più volte sottolineato che non c’è buona economia senza buoni imprenditori e ha chiamato ad Assisi proprio le nuove generazioni affinché si impegnino per rendere l’economia più fraterna e più umana.”

L’Ucid mette in connessione la fede e l’impresa, quale è il loro rapporto?

L’Ucid nasce subito dopo la guerra, servivano forze, materiali e anche morali, per la ricostruzione. La fede attiene in primo luogo alla vita interiore, ma da essa la persona riceve i valori fondamentali su cui è chiamata a giocarsi la vita. Per noi imprenditori cattolici, fare impresa consiste innanzitutto nell’esercizio dei talenti che abbiamo ricevuto e che siamo chiamati, con impegno, a far emergere e sviluppare, affinché diano miglior frutto. È una nobile vocazione. La nostra capacità e creatività nel generare ricchezza, attraverso l’inventiva, l’assunzione del rischio, l’organizzazione di mezzi e persone per la produzione e lo scambio di beni e servizi, non sono un incidente ma fanno parte del disegno di Qualcuno per noi e per gli altri.

E questo cosa comporta?

Da ciò deriva anche la grande responsabilità di condividere la ricchezza che generiamo, all’interno e all’esterno dell’azienda onorando il lavoro dei nostri collaboratori e con un impegno sociale e anche civile. La generosità e la gratitudine per quanto ricevuto dalla vita sono elementi ben presenti in tutti i più grandi imprenditori, nei nostri padri e nei nostri nonni, e sono un patrimonio di saggezza che non dobbiamo smarrire. Una certa narrazione, soprattutto in Italia, ha cercato per anni di dipingere gli imprenditori come soggetti insensibili al bene comune, e tale visione ha rischiato perfino di prevalere. Ma i veri imprenditori sanno bene quanto il loro lavoro, il loro investire e dare lavoro agli altri, sia un qualcosa fortemente legato al bene comune, cioè al bene di tutti.

In Italia i giovani che intraprendono la strada dell’imprenditorialità incontrano molti ostacoli.

Schumpeter diceva che l’imprenditore è un innovatore, prima che un detentore di capitali. Oggi l’Italia riducendo le opportunità per chi si avvia verso un percorso imprenditoriale, ponendo spesso ostacoli troppo grandi a un giovane che magari potrebbe essere un imprenditore di prima generazione, sta privandosi del suo capitale più importante, quello umano, che potrebbe essere il volano di una nuova stagione di sviluppo ma che troppo spesso avrà fortuna altrove, al di fuori dei confini del nostro Paese dove il nostro genio è riconosciuto e apprezzato. Per questo come giovani dell’Ucid, insieme con le altre realtà giovanili espressione delle diverse organizzazioni di categoria, stiamo lanciando da tempo iniziative e proposte. Speriamo di essere ascoltati perché questo, con il Next Generation Eu, è il momento per chi governa di mettersi al tavolo con i più giovani e dare un futuro e una prospettiva diversi al Paese.

Che tipo di attività svolgete?

Le attività dell’Ucid si articolano in tre filoni principali: la formazione di carattere spirituale, attraverso un cammino di crescita animato da un sacerdote, la conoscenza e la diffusione della dottrina sociale della Chiesa, declinata nello specifico ambito che interessa gli imprenditori e i dirigenti d’azienda, attraverso convegni, seminari, academy ma anche attraverso visite presso realtà imprenditoriali che già applicano i nostri principi, infine la nostra testimonianza, con progettualità che ci consentono di intervenire fattivamente sui bisogni dei territori, attraverso orientamento, progetti di formazione professionale e di avvicinamento dei più giovani al mondo del lavoro e all’imprenditorialità. La fede va unita con le opere, anzi senza le opere non c’è fede.

Un esempio di una vostra progettualità con la quale siete riusciti ad intervenire su bisogni concreti?

Come imprenditori abbiamo notato che il problema della disoccupazione giovanile è legato principalmente al cosiddetto mismatch tra domanda e offerta. Cioè a mancare non è il lavoro in Italia ma le competenze. Le nostre aziende cercano disperatamente profili che spesso non riescono a identificare nei giovani che fuoriescono dal nostro sistema di istruzione e formazione. Per questo abbiamo ideato Virtus Lab, un progetto formativo nato in Calabria dove la disoccupazione giovanile tocca i tassi più elevati. Virtus Lab mette in contatto i giovani in cerca di lavoro e le aziende in cerca di lavoratori qualificati, i giovani vengono portati nelle aziende, gli si fa la formazione e al termine del percorso abbiamo registrato percentuali altissime di assunzioni. Oggi questo progetto, portato avanti dalla Fondazione Antonio Emanuele Augurusa, intitolata al fratello prematuramente scomparso di un nostro membro, è stato riconosciuto e apprezzato dal presidente dell’Unione industriali di Reggio Emilia Fabio Storchi e porterà oltre tremila giovani in Emilia Romagna, i quali riceveranno formazione, alloggio e probabilmente un lavoro nelle aziende locali.

In che modo riuscite a portare la dottrina sociale della Chiesa all’interno delle aziende?

A seguito dell’udienza concessaci da Papa Francesco nel 2015, forti dei suoi richiami, abbiamo elaborato un nostro manifesto dell’impresa etica, ispirato proprio dagli insegnamenti del Papa, e lo abbiamo portato nelle grandi aziende, l’ultimo incontro lo abbiamo tenuto alla Faac a Bologna. Grandi imprenditori e manager hanno ricevuto il nostro manifesto che ancora oggi tengono nei loro uffici. È stato persino condiviso dai giovani appartenenti alle principali associazioni di categoria. In otto punti decliniamo la nostra visione d’impresa dove al primo posto c'è la persona umana, l’azienda intesa come comunità di persone, il sostegno alla donna lavoratrice e madre e l’impegno ad anteporre la creazione di nuova occupazione alle operazioni meramente speculative.

Crede che per un imprenditore, in particolare un giovane imprenditore, la dottrina sociale della Chiesa possa dire ancora qualcosa di interessante?

Direi proprio di sì, se solamente pensiamo alla crisi di leader del nostro tempo, in cui uno dei pochi riferimenti credibili per tantissimi giovani è proprio il Papa. Pensiamo al movimento di persone, di idee e di proposte che ha preso il nome di Economy of Francesco: il Papa ha chiamato ad Assisi giovani imprenditori ed economisti proponendogli un patto per una nuova economia, più umana e fraterna, e hanno risposto in migliaia. L’economia nasce per rispondere ai bisogni dell’uomo, però dobbiamo considerare tutto l’uomo, non solo l’homo oeconomicus che esiste solo nei manuali. L’uomo reale non ha bisogni solo materiali ma anche morali e spirituali. Quindi lo sviluppo umano deve essere integrale, cioè considerare l’uomo in tutte le sue dimensioni. La dottrina sociale aiuta in questa sfida, è una bussola. Ma sta alla nostra libertà e responsabilità inverare i suoi principi, cominciando proprio in azienda.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.