Welfare

Benedetta e gli altri: una notte con i volontari del bosco della droga

Ogni settimana 25 giovani supportano lo psicologo Simone Feder nel tentativo di “agganciare” i tossici di Rogoredo: «Aiutare queste persone ci rende felici»

di Diletta Grella

Benedetta arriva sorridente, dopo avere attraversato la città in bici. «Ci metto un’oretta. Sì, è faticoso, ma non riuscirei a vivere a Milano, se non frequentassi questo pezzetto di umanità: mi aiuta a revisionare me stessa».
È una calda sera di agosto e le zanzare si fanno sentire. Siamo nei pressi della stazione di Rogoredo. Laureata in giurisprudenza e volontaria del servizio civile presso la Procura per i Minorenni di Milano, Benedetta, 27 anni, è una dei ragazzi che ogni mercoledì vengono qui a portare po’ di sollievo ai tossicodipendenti che frequentano questo luogo.
Dal 2015, l’anno dell’Expo, il bosco di Rogoredo, vicino alla stazione, era conosciuto come “il bosco della droga”, il più grande mercato a cielo aperto dello spaccio del Nord Italia. Poi, qualche anno fa, un’importante opera di riqualificazione ha restituito questa area ai cittadini del territorio. «Il problema della droga, però, non è scomparso, si è solo spostato», spiega Simone Feder, psicologo clinico e coordinatore dell’area Giovani e Dipendenze della Comunità Casa del Giovane di Pavia: «Ora i tossicodipendenti stanno lungo i binari, nella zona di via Sant’Arialdo». E proprio in via Sant’Arialdo, da cinque anni, ogni mercoledì sera Feder e un gruppo di volontari portano cibo, bevande, abiti e anche libri… «Con me ci sono circa 25 persone, perlopiù giovani, che si sono lasciati interrogare da questa realtà e che spingono anche me a capire come vivere le comunità che frequento ogni giorno» spiega Feder.

Mercoledì, ore 20.30
Sono le 20.30. I volontari tolgono dall’auto del coordinatore un tavolo pieghevole e ci appoggiano sopra dei contenitori pieni di cibo. «Abbiamo panini offerti da McDonald’s, pizzette, dolci, acqua» ci spiega Benedetta. «In media ogni sera arrivano circa 70 ragazzi. La maggior parte di loro fa uso di “bianca e nera” cioè cocaina ed eroina. Le inalano o le fumano, ma ancora in molti usano le siringhe».
Qualche metro più in là, Monica, un’altra volontaria, appoggia degli scatoloni pieni di magliette, pantaloni, biancheria intima, detergenti…. Poi porge un paio di jeans nuovi a un ragazzo che ringrazia timidamente. Mentre la giovane donna che è con lui, con la bocca impastata di chi si è fatto da poco, chiede delle scarpe nuove. Quando toglie le sue, i volontari la aiutano a medicare i piedi anneriti e feriti dalla vita in strada. Dopo qualche minuto, i due ragazzi saltano il guardrail e spariscono, inghiottiti dal buio e dalla vita di sempre.
Ecco l’auto di don Diego, un sacerdote che assieme a Feder porta avanti questa mission tutti i mercoledì sera e che arriva dalla Valtellina, tre ore e mezza di viaggio tra andata e ritorno. Con lui c’è Chiara, una studentessa universitaria di Educazione professionale, che ha in mano un paio di torte fatte in casa. «In futuro vorrei lavorare nell’ambito delle tossicodipendenze», racconta.
Si intravede una sagoma che attraversa i binari della ferrovia e salta la recinzione: è un ragazzo che arriva a chiedere del cibo. Ha gli occhi arrossati e lucidi. Chiara gli porge una fetta di crostata.


Mercoledì, ore 22.30
Intanto Karim, un giovane marocchino, racconta che frequenta il Sert, ma non se la sente di entrare in comunità. E quando parla dei suoi due figli, scoppia a piangere. Chiara con dolcezza lo ascolta.
Qualche metro più in là, Maria Vittoria e Giovanni, sposati da poco, aiutano un ragazzo a scegliere un libro dalla “piccola libreria del bosco”: cinque cassette colorate piene di volumi. «Abbiamo chiesto agli amici di donarci un libro e di scriverci sopra una dedica» chiarisce Maria Vittoria. «Anche Liliana Segre, Roberto Mancini e Zerocalcare ne hanno donati. Ho iniziato a venire qui da sola un anno e mezzo fa, dopo avere letto il libro di Simone Alice e le regole del bosco (ed Mondadori)», continua Maria Vittoria. «Io la accompagno, altrimenti non mi fa più da mangiare», scherza Giovanni. Che chiosa: «Ma no, è che quando tornava a casa la vedevo felice e così eccomi qui». «Noi siamo fortunati perché stiamo dalla parte di chi può aiutare:» conclude Maria Vittoria, «cerchiamo solo di restituire quello, che abbiamo ricevuto».
​Sono le 22.30, è ora di tornare a casa. I volontari raccolgono le loro cose e salutano “i ragazzi del boschetto”: «Ci vediamo il prossimo mercoledì».

Il nostro Social Factor
«Con il nostro gruppo di volontari, vogliamo essere un elemento di rottura tra un mondo di “fantasmi” e un mondo di “umani”» spiega Simone Feder.
«Invitiamo gli umani ad alzare lo sguardo e ad accorgersi che dall’altra parte non ci sono spettri, ma persone come noi, che non hanno avuto le nostre stesse opportunità». «E poi a Rogoredo i volontari non portano solo cibo, bevande, abiti e libri» prosegue Pietro Farneti, consigliere delegato della Fondazione Eris e responsabile del progetto Sollievo, «cercano anche di agganciare i ragazzi e di proporre loro un tempo di sollievo appunto, della durata di quindici giorni, in cui astenersi dall’uso di sostanze e valutare l’ingresso in comunità. Abbiamo allestito a questo scopo alcuni locali in via Ventura 4 a Milano, con sei posti letti, dove finora abbiamo accolto 120 ragazzi». «Sono molti i ragazzi che siamo riusciti a fare entrare in comunità, in totale circa 300” conclude Feder.
Info: simone.feder@cdg.it

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