Famiglia

Ben Johnson, dal doping alla beneficenza

L'ex velocista oggi vive a Napoli, mangia biologico e aiuta l'Afghanistan

di Gabriella Meroni

Da uomo-jet super miliardario, eterno rivale di Carl Lewis, a “globetrotter” per beneficenza. Ben  Johnson, ex dopato eccellente del mondo dello sport dorato, sceglie l’impegno sociale per dimenticare quelle che continua a considerare “tante ingiustizie”. Lo rivela un articolo pubblicato su IlNuovo.it Una carriera sbriciolata 13 anni fa in un amen, dopo la fulminante corsa di Seul sui 100, per colpa degli anabolizzanti.  Cento metri da primato inutili: un record, il suo 9″79 ai Giochi ’88, uguagliato ma mai superato. E comunque privo di riconoscimento. E per “riabilitarsi”, ritrovarsi come uomo e ricostruire la propria immagine, sceglie la strada dell’impegno sociale. Quasi una  “seconda vita” che ricomincia in Italia (vive a Napoli, ma giura non per amore: “Questa storia della modella di cui si sarebbe innamorato – assicura uno dei suoi manager – è tutta inventata”) accettando di diventare testimonial di una campagna per la lotta contro i tumori.  “Voglio fare qualcosa di utile che sia di aiuto per le nuove generazioni. Credo di poter dare ancora qualcosa” dice Johnson, che prima di Natale volerà in Giappone. “In seguito andrò anche negli Emirati Arabi e in Australia. Ma il mio sogno è di dare il mio contributo per la rinascita dell’Afghanistan”. Tra i progetti di Big Ben anche aiutare il lancio di una nuova “invenzione” per la riabilitazione. Uno strumento “da indossare”, tanto che sarà realizzato in collaborazione con lo stilista Renato Balestra. Ma Ben Johnson darà una mano anche a chi, sportivo come lui, è stato però  meno fortunato (il primo è Fabrizio Macchi, recordman sulla  bici con una gamba sola). Chissà se basterà tutto questo per la sospirata “riabilitazione”. Ora fa vita da salutista e a tavola preferisce mangiare cibi biologici. “Il  doping? Quando Ben Johnson è finito non è che è finito anche  il doping”. Eppure la sua maxisqualifica ancora non gli va giù. E annuncia, a sorpresa, che non ha alcuna intenzione di arrendersi: “La mia vicenda è ancora aperta. Ci saranno delle sorprese. Non tutto è stato chiarito. Mi sento un perseguitato”. Qualche tempo fa un arbitrato canadese gli dette  ragione. Ma non è servito. Se riuscisse a dimostrare che la  Iaaf ha commesso qualche “errore” potrebbe esserci spazio per  un risarcimento miliardario, come successo alla tedesca Krabbe. Intanto dipinge e spiega:  “Ho sempre sognato di essere come un aquila.  E’ un animale per me sinonimo di libertà. E finalmente ci sono riuscito”. (Fonte: IlNuovo.it)


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