Mondo
Belgio: uno Stato fallito
Chi ha tradito l'Europa? Le sue strutture, fragili e porose? La sua retorica? Alcuni alleati? Il politologo Gilles Kepel: "l'Isis prospera negli Stati falliti, come Iraq e Siria. Il Belgio è uno di questi e Molenbeek è diventata la capitale del jihadismo europeo".
di Marco Dotti
Il Belgio è uno Stato fallito? La questione circola da tempo. A riproporla, ieri, sono stati i fatti. Il politologo Giles Kepel, autore del recente Terreur dans 'Exagone (Gallimard) sulla genesi del jihad francese, ha ricordato che il terrorismo penetra negli Stati le cui strutture sono deboli o porose. Come in Iraq o in Siria. L'Isis, ha ricordato l'islamista francese commentando i fatti in un dibattito di TF1, "prospera nei cosiddetti Stati falliti. E il Belgio è uno di questi".
Il Belgio, osserva Kepel, "è oggi il ventre molle dell’Europa, che per molti aspetti ne sintetizza le debolezze strutturali. Non a caso Abu Musab al Suri, il noto reclutatore-ideologo di origine siriana che teorizza il terrorismo di piccole cellule jihadiste completamente separate le une dalle altre, da tempo ormai guarda a Bruxelles come a un fantastico campo di battaglia. È facile muoversi nella città. La presenza di tanti stranieri rende più semplice per chiunque viaggiare indisturbato, i controlli sono minimi e gli obiettivi da colpire ben visibili".
Sotto la lente di Kepel anche la frammentazione linguistica e i conflitti che permettono la costituzione di enclaves chiuse, autoreferenziali, in qualche modo dei distretti – poveri, ma fortemente globalizzati – del terrore. All'interno dell'eclave di Molenbeek, il quartiere belga da cui provengono o in cui sono transitati molti dei terroristi che in questi anni hanno seminato morte e panico in Europa, evidenzia delle enclave dentro l'enclave stessa. Delle sotto enclave dove la rete del terrore si lega a quella della delinquenza comune, il narcotraffico e il traffico di armi si diramano così per l'Europa attraverso una capitale dentro la capitale.
Il Belgio ha poi criticità particolari, ci sono sei autorità di polizia e due comunità linguistiche, fiamminghi e valloni. Il Paese non è così omogeneo come altri Stati europei. In Belgio esistono inoltre sei tipi di governo, di cui uno federale, uno fiammingo, uno della comunità francese, uno della comunità che parla tedesco, uno vallone e uno della regione della capitale. C’è inoltre una frammentazione a livello municipale.
Altra questione cruciale è quella dell'asimmetria fra jihadismo e Stati porosi; ciò che per i primi è declinabile in termini di guerra, per i secondi diventa operazione di polizia. Questione che mostra come, accanto a Stati falliti, vi sia anche il fallimento di una politica comune di Stati che, bene o male, ancora si reggono in piedi.
Lucia Annunziata, in un suo articolo pubblicato sull'Huffingtonpost, si è chiesta: "Più uomini nelle strade è una risposta efficace? Il caso del Belgio prova esattamente di no: Bruxelles è da mesi blindatissima ma i terroristi hanno continuato a proliferare. Finora l'unica arma risultata efficace è l'intelligence,quella minuta, semplice, estesa fino alle conoscenze minime delle abitudini dei cittadini. È arrivato il momento di far fare un salto al coordinamento di informazioni e operatività dei vari paesi europei. Costerà tanto in termini di libertà individuali di tutti. Ma è meglio di mobilitare apparati militari da noi come su altri fronti".
Il pericolo è altissimo, il cambio di passo necessario. Come in ogni guerra resta da capire chi è l'amico e chi è il nemico. E ha ragione la Annunziata quando afferma: "È ora che si indichi anche il vero nemico politico che c'è dietro il terrorismo. Cioè che si facciano i nomi degli Stati che finanziano questo progetto per i loro fini di dominio. Sappiamo chi sono. Sono nostri alleati, ufficialmente. Ma questa ambiguità diplomatica va rotta". Il caso-Belgio rischia di trascinare tutta l'Europa in un pantano da cui sarebbe ancora più complicato uscire.
Giovanni Falcone diceva: "follow the money, segui i soldi e arriverai alla mafia". In questo caso, ai soldi dovremmo aggiungere le armi. Arrivare ai nomi di chi sta dietro il terrorismo non è poi così difficile, basta la logica. Farli è una scelta fra il coraggio di chi deve governare e la vigliaccheria di chi ha abdicato e, forse, già tradito.
In copertina: Molenbeek ( JAMES ARTHUR GEKIERE/AFP/Getty)
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