Formazione

Belfast. I parchi della pace

Una città lacerata da una guerra religiosa e civile durata decenni. È la capitale dell’Irlanda del Nord (di Piero Poli).

di Redazione

Da poche ore giunto in città, faccio un gesto per fermare un taxi che passa rapido lungo una strada piena di traffico. Vengo immediatamente aggredito da due passanti. “Che fai”, mi urlano, “è illegale fermare i taxi per strada a Belfast!”. Dalla mia sorpresa o forse dalla macchina fotografica a tracolla hanno rapidamente capito che sono straniero, e sembrano sollevati. Sono Jodie e Peter, una coppia protestante sui 40 anni. Pacati e gentili, mi spiegano che in passato numerosi attentati a esponenti di spicco delle comunità cattolica e protestante sono stati organizzati così, fermando “innocentemente” un taxi per strada e facendo fuoco attraverso il finestrino. Il governo ha dovuto intervenire pesantemente rendendo illegale ogni tentativo di fermare un autoveicolo in marcia: fine dell?autostop. Una città sotto sequestro Nei quartieri popolari di questa città sotto sorveglianza, la gente deve sottostare a numerose altre regole, scritte e non scritte. Jodie mi spiega che non è educato chiedere il cognome o il quartiere di provenienza di una persona incontrata per caso. Fin da piccoli in Nord Irlanda si impara a scrutare l?abbigliamento, la parlata, il senso dell?umorismo per decifrare l?appartenenza religiosa di un individuo. A seconda del proprio credo religioso, ci sono zone in cui si può circolare liberamente e zone a rischio. E poi ci sono le ?peace lines? (linee di pace) un?eufemistica espressione che si riferisce alle zone di nessuno dove quartieri di fazioni opposte trovano un confine. Spesso le linee di pace corrono lungo strade malmesse sulle quali si affacciano case abbandonate e bruciacchiate. Peter mi racconta che i dirimpettai passano rapidamente dalle minacce alle pietre scagliate nelle finestre, alle bottiglie incendiarie. A volte le linee di pace sono marcate da alti muri d?acciaio con filo spinato. Tra i muri più improbabili ce ne è uno che taglia a metà Alexander Park, un parco di periferia nella zona nord della città. Questo è un parco all?apparenza normalissimo; ovviamente l?erba ha un?aria un poco arruffata se la si compara all?impeccabile tappeto inglese dei parchi del centro, ma ci sono aiuole fiorite, un ruscello e numerosi alberi dai folti rami. Alle tre del pomeriggio, in una rara giornata sgombra di nuvole, il parco è completamente vuoto. Uno spesso muro d?acciaio color verde militare, a tratti arrugginito, lo taglia in due creando virtualmente due parchi: uno protestante, l?altro cattolico. Parchi ?anomali? come Alexander Park hanno un potere simbolico forte, rappresentano barriere psicologiche per la convivenza di comunità diffidenti quando non in lotta aperta tra loro. Ognuno di questi parchi con un muro nel mezzo rappresenta una ferita aperta davanti agli occhi del Nord Irlanda. Nonostante siano stati fatti progressi notevoli nella negoziazione civile (il più importante è certamente la creazione a Stormont di un governo indipendente per il Nord Irlanda, ora in fase di stallo), il paesaggio fisico e psicologico della capitale economica tarda a mutarsi. Il filo spinato correda ogni steccato, le stazioni di polizia continuano a somigliare a carceri di massima sicurezza e l?ubiqua presenza di telecamere dà l?impressione di essere costantemente sotto osservazione. è praticamente impossibile camminare in luoghi pubblici senza provare una sottile e persistente sensazione di disagio. Dialogo sociale al porto Da circa un decennio il rinnovamento di Belfast è incominciato dalla ex zona portuale. Questa scelta di rinnovamento urbanistico segue la moda tutta britannica di creare quartieri di divertimento affacciati sul mare, ma ha anche un fondamento politico-sociale. Il porto è un luogo di lavoro che non ha ovvie connotazioni faziose e più recentemente la Municipalità di Belfast ha spostato la sua attenzione verso luoghi pubblici leggermente più controversi, le zone residenziali periferiche miste. “Non si tratta di chirurgia estetica”, mi dice un gentile funzionario comunale, “spesso si tratta di ricostruire spazi pubblici persi”. Credo che lo spazio pubblico cui fa riferimento non sia solo lo spazio fisico fatto di marciapiedi, (rare) piazzette, giardini e parcheggi. Parla piuttosto di uno spazio psicologico che è praticamente da sempre mancante. Una Municipalità illuminata sembra essersi presa a cuore la questione di ricostruire questi spazi persi, e ha deciso di imparare i trucchi del mestiere da relativamente giovani organizzazioni non profit. Il concetto fondamentale di queste piccole organizzazioni del Terzo settore è semplice, e riflette perfettamente il pragmatismo di queste regioni nordiche e industriali. I facilitatori, questo è il nome dei ricercatori responsabili per la consultazione, escono per strada (quando non piove) e chiedono agli abitanti di un quartiere di quali migliorie la zona necessita. La consultazione parte di solito da una mappa scribacchiata su un ampio foglio di carta o da un modello tridimensionale (in questo caso la costruzione di tale modello è di regola affidata ai bambini della scuola di quartiere). Si va poi in un parco cittadino da mattina a sera e si cerca di coinvolgere i passanti nel designare la miglior collocazione per l?altalena, le panchine o la fontana. Fazioni opposte costrette controvoglia a condividere il proprio spazio pubblico urbano si trovano a discutere cambiamenti fisici nel loro ambiente. Per mantenere le cose in prospettiva, dobbiamo dire che gli irriducibili continuano a discutere con le molotov, ma un crescente numero di cittadini ha dato la sua disponibilità a un dialogo pacifico e tutto sommato divertente. Le consultazioni vengono svolte per strada con pennarelli colorati e mettono 20 o 30 persone attorno allo stesso pezzo di carta, molto spazio è dato alla chiacchiera informale e alla battuta. È la qualità principe di ogni buon facilitatore quella di saper smussare gli angoli di ogni discussione, mediare e appunto facilitare il dialogo. La discussione si accende facilmente tra gente tradizionalmente loquace e articolata, costretta da secoli a palesare e specificare nel discorso le proprie coordinate politiche ed esistenziali. Carta e pennarelli A febbraio mi trovo a Belfast per perfezionare gli strumenti della consultazione. Con altri 12 attivisti americani e irlandesi sono ospite di Snip – Sustainable Northern Ireland Programme per (re)imparare il Participatory Appraisal. Tra i metodi di consultazione questo è forse il più flessibile: permette non solo di mappare l?arredo urbano ma anche di esplorare i ?territori mentali? nei quali vivono le comunità locali. La specificità di questo metodo consente di disegnare, sempre con materiali semplicissimi, schemi visuali che aiutano la discussione tra grandi gruppi di persone. Praticamente si tratta sempre di mettere su grandi fogli di carta, ad esempio, i pro e i contro di una certa scelta e di facilitare la discussione tra gli astanti. Le persone presenti con un pennarello possono mettere su carta un?opinione rispetto a una questione o a una scelta da fare. È compito del facilitatore estrarre dalle numerose ?opinioni? linee di forza comuni che informeranno successive fasi della discussione. Detto a parole sembra facile e ovvio, ma aprire un grande foglio di carta di fronte a una quarantina di persone è tutto un altro paio di maniche? Per questo motivo, l?80% del tempo del corso di formazione è speso con le mani in pasta, facendo consultazioni con ogni tipo di pubblico. Al mio gruppo è toccato consultare nel Waterworks Park, uno spoglio parco di periferia con due grandissimi specchi d?acqua al centro, qualche sporadico cigno, qualche ubriaco e diviso nel mezzo da una linea di pace. Alla fine di cinque estenuanti giornate di consultazione, la Municipalità di Belfast, che patrocina il corso, vuole riscuotere chiare idee rispetto alle migliorie fisiche e alla possibilità di coinvolgere le fazioni locali nella gestione del parco. Le consultazioni con bambini, adulti e anziani della zona devono essere affiancate da consultazioni specializzate di alcuni enti preposti alla sorveglianza e rigenerazione del parco. Tra le consultazioni più interessanti ricordo gli esercizi con polizia di quartiere, organizzazioni di volontariato, rappresentanti della municipalità, asili d?infanzia e case per anziani. Idealmente tutti devono avere lo stesso spazio per dire la loro, il poliziotto che ispeziona il parco e il ?barbone? che ci dorme di notte. Una città irrequieta George e Tara sono i due formatori che ci hanno accompagnati per una settimana, da mattina a sera. Da una decina d?anni sono sostenitori indefessi dei metodi di partecipazione “sin dal tempo che questi non erano di moda e non ci si faceva un quattrino”. George ha imparato i rudimenti della Participatory Appraisal in Africa, dove ha lavorato per due anni. Sorridendo mi spiega che una volta tanto l?Africa è all?avanguardia di qualcosa. Tara invece ha scoperto il Participatory Appraisal durante le consultazioni realizzate per l?Agenda 21 di Belfast. Ha viaggiato molto e ha partecipato a consultazioni, durate mesi, in zone rurali etnicamente divise in Nord Irlanda. Alla fine di un lunga settimana di training sento il bisogno di tornarmene a casa. Belfast è una città che sta curando le ferite di una lunga, ininterrotta guerra civile. I segni di questa guerra sono ovunque e costantemente ti comunicano una impalpabile tensione, una irrequietezza che si deposita dentro e ti stanca. Il suo popolo, con un sapiente sense of humor, convive come meglio può con il lato più oscuro del convivere umano, ma per gli stranieri è ancora difficile sentirsi benvenuti in una città sotto sorveglianza. Lascio il centro di formazione in fretta, saluto i compagni di avventura. Chiamo un taxi, questa volta per telefono. di Piero Poli piergiup@yahoo.com Info: Per imparare a mettere in pratica il Participatory Appraisal SNiP


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