Sostenibilità

Becchetti: «Caro bollette, dalla crisi si esce con le comunità energetiche»

L'economista traccia la strada per salvare il Paese da un punto di non ritorno: energie rinnovabili e procedure semplificate sono l'unica via per evitare la dipendenza da qualunque fornitore. Molte imprese lo hanno capito per tempo e sono maggiormente competitive, altre in fortissimo ritardo e sempre più in difficoltà

di Luigi Alfonso

La dipendenza energetica da altri Paesi, a prescindere che si tratti della Russia piuttosto che di altri grandi produttori di petrolio o di gas, rischia di mettere in ginocchio l’Italia. In maniera pesantissima. Il governo Draghi ha cercato di tamponare l’emergenza dopo l’inizio del conflitto in Ucraina, ma ora siamo al classico crocevia: o si assumono decisioni forti e innovative, oppure ci troviamo alla deriva. Lo hanno capito tutti i leader dei partiti impegnati nella campagna elettorale per le prossime Politiche, i quali invocano l’intervento immediato del premier Mario Draghi. Non c’è più tempo da perdere, non si può giocare sulla pelle degli italiani, dei cittadini ma anche delle imprese. Ne parliamo con Leonardo Becchetti, docente all’Università Tor Vergata di Roma, e uno degli economisti di riferimento dell'economia civile.

«Il problema di oggi sono le bollette. È sotto gli occhi di tutti come il prezzo di mercato del gas sia quasi decuplicato negli ultimi mesi rispetto all’anno scorso», esordisce il professor Becchetti. «Ciò ha avviato un processo inflattivo importante che sta erodendo il valore di salari e risparmi. Non è azzardato dire che molte famiglie sono a rischio povertà. In campagna elettorale sento parlare da più parti di mettere un tetto al prezzo del gas, il cosiddetto “price cap”. Purtroppo, questa non è una soluzione magica che possa risolvere un problema così complesso. Le elezioni sono ormai alle porte e la classe politica è preoccupata di dare risposte in tempi brevi. Tuttavia, certe ipotesi che ho sentito sono fantasiose e servono solo a dare una soddisfazione effimera. È come dire: facciamo una prova di forza e diciamo alla Russia che paghiamo di meno. Non è una strada percorribile, lo si è visto in più di una occasione, quando la Russia ha detto a tutto l’Occidente: voi mi avete comminato le sanzioni, ora vi chiudo i rubinetti del gas. Insomma, non funziona proprio. Scherzando, dico sempre che l’unico price cap che ha funzionato è quello del Marchese del Grillo, nel film con l’indimenticabile Alberto Sordi. Ma aveva funzionato soltanto perché il mobiliere era un ebreo perseguitato, dunque a quei tempi non aveva diritti, e poi perché aveva già consegnato il lavoro. Qui la situazione è molto diversa, non abbiamo il coltello dalla parte del manico».

Come si esce, dunque, da questo ginepraio? «Di certo, non può essere lo Stato italiano a pagare la differenza tra il prezzo di mercato e il prezzo amministrato, sussidiando la differenza a famiglie e imprese: è impossibile, nel medio termine, per ovvii motivi di bilancio pubblico. Si farebbe fatica anche se il governo decidesse di rivalersi sugli extra profitti delle imprese energetiche, visto che dei 10 miliardi di entrate ipotizzati, ne è stato incassato solo uno. La vera, unica risposta è la riduzione della dipendenza dal gas. Nel più breve tempo possibile. E guardi che non parlo soltanto della Russia, ma di qualunque Paese produttore, sia l’Algeria piuttosto che l’Azerbaigian: non si può mai sapere quali saranno le dinamiche del prossimo futuro. Abbiamo tanti esempi della strada da seguire. Ne cito uno che vale per tutti, quello della comunità “ènostra” di Gubbio, che ha installato una pala eolica: autoproduce energia rinnovabile e non paga più la bolletta del gas. Qualunque soluzione (come le centrali nucleari o la ricerca ed estrazione di gas nel nostro territorio) è irta di difficoltà e comporta tempi incerti e lunghissimi, dai 5 ai 10 anni se va bene. Qui bisogna dare risposte in tempi brevissimi. Ecco, quella delle comunità energetiche è perfetta perché consente di installare i pannelli in città e in campagna, nelle scuole o nei palazzi, laddove è possibile ovviamente. Bastano uno o due mesi. Credo che sia apprezzabile la richiesta del governo alle Regioni di semplificare le procedure, indicando i possibili siti per nuovi impianti nelle aree non gravate da vincoli paesaggistici».

«Sa qual è il mio più grande dispiacere?», riprende il professor Becchetti. «Che in tutto questo gran vociare, un atto dovuto del governo (che era quello dei decreti attuativi delle comunità energetiche, i quali avrebbero offerto una via di soluzione vera e permanente che porta fuori dalla necessità di continui ristori) poteva essere chiuso vari mesi fa, invece siamo in ritardo di parecchio. È grave che si parli tanto di cose che non si possono fare, ma non si fanno le cose che sono alla portata. Ecco perché abbiamo fatto un appello con il coinvolgimento di 151 organizzazioni, le più grandi della società civile italiana, per chiedere di predisporre i decreti attuativi che consentano a imprese, famiglie e distretti di diventare autoproduttori di energia. L’unica risposta è: rinnovabili subito, attraverso le comunità energetiche. Ciò non fermerebbe la ricerca, è evidente, per esempio sul fronte della produzione di impianti a idrogeno. L’idrogeno verde sarà importante nei trasporti pesanti. La cattura della CO2 invece al momento è più complicata».

L’economista romano plaude al provvedimento dell’esecutivo Draghi di tre giorni fa. «Il decreto del governo che mette un plafond di 3 miliardi 400 milioni di euro per aiuti alle imprese, con progetti che riducono le emissioni di CO2 e il consumo di energia applicando il Temporary Framework europeo, è certamente una buona mossa. È un eccellente modo per stimolare l’innovazione che ci porti fuori dal gas. Mai come in questo caso, l’obiettivo della transizione ecologica e quello dell’indipendenza del nostro Paese vanno nella stessa direzione. Perché non è stato fatto in passato? Ci sono degli ostacoli, anche se di breve termine perché la via del cambiamento ormai è tracciata: mi riferisco per esempio alle autorizzazioni e alle procedure, ma anche alle resistenze al cambiamento che in Italia non sono mai mancate. Penso alle resistenze di molte imprese che devono riconvertirsi, e su questo giocano la loro sopravvivenza. Ci sono poi molte famiglie, alle quali queste soluzioni sembrano assurde. Ma sono cose che poi, come a ogni trasformazione, accadono. Certo, oggi abbiamo fretta perché siamo in piena crisi, ma non vedo vie alternative: questa, a mio avviso, è la strada che dobbiamo perseguire. Per fortuna, molte imprese lo hanno capito e si sono convertite, cioè autoproducono l’energia che occorre per i loro processi produttivi. Queste aziende ora hanno un vantaggio competitivo perché pagano poco l’energia. Chi non ha compiuto questo passaggio lungimirante, si trova in difficoltà e magari chiede i fondi al governo. Ci sono infine imprese che erano totalmente “oil and gas” e sono passate interamente alle rinnovabili, come la Erg. Altre ancora, come i giganti Eni e Snam, stanno lavorando per la transizione ma devono farlo più in fretta. Sono aziende importanti per il Paese: Snam ad esempio sta puntando forte sull’idrogeno che (verde, dunque ecologico) sarà importante per i trasporti pesanti e per gli accumuli. Eni, modificando il suo nome in Plenitude, vuole significare la volontà di fare la transizione verso le rinnovabili».

«Nei momenti molto difficili, ci vuole molta autorevolezza», conclude Becchetti. «In questo momento, nel panorama italiano ma anche in ambito internazionale, la persona che ha maggiore autorevolezza è certamente Mario Draghi. Ecco perché non è detto che, a prescindere da quale sarà l’esito delle urne, non si torni a un governo a guida Draghi. Se una squadra scende in campo con Messi, anche gli altri giocatori rendono di più. E non per questo sono meno importanti. Nei momenti di emergenza bisogna dare risposte immediate: si può farlo di comune accordo, senza aspettare il 25 settembre».

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