Carcere
Beccaria, Gaia Tortora: «Non mi do pace per quei ragazzi con cui non riuscii a parlare»
La giornalista lo scorso gennaio andò a fare visita all’Istituto penale per minorenni di Milano, oggi al centro di un'inchiesta per per maltrattamenti e violenze con 13 agenti della Polizia penitenziaria e altri otto sospesi. «Non ci fecero vedere i ragazzi, uscii con una poco piacevole sensazione. È un episodio senza precedenti, nei numeri, in un carcere minorile»
Gaia Tortora, giornalista e vice direttrice del Tg La7, ha scritto un tweet con una foto che la ritrae insieme ad Irene Testa, garante dei detenuti per la Sardegna, che risale allo scorso gennaio. Erano appena state a visitare l’Istituto penale per minorenni “Cesare Beccaria” di Milano, ma non fecero vedere loro i ragazzi. Il tweet è stato scritto dopo la diffusione della notizia dell’arresto di 13 agenti della Polizia penitenziaria e della sospensione di altri otto, con l’accusa di maltrattamenti, concorso in tortura e una tentata violenza sessuale nei confronti di un detenuto.
Tortora, lei ha scritto: «Uscimmo con una diciamo poco piacevole sensazione. E le sensazioni contano». Cosa può raccontarci di quel giorno?
Noi andammo lì perché c’era stata un’evasione a dicembre, alla quale seguirono una o due proteste dei detenuti. Insomma, non c’era un bel clima, volevamo andare a vedere. Uscimmo con una sensazione ambigua. Da una parte, ogni volta che si va in carcere fanno vedere quello che funziona ed è comprensibile: non è semplice lavorare in carcere. Dall’altra, avevamo visto i laboratori, la falegnameria, le stanze ripitturate. Ma vuote: non c’era nessuno all’opera, in attività.
Cosa vi dissero?
Che i ragazzi erano nervosi, che erano stufi di queste visite, che qualcuno aveva detto «Non siamo come scimmie allo zoo». Il messaggio era chiaro: «Cercate di avere delicatezza». Ovviamente non insistemmo, soprattutto con i minori non si può insistere. Ci fidammo. Siccome stavano ristrutturando una palazzina c’era molto nervosismo, avevano diviso i ragazzi in due gruppi. Tra l’altro erano pochissimi, in quel momento erano una ventina. Alcuni erano stati trasferiti in seguito all’evasione. Incrociammo lo sguardo con un paio di ragazzi, uno di loro mi guardò un po’ imbambolato, come se fosse sotto effetto di qualcosa. Credo di aver chiesto: «Tutto bene?» e mi rispose di sì. Io non ci ho dormito stanotte.
Perché non ci ha dormito?
Continuo a pensare di aver fatto la visita al Beccaria con persone che sapevano quello che accadeva lì. Io mi sento in colpa, io che non sapevo nulla non mi do pace. E non mi riesco a capacitare di come un episodio così grave nei numeri possa essere accaduto. Precedenti ce lo può avere avuto un carcere per adulti, mi viene in mente il pestaggio di Santa Maria Capua Vetere. Io non credo ci sia un precedente così, nei numeri, in un carcere minorile. Poi ho rimesso insieme dei pezzi di quello che è accaduto.
Ad esempio?
Il fatto che la palazzina fosse in ristrutturazione, ad esempio. Ora si è scoperto che i ragazzi venivano portati in una stanza dove non c’erano telecamere. Magari non essendo noi da sole, non avrebbero potuto dirci nulla. Però devo dire che quando si va via da un carcere le sensazioni sono sempre quelle giuste. Mi dispiace anche perché ne esce fuori una figura delle istituzioni devastante. Di poliziotti, di agenti, di comandanti che svolgono il proprio lavoro bene, nonostante le difficoltà, ce ne sono. Per quanto gli adolescenti siano problematici, alcuni sono nelle fattezze adulti più degli adulti, al minorile un fatto del genere è agghiacciante.
Le capita spesso di andare a visitare le carceri?
Sì, giro spesso per gli istituti penitenziari. Il carcere minorile è un mondo a parte. Ci sono strutture enormi per pochissimi ragazzi, l’Istituto penale per minorenni di Quartucciu (Cagliari) ospita sette-otto ragazzi in un istituto immenso. In tutta Italia ci sono circa 500 ragazzi reclusi (con il decreto Caivano stanno aumentando). I minori non dovrebbero stare in carcere.
Dove dovrebbero stare, secondo lei?
In delle comunità protette con percorsi ad hoc per loro. Recuperare, interagire per un adolescente è totalmente diverso che farlo con un adulto. Spesso anche gli agenti, che arrivano dagli istituti per adulti, non hanno la formazione per trattare con i minori e li trattano come gli adulti, e non va bene. Non è detto che, poiché ha commesso un reato, un ragazzo abbia la testa di un adulto. Il carcere minorile è solo un indotto per tutto il resto. Non gliene importa a nessuno di questo tema. Alcuni giornali hanno scritto dieci righe sulle violenze al Beccaria.
Secondo lei perché non se ne parla?
Perché i minori non votano. Sono ragazzi che sbagliano e vanno puniti, ma siccome non ci sono altri temi, come il suicidio e il sovraffollamento, si gira pagina. Io trovo che sia una cosa abnorme questa che è venuta fuori al Beccaria, con grande onestà dei Pubblici ministeri e delle indagini che andranno avanti e del nuovo direttore (Claudio Ferrari, ndr), che ha smesso di coprire quello che altri sapevano.
La foto in apertura è di Roberto Monaldo per LaPresse.
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