«Non sapevano dove mettermi perché il mio è un caso unico al mondo. Così sono finita nella categoria C, quella dei disabili gravi, ma vincevo troppo facilmente. Allora li ho convinti a passarmi alla B. Ora sì che c’è da divertirsi». Bebe è una che rompe gli schemi. Le hanno amputato braccia e gambe a seguito di un’improvvisa malattia e ha voluto continuare a tirare di scherma come prima. Tutti i giorni ha chiesto a suo padre che fosse inventata per lei una protesi speciale. Ora è la prima al mondo a tirare di scherma senza braccia. Per questo non si sapeva in che categoria inserirla. Ma il fatto è che Bebe tira bene, è forte. Allora mettila nella categoria B e lei come ti ricompensa? Lo scorso giugno a Varsavia ha vinto i campionati mondiali under 18. Under 18 perché questa fuoriclasse è un’adolescente quindicenne che va a scuola, dagli scout, disegna, e in più si allena tre volte a settimana. «La protesi è un sistema di vuoti d’aria e chiodi che si infila sul mio avambraccio sinistro perché sono mancina», spiega. Com’è stata messa a punto? «Il centro protesi ci ha lavorato assieme a mio padre, che è diventato esperto e si ingegna a progettare prototipi. È lui che mi aggiusta quando qualcosa non funziona. La scherma è un gioco di polso. Non avendocelo più, agisco di spalla e gomito. Infatti ho spesso male alla spalla. Ma tanto prima avevo male alla schiena. La scherma fa così a quasi tutti».
La passione comincia quando «avevo 5 anni: alla fine di una lezione di prova di pallavolo entro nella palestra a fianco. Vedo tutte queste persone vestite di bianco, mi fanno venire in mente Zorro, ho la bocca spalancata, il maestro mi viene incontro e mi fa provare a tirare. È stato subito amore. Non sono fatta per il gioco di squadra, ho bisogno di assumermi le mie responsabilità, sia che vinco sia che perdo. E poi è uno sfogo, quando sono arrabbiata tiro con il fioretto anziché far male a qualcuno».
Grazie a lei la Federazione italiana Scherma ha accolto anche la sezione degli atleti disabili, superando una divisione presente nella maggior parte delle discipline sportive. «Gli ultimi campionati nazionali sono stati fatti in un’unica palestra circondata da pedane, e atleti in piedi e in carrozzina si sono affrontati nei vari gironi. Le carrozzine erano sistemate al centro», ricorda Riccardo, orgoglioso di essere padre di Bebe, all’anagrafe Beatrice Vio. «Quando è stata in ospedale ci preoccupavamo che potesse tornare a vivere, anche dopo le amputazioni. Quando ci ha detto che non voleva smettere scherma sono stato felicissimo, altro che soltanto tornare a vivere, qui il punto è diventare campioni. Mi sono informato sulle protesi sportive che non sono mutuabili. Le federazioni sportive hanno pochi fondi. Allora ho fondato un’associazione, Art 4 Sport». Perché questo nome? «Bebe voleva farne parte attivamente e siccome disegna ? al liceo studia arti grafiche e comunicazione ? abbiamo pensato che l’arte avrebbe potuto aiutare lo sport nel produrre oggetti da vendere, visto che il nostro scopo iniziale era la raccolta fondi». Ora invece cosa fate? «Promuoviamo lo sport tra le persone con disabilità. Mi sono accorto che ci sono genitori che proteggono troppo i figli, privandoli della possibilità di sperimentare i benefici dello sport».
Bebe questo problema non l’ha mai avuto. Davanti a lei ci sono solo obiettivi da raggiungere. Vuole qualificarsi per le Paralimpiadi, non queste di Londra perché è ancora troppo giovane ma le successive, Rio de Janeiro 2016. Lì ha tutta l’intenzione non solo di tirare di scherma ma anche di correre. «Come il mio amico Pistorius. Mi sono fatta fare le protesi uguali alle sue. Voglio correre i cento e i duecento metri». Il suo spirito competitivo sta contagiando tutti. Vai a un convegno sulla realizzazione dei propri sogni dove imprenditori di successo raccontano come ce l’hanno fatta e scopri che nella lista degli ospiti c’è anche lei. Bebe e gli imprenditori. La chiamano nelle scuole, in televisione fanno servizi su di lei, la Gazzetta dello sport e il Corriere della sera la sostengono. Voleva a tutti i costi trovare un modo per andare alle Paralimpiadi di Londra e allora si è candidata come tedofora nella categoria dei futuri paralimpici. C’era un posto soltanto per tutto il mondo, indovinate chi l’ha vinto?
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