Economia

Bce: le ambigue scelte del Quantitative Easing

Bce: chi ci rimette e chi ci guadagna se Draghi abbassa il bazooka?

di Marcello Esposito

A gennaio 2018 gli acquisti di obbligazioni della BCE si dimezzeranno a 30 miliardi di euro al mese e incomincerà anche in Europa il tapering, cioè il graduale spegnimento del “quantitative easing”. Lo strumento di politica monetaria che, insieme ai tassi d’interesse negativi, ha rappresentato l’elemento di maggiore novità del periodo post-Lehman. È stato definito il bazooka dei banchieri centrali. Un’arma potente, ma controversa se usata in economie di mercato. Interferendo in maniera profonda con i meccanismi di allocazione intertemporale delle risorse e con il sistema degli incentivi, pubblici e privati, può risolvere crisi di panico finanziario e riaccendare il motore ingolfato della crescita economica. Ma il suo uso prolungato, silenziando i processi di autorigenerazione del tessuto produttivo e alimentando pericolose bolle speculative, ha un costo che si può pagare attraverso l’abbassamento della produttività dell’economia. Non sono pochi gli istituti di ricerca che iniziano infatti ad attribuire l’anemico tasso di crescita delle economie occidentali proprio al numero di aziende (e paesi) zombi, che sopravvivono grazie ad incentivi pubblici e droghe monetarie.

Ci sono aspetti della politica monetaria che il QE svela e che, specialmente nel contesto istituzionale europeo, richiedono una riflessione approfondita, sganciata dalla discussione sugli effetti di breve periodo sull’inflazione o la disoccupazione. Uno, forse il più evidente, riguarda gli investimenti della banca centrale nei titoli di Stato dei paesi membri dell’area euro, visto che nei Trattati europei è sancito il divieto di monetizzazione del debito pubblico. Il confine tra uso strumentale ai fini del raggiungimento dell’obiettivo di stabilità dei prezzi e uso politico ai fini della stabilizzazione del debito pubblico è estremamente labile, soprattutto quando si acquistano per anni titoli di Stato al ritmo di 60 miliardi di euro al mese. Se, come è auspicabile, il quantitative easing deve rimanere uno strumento a disposizione della BCE, sarebbe meglio risolvere per tempo la questione di conformità con i Trattati, anche perché nella giurisprudenza europea, come in quella nazionale, la flessibilità interpretativa delle norme dipende dallo spazio politico che viene accordato. E questo è diventato molto volatile in Europa.

Un altro aspetto critico del QE emerge se il programma di acquisti, come successo ad esempio in Europa, viene esteso anche a strumenti finanziari emessi da soggetti privati. Comprando obbligazioni corporate in maniera massiccia, la banca centrale effettua, in maniera più o meno consapevole, scelte discriminanti, che hanno valore nei confronti di categorie di operatori o nei confronti della società nel suo complesso. Con implicazioni sull’indipendenza e la neutralità della politica monetaria rispetto alle dinamiche competitive di mercato.

Pur in presenza di un generalizzato ribasso dei tassi d’interesse, le grandi aziende, i cui titoli di debito rientrano nell’universo investibile della BCE, sono favorite rispetto alle piccole imprese, che non emettono strumenti finanziari ma ricorrono esclusivamente al credito bancario. Se questo vantaggio non viene monitorato e, soprattutto, compensato in coordinamento con la politica fiscale o magari con una più leggera regolamentazione nei canali di finanziamento della PMI, la BCE inevitabilmente finisce per spostare l’equilibrio competitivo a favore delle grandi imprese.

La BCE effettua una scelta “politica” anche quando decide di non operare alcuna discriminazione tra le aziende o i settori destinatari dei propri investimenti. Sappiamo che i grandi fondi sovrani, quelli che amministrano risorse finanziarie considerate pubbliche, si sono dotati di comitati etici e non investono, ad esempio, in aziende che producono armi o che svolgono attività considerate dannose per l’ambiente. E’ positivo che nella sezione del sito della BCE dedicata al quantitative easing si riconosca genericamente l’importanza di adottare criteri di sostenibilità ambientale e di responsabilità sociale nell’attività di investimento in obbligazioni societarie. Ma non è molto credibile che un’istituzione indipendente come la BCE addossi al potere politico la responsabilità di non fornire linee guida vincolanti in tale ambito. Ed è ancora meno credibile l’affermazione che, se anche tali linee guida venissero formulate, non potrebbero essere implementate all’interno di uno strumento come il QE perché ne limiterebbero l’efficacia ai fini del raggiungimento dell’obiettivo della stabilità dei prezzi. Al contrario, se c’è una cosa di cui hanno bisogno le istituzione europee per raggiungere i loro obiettivi è proprio quello di coinvolgere i cittadini in un progetto condiviso, comprensibile e possibilmente coerente. Predicare il passaggio all’economia verde ma investire nel settore degli idrocarburi, promuovere l’educazione finanziaria ma finanziare i colossi dell’azzardo è a dir poco contraddittorio. Non è più come nella politica monetaria tradizionale, basata sui titoli governativi, dove si finanzia solo lo Stato e quindi presumibilmente la collettività. Estendendo il perimetro del quantitative easing, la BCE ha guadato il Rubicone e questo rende necessaria l’adozione di criteri etici che allineino la politica di investimento della BCE con il sentire comune dei cittadini, per come espresso nella progettualità di lungo periodo del Parlamento europeo.

Fonte: Affari & Finanza, 30 ottobre 2017

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