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Bauman: «La felicità è la risposta a ciò che ci consuma»

Ci siamo dimenticati della felicità. Alla sua costruzione, ricerca, speranza abbiamo sostituito il desiderio. E il desiderio del desiderio: un castello di carta che, generando iperconsumo di massa, ha dissolto legami, relazioni, forme del fare e del convivere. L'ultima lezione del sociologo polacco Zygmun Bauman: cercare la felicità come apertura all'altro. «La felicità è risolvere problemi, non anestetizzarsi»

di Marco Dotti

Come sopravvivere alla liquidità che caratterizza i nostri tempi, i nostri ritmi, le nostre relazioni, anche le più vitali? C'è un modo per superare quella tendenza ipermoderna alla rarefazione di ogni legame, struttura, senso del luogo, della comunità e del coappartenere che Zygmunt Bauman, il sociologo scomparso ieri a 91 anni, ha chiamato modernità liquida? Per Bauman c'è e consiste nel prendere atto della situazione in cui siamo, rendersi in altri termini conto conto che si vive in una società liquida che richiede, per essere capita e forse superata, nuovi strumenti e antichi fini.

Elites sub-politiche

Possiamo immaginare la modernità – rispondeva Bauman a David Lyon, in uno dei suoi tanti libri intervista – «come una spada con la sua lama affilata che preme continuamente sulle realtà esistenti». Ma il guaio – osservava Umberto Eco, in una "Bustina di Minerva", proprio commentando Bauman – è che la politica e in gran parte l’intellighenzia europee e globali non hanno ancora compreso la portata del fenomeno e chi dovrebbe guidarci dall'altra parte del fiume se ne sta fermo in attesa della corrente.

Eco definirà questa situazione come il terreno di coltura dell' "Ur- Fascismo", Bauman come una condizione di doppio legame, ossia una situazione di incoerenza emotiva e incongruenza di decisioni: « i governi che si presumono ancora sovrani del loro territorio soffrono in realtà di un doppio legame, con alcuni poteri globali e con i loro elettori, locali, e ritenuti anch’essi sovrani. Nessuna meraviglia che siano ondivaghi e precari nelle decisioni. Avidamente ma invano, cercano di avere il piede in due scarpe, ma le richieste dei due campi non si conciliano. Al massimo possono essere ascoltate e, a intermittenza, realizzate. Tuttavia, quasi mai soddisfacendo fino in fondo una delle due parti, per non parlare di entrambi contemporaneamente».

La mappa non è il territorio

Ci muoviamo con mappe che non corrispondono più al territorio che, d'altronde, è un territorio mobile. Usiamo scarpe pesanti dove servirebbe correre e, nel fango, ci muoviamo come su una spiaggia di Capalbio. Una società, scriveva Bauman, «può essere definita "liquido-moderna" se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo».

Il problema è che, in questa modernità rarefatta, si assiste a una dissoluzione, ma anche a una progressiva involuzione e chiusura dei rapporti e dei legami, fragili eppure cruenti che strutturano le nostre società.

Una società può essere definita "liquido-moderna" se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e procedure. La vita liquida, come la società liquida, non è in grado di conservare la propria forma o di tenersi in rotta a lungo

Zygmunt Bauman

Gli stati-nazione indipendenti sono ormai incapaci di affrontare i problemi derivanti dall’interdipendenza globale. Con la globalizzazione del potere che lascia indietro la politica locale, spiegava Bauman, «gli strumenti disponibili di azioni collettive efficaci non corrispondono alla misura dei problemi generati dalla nostra condizione globalizzata. Per citare Ulrich Beck, stiamo già in una situazione cosmopolita ma ci manca drammaticamente una consapevolezza cosmopolitica. Abbiamo fallito nella capacità di costruire con serietà istituzioni destinate a gettare le fondamenta di tale consapevolezza».

La felicità -osservava Bauman – è la sfida dell'umanità presente, per la sua dignità futura

Felicità: la sfida del rischio

In tutto questo, Bauman ricordava che ci siamo dimenticati di una parola semplice eppure stratificata e vitale. L'abbiamo svenduta all'iperconsumo di massa e alla dirompente potenza espansiva delle tecnostrutture del desiderio. La parola è "felicità". Che cos'è la felicità e perché, oggi, può tornare a interrogarci radicalmente?

La felicità – spiegava Bauman – «è uno stato mentale, corporeo, che sentiamo in modo acuto, ma che è ineffabile. Una sensazione che non è possibile condividere con altri. Ciononostante, la caratteristica principale della felicitè e' quella di essere un'apertura di possibilità, in quanto dipende dal punto di vista con il quale la esperiamo. Nell'antichità la felicità era una ricompensa per pochi eletti selezionati. In un momento successivo venne concepita come un diritto universale che spettava a ogni membro della specie umana. Successivamente, si trasformò in un dovere: sentirsi infelici provoca senso di colpa. Dunque chi è infelice è costretto, suo malgrado, a trovare una giustificazione alla propria condizione esistenziale».
. Ma esiste una seconda linea di evoluzione del concetto di felicità: la felicità come stato finale, come obbiettivo al quale dobbiamo tendere. La felicità come fine concreto, che abbiamo dimenticato

All'interno di questa seconda prospettiva, ricorda Bauman, `l'evoluzione è stata verso un'esperienza della felicità legata direttamente al piano della vita quotidiana, che nella contemporaneità ha indebolito l'idea della felicità come obiettivo. A ciò si lega anche la parallela evoluzione del concetto di desiderio. Ora, non ci si ferma soddisfatti, e felici, quando un nostro desiderio si realizza. Piuttosto, ci si spinge subito a desiderare qualcos'altro che ci possa soddisfare in maniera migliore. Desideriamo il desiderio più che la realizzazione di esso. Quest'atteggiamento dà luogo ad una catena tendenzialmente infinita di frustrazioni e insoddisfazioni».

Se il desiderio ipermoderno, iperveloce, tecnologicamente drogato non vede né vuole problemi (ma costruisce muri fra noi e il mondo), la felicità è – insegnava Bauman, a commento del lavoro di Erik Gandini La teoria svedese dell'amore di cui abbiamo ampiamente parlato su Vita – è sfida, consapevolezza, presa di coscienza di quei problemi. Ecco perché la felicità è tanto avversata dai fantasmi del mondo liquido.

«Non è vero che la felicità significhi una vita senza problemi. La vita felice viene dal superamento dei problemi, dal risolvere le difficoltà. Si raggiunge la felicità quando ci si rende conto di riuscire a controllare le sfide poste dal destino, ci si sente persi se aumentano le comodità». La felicità -osservava Bauman – è la sfida dell'umanità presente, per la sua dignità futura.

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