Cultura

Battere la fame cambiando la nostra vita

L'editoriale di Giuseppe Frangi sul vertice Fao

di Giuseppe Frangi

Ha detto il segretario generale della Fao, Jacques Djouf che la fame cronica trova solo indifferenza perché ha il torto di non fare chiasso. Constatazione amara, tanto più amara se pensiamo che questo silenzio copre un dramma più devastante di qualsiasi guerra o di qualsiasi attentato terroristico: 24mila persone al giorno, dall?Angola alla Corea del Nord, muoiono per mancanza di cibo. Si muore per i perversi meccanismi del liberalismo, per le crudeltà tribali di regimi, comunisti e non. Ma si continua a morire, ogni minuto, ogni secondo.
Davanti alle dimensioni epocali di un problema come questo, l?indifferenza suona anche come una difesa. Ma è una difesa che davvero non ha alibi. Come ha detto Giulio Andreotti al vertice Fao, non è umano non percepire la disumanità di quanto sta accadendo.
Eppure le strade per non restare prigionieri dell?impotenza sono tante. E molto meno complesse di quanto si possa pensare. Per esempio, c?è la strada dell?educazione. Stampare nelle coscienze dei nostri figli che lo spreco è una vera bestemmia, come i nonni con saggezza contadina ci avevano insegnato, è già un darsi da fare.
L?alibi che non regge, infatti, è quello di pensare che non ci sia un?interrelazione tra il troppo che riempie le nostre tavole, e il niente che ogni giorno riduce migliaia di uomini a degli spettri. Ha colpito l?attenzione di molti lettori l?articolo di Felix Petrella, pubblicato settimana scorsa, che dimostrava come l?alimentazione a base di carne sia un?alimentazione all?insegna di un incredibile spreco: 10 acri di terra coltivati a soia possono fornire proteine per 60 persone. Se quella soia viene usata per l?allevamento di bovini, fornisce proteine per due persone. Viviamo navigando in un superfluo di cui non abbiamo la minima percezione. Ogni giorno, in media, un italiano consuma il 61% di proteine più del necessario, il 25% in più di grassi, il 10% di grassi saturi, il 40% di zuccheri semplici, il 20% di zuccheri complessi. Come ha concluso uno studio dell?Istituto nazionale per gli alimenti e la nutrizione, siamo in 55milioni e mangiamo per 110.
Davanti a questi numeri è difficile avere alibi. Perché non sono numeri lontani, di fronte ai quali al massimo possiamo opporre indignazione o la retorica del dolore. Sono numeri che toccano il nostro quotidiano e che fanno capire come la lotta alla fame inizi dalle nostre tavole, dall?impegno per uno stile di vita diverso, dalla coscienza che ogni nostra scelta ha un peso che va ben oltre la sfera del nostro privato. Perché il primo passo verso un mondo diverso è quello che dobbiamo fare noi, nel nostro quotidiano.
«Siamo chiari fin dall?inizio», scrisse nei lontani anni 60 Bob Kennedy: «non troveremo né un fine per la nazione né la nostra personale soddisfazione nella mera continuazione del progresso economico, nell?ammassare senza fine beni terreni. Perché il prodotto nazionale lordo comprende l?inquinamento dell?aria e la pubblicità delle sigarette. Mette nel conto le serrature speciali con cui chiudiamo le nostre porte, e le prigioni per coloro che le scardinano. E se il prodotto nazionale lordo comprende tutto questo, molte cose non sono state calcolate».
Ora sappiamo che per rifare quei calcoli, drammaticamente sbagliati, non occorre aspettare il guru di turno. Basta guardare cosa c?è nel nostro piatto.

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