Carcere

Basta bambini dietro le sbarre, è una battaglia di civiltà

È un tema più che mai attuale quello che viene trattato nel libro "Senza colpe. Bambini in carcere" di Paolo Siani, pediatra ed ex parlamentare, alla luce delle misure annunciate nel nuovo pacchetto sicurezza licenziato dal Consiglio dei Ministri lo scorso novembre

di Ilaria Dioguardi

«Una mamma detenuta mi disse che la prima parola pronunciata dal figlio, in carcere con lei, non fu “mamma” o “papà” ma “apri”. Questo racconto mi fece capire che un bambino in carcere non può vivere». A parlare è Paolo Siani, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria dell’Ospedale Santobono di Napoli ed ex parlamentare, autore del libro Senza colpe. Bambini in carcere (Guida editori).
Le nuove misure del pacchetto sicurezza, che arriveranno in Parlamento tra qualche mese, prevedono l’introduzione di «un regime più articolato per l’esecuzione della pena» per le donne incinte e per le mamme con bambini fino a tre anni e l’eliminazione del rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena per le donne in gravidanza e le madri di bambini di meno di un anno di età, prevedendo la detenzione in Istituti a Custodia Attenuata per detenute Madri, Icam. «È un fatto insopportabile perché avremo molti più bambini negli Icam. Questa è l’emergenza che si è creata in queste settimane, di cui va informata la popolazione», dice Paolo Siani.

«Mentre scrivo sono 20 i bambini innocenti detenuti con le loro mamme. Ma fosse anche uno solo, costretto a conoscere il mondo e a trascorrere la sua infanzia dietro le sbarre, quella che sto per raccontarvi sarebbe comunque una battaglia di civiltà». Siani, nella nota introduttiva del suo volume c’è già la risposta alla domanda «perché ha scritto questo libro?»

Secondo il governo, l’Icam non è un carcere, invece lo è a tutti gli effetti. Bisogna spiegare ai parlamentari che questa norma non si può votare. Il diritto del minore è un diritto costituzionale: tra due diritti, prevale sempre il diritto del minore. Lo dice la Costituzione e anche la Convenzione sui diritti dell’Infanzia. Non possiamo fare finta di niente, con questa norma ce ne stiamo fregando dei diritti del minore. Sono stato nell’Icam di Lauro, dove ho visto quei bambini con le loro mamme. Una mamma mi disse che la prima parola pronunciata dal figlio non fu «mamma» o «papà» ma «apri»: una parola anche difficile da dire, è quella che un bambino sente più spesso in carcere. Questo racconto mi fece capire che un bambino in carcere non può vivere, il suo cervello riceve un input non fisiologico ma patologico, che si ripercuote sulla sua vita presente e futura.

Nella foto, la stessa bambina dell’immagine di apertura dell’articolo, a distanza di tre anni, mentre si trova ancora nell’Icam di Lauro

La legge che c’è ora in Italia prevede la possibilità di mandare le donne con i loro figli in case famiglia

Io ho visitato una delle due case famiglia che ci sono in Italia, una è a Milano e l’altra è la Casa di Leda a Roma, dove sono stato: una bella villa in cui non si ha l’impressione di stare in carcere. Quella sarebbe la soluzione migliore. Per recuperare una donna che ha commesso un piccolo reato non si può condannare un bambino a vivere in un carcere, è un’assurdità. L’articolo 31 della nostra Costituzione tutela la maternità e l’infanzia. Che tutela è se metto in carcere donne incinte e bambini? Leggere il mio libro fa capire perché non può stare in carcere un bambino innocente fino a sette-otto anni. Nel libro ci sono alcune fotografie, tra le quali una che ritrae la stessa bambina, nello stesso luogo (l’Icam di Lauro), all’età di quattro anni e di sette anni (la foto di apertura dell’articolo e la prima foto, ndr). Un bambino che vive gli anni più belli e importanti della sua vita in un carcere lo stiamo condannando a una vita di disagio fisico e psichico. Nel 2020 fu approvato un mio emendamento con lo stanziamento di un milione e mezzo di euro per tre anni, fino a questo anno, per realizzare case famiglia protette. Le regioni hanno ricevuto i finanziamenti ma non li hanno utilizzati per l’obiettivo prefissato.

Paolo Siani

Può parlarci della «sindrome da prigionia», di cui si parla nel libro?

Gli psicologi hanno dimostrato che i bambini che vivono in una condizione ristretta, come in un carcere, hanno certamente delle disfunzioni sia sul piano psicologico, che si manifestano con insicurezza, inadeguatezza e senso di sfiducia, sia sul piano linguistico: parlano più tardi, hanno un rapporto alterato con gli altri, sono particolarmente timidi e poco espansivi. Hanno dei disturbi legati alla condizione in cui vivono, di ristrettezza. Studi di importanti pedagogisti britannici hanno dimostrato che il cervello del bambino è influenzato non solo dalle relazioni con i genitori e la famiglia, ma anche dall’ambiente in cui vive. L’ambiente accogliente, ampio, luminoso stimola il cervello del bambino, l’ambiente del carcere non può essere stimolante. Anche la pedagogia ci dice che un bambino innocente non deve stare in carcere.


Accanto ai pochi bambini innocenti che vivono in un carcere con la loro mamma, ci sono in Europa circa due milioni di bambini che hanno un genitore in carcere, in Italia sono centomila

Questo è un tema nel tema, molto complicato. Chi ha un genitore in carcere ha un handicap notevole. Se non va in carcere a visitare un genitore detenuto con una certa tutela, quel bambino vive un dramma, che si porterà dentro per sempre. Chi vive in carcere con la mamma vive un dramma molto più grande, spesso hanno anche il padre in un altro carcere. Se nessuno si fa carico di questi bambini, è molto probabile che diventino dei delinquenti.

Una mamma detenuta mi disse che la prima parola pronunciata dal figlio, in carcere con lei, non fu “mamma” o “papà” ma “apri”. Questo racconto mi fece capire che un bambino in carcere non può vivere

Qual è la differenza tra un Icam e una casa famiglia?

Una casa famiglia dovrebbe essere come una casa normale, potrebbe essere una di quelle abitazioni confiscate ai boss della mafia. È senza sbarre e senza guardie, i ritmi sono scanditi dal nucleo mamma-bambino, è un ambiente accogliente. L’Icam ha le sbarre alle finestre, ci sono le guardie, i tempi del carcere. La mamma può essere controllata con il braccialetto elettronico. Nessuna donna è mai evasa dalla Casa di Leda, ad esempio, non ha nessun interesse a evadere da un ambiente così ospitale.

I bambini che sono in un Icam come vanno a scuola?

Nell’Icam di Lauro, i bambini vanno a prenderli con il pulmino e li portano alla scuola dell’infanzia o primaria. Sono i primi ad essere presi e gli ultimi ad essere riportati, in modo da non far vedere agli altri bambini dove vivono. Anche questo è un disagio che il bambino è costretto a vivere. Nel libro è presente il racconto di un bimbo dell’Icam di Lauro, a cui un amichetto chiede di poter andare a giocare a casa sua. Lui risponde: «No, perché mia mamma ha sempre mal di testa». Si inventa una soluzione intelligente per non dirgli che non può entrare a casa sua.

Foto di apertura e prima foto per gentile concessione dell’intervistato, tratte dal libro “Senza colpe. Bambini in carcere” (credits Anna Catalano)

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