Mondo

Bashir rischia accusa per genocidio, mentre in Sudan la pace è ancora un miraggio

di Giulio Albanese

Il governo sudanese ha accusatoieri la Corte penale internazionale dell’Aja (Cpi) di voler intenzionalmente pregiudicare le elezioni in programma ad aprile, ostacolando inoltre il difficile negoziato con i ribelli del Darfur. Motivo della dura presa di posizione di Khartoum è stata la decisione, da parte dell’Aja, di riesaminare l’accusa di genocidio che non rientrava nel mandato d’arresto spiccato contro il presidente Omar Hassan al Bashir. La Camera d’appello del Cpi ha infatti accolto l’appello del procuratore Luis Moreno-Ocampo contro la sentenza del 4 marzo dello scorso anno che aveva sì spiccato un mandato di cattura contro il presidente sudanese, ritenendolo colpevole di crimini di guerra e contro l’umanità, ma assolvendolo dall’accusa più grave: quella di avere perpetrato un genocidio contro le etnie Fur, Masalit e Zaghawa. I giudici d’appello hanno annullato proprio questa sentenza di assoluzione ritenendo che siano stati compiuti “errori di diritto” ed hanno chiesto alla Corte di riesaminare le prove portate dalla procura per sostenere l’accusa di genocidio nei confronti di Bashir . Da rilevare che secondo l’ordinamento delCpi , il leader sudanese non potrà essere processato fino al momento del suo arresto. Finora, Bashir ha potuto contare sull’appoggio dei Paesi africani e arabi che hanno accolto il suo appello a fare fronte comune contro l’egemonia straniera. Come ho già avuto modo di scrivere in passato su questo blog, la società civile mondiale, nelle sue molteplici componenti, ha sempre difeso il ruolo della Corte dell’Aja, nata con lo statuto di Roma del 1998. Sta di fatto che da quando è stato spiccato il mandato di arresto nei confronti di Bashir, in seno all’opinione pubblica si sono manifestate opposte reazioni. Ad esempio, i sostenitori dell’azione legale contro Bashir ricordano come il presidente sudanese non sia mai stato effettivamente impegnato nella ricerca di una soluzione pacifica e sono convinti che l’incriminazione potrebbe costringerlo al tavolo negoziale. Finora, in merito alla questione darfuriana, Moreno-Ocampo aveva fatto spiccare due mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità per l’ex ministro dell’onterno sudaneseAhmed Harun e per il leader delle famigerate milizie dei janjaweed (“diavoli a cavallo”) Ali Kosheib. Da notare che questi atti giudiziari non hanno mai avuto alcun seguito, a fronte del secco rifiuto di Khartoum di consegnare i due ricercati all’Aja. Ecco allora che da una parte l’incriminazione di Bashir conferma indubbiamente il coinvolgimento nelle atrocità commesse nel Darfur dei più alti esponenti del regime, come peraltro denunciato ripetutamente da diverse organizzazioni umanitarie; dall’altra, però, è illusorio pensare che il Sudan consegni nelle mani della giustizia internazionale la propria massima autorità. A questo proposito, vi è un’altra corrente di pensiero, alla quale mi associo, che pur affermando la “sacralità” della giustizia internazionale, pone delle questioni che forse sono state sottovalutate da Moreno-Ocampo. Provo a spiegarmi meglio facendo un po’ di dietrologia. Da quando è stato emesso da parte dell’Aja il mandato di cattura internazionale nei confronti del famigerato leader dei ribelli nordugandesi Joseph Kony, non solo è saltato il negoziato di pace con questo signore, ma la guerriglia s’è trasferita nel nord est dell’ex Zaire dove questo criminale continua a seminare morte e distruzione. Personalmente ritengo che sia davvero ingenuo pretendere che questo genere di provvedimenti giudiziari possano, “ipso facto”, determinare un miglioramento della situazione dei diritti umani nei Paesi in cui sono in corso dei conflitti. Dal mio modesto punto di vista, sarebbe auspicabile che la diplomazia internazionale fosse sempre messa nelle condizioni di fare il proprio corso, senza dover subire interferenze, in contesti geografici come quello darfuriano, in cui è urgente arrivare a una pace. Chi scrive in questi anni ha sempre stigmatizzato l’operato del regime sudanese, ma in un contesto così delicato come è oggi quello del Darfur o del Sud Sudan, i pronunciamenti dell’Aja potrebbero avere delle gravi ripercussioni a livello negoziale o addirittura sullo svolgimento del referendum per l’autodeterminazione delle regioni meridionali del Sudan in programma il prossimo anno. Una cosa è certa: se le cancellerie dovessero fallire la loro missione diplomatica nel Darfur, dove è in gioco il destino di milioni d’innocenti, sarebbe un brutto guaio. E purtroppo è quello che sta avvenendo…

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