Welfare

Basaglia? In Lombardia non è mai arrivato

Guardata spesso come modello sanitario dalle altre Regioni, sulla salute mentale la Lombardia segna il passo: a dirlo è la psichiatra basagliana Carla Ferrari Aggradi. La rivoluzione che ha portato alla Legge 180/78 qua si è bloccata sul nascere e alcune strutture utilizzano ancora l'approccio medicalizzante

di Veronica Rossi

Alla Lombardia, in molti ambiti, si guarda come a un modello. Questa affermazione, però, non vale per i servizi di salute mentale, che rimangono ancorati – secondo la psichiatra e psicoterapeuta bresciana Carla Ferrari Aggradi, basagliana della prima ora – a sistemi antecedenti alla Legge 180. Le idee provenienti da Trieste, infatti, non hanno trovato terreno fertile sul suolo lombardo e, già pochi anni dopo la riforma, il processo di cambiamento si è arrestato.

Dottoressa, qual è la situazione della salute mentale in Lombardia?

Noi non abbiamo avuto le fortune di Trieste: la salute mentale, in Lombardia, è considerata solo una branca della sanità come le altre. In tutto questo mondo, si vede una tendenza alla privatizzazione, nella nostra Regione più forte che altrove. La psichiatria però non è redditizia, quindi i privati tendono a occuparsene meno e nel pubblico è sempre più depauperata: non vengono assunti nuovi operatori e quelli che vanno in pensione non vengono sostituiti, non ci sono concorsi. Molte persone, poi, proprio non vogliono venire in realtà in cui si lavora male.

In che senso?

Si fa un largo utilizzo della contenzione e, nell’ospedale di Montichiari, in provincia di Brescia, si pratica ancora l’elettroshock, che ora chiamano terapia ellettroconvulsivante (abbiamo contattato gli Spedali civili di Brescia, da cui la struttura dipende, per saperne di più ma a oggi non abbiamo ricevuto risposta, ndr). Le famiglie non vengono aiutate in alcun modo. La psichiatria lombarda funziona così, c’è una diagnosi, si prescrivono dei farmaci, si eseguono dei ricoveri nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc) quando la persona sta male, seguiti da qualche controllo. Le attività riabilitative sono poche e le persone vengono mandate nelle comunità residenziali, che ormai hanno assorbito gran parte delle somme stanziate per la psichiatria. Insomma, siamo fermi a un’ideologia manicomiale.

Quindi le idee di Basaglia in Lombardia non sono mai arrivate?

Il modello basagliano è stato in qualche modo recepito nel 1984, con la prima legge lombarda sulla psichiatria che ha istituito i servizi territoriali. Poi però i manicomi hanno funzionato regolarmente fino agli anni ‘90 e i servizi non hanno fatto passi avanti, anzi, sono andati all’indietro: lavorano in orario d’ufficio, per cinque giorni alla settimana, quando, per funzionare bene, dovrebbero essere aperti 24 ore al giorno sette giorni su sette. Insomma, la rivoluzione qua è arrivata, ma è stata subito bloccata.


Come mai?

Penso sia un fatto culturale. Molte volte mi sono sentita dire che Basaglia era un ignorante, che non capiva niente: molti medici lombardi lo considerano addirittura un fallito. La psichiatria, si dice qui, non è quello che succedeva a Trieste, la relazione, le gite coi pazienti; la psichiatria è diagnosi e prescrizione di farmaci, tutto il resto è ideologia da figli dei fiori. C’è un po’ di superbia e di adesione assoluta a quello che dice il Manuale diagnostico e statistico delle malattie mentali .

Una visione oggettivizzante, insomma…

Assolutamente. È tutto legato alla biologia e alle diagnosi, quindi c’è una forte disumanizzazione delle persone. Poi non voglio generalizzare: ci sono sicuramente delle strutture in cui si lavora meglio che nelle altre. La Lombardia, però, è il regno dell’ideologia di mercato; i nostri pazienti subiscono una grande marginalizzazione, diventano oggetto di mercato invece che persone da curare. La malattia mentale è diversa dalle altre patologie e non la si può trattare allo stesso modo. È un mondo complesso, che non si può ridurre al solo ambito medico. Qua da noi, invece siamo molto arretrati: basti pensare che l’unico manicomio psichiatrico giudiziario ancora in funzione è a Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova.

Come è possibile, se la chiusura ufficiale degli ospedali psichiatrici giudiziari è avvenuta nel 2015?

Hanno detto che la struttura è stata trasformata in una delle venti Residenze di esecuzione misure di sicurezza (Rems) che dovevano essere realizzate a seguito della chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari. Di fatto, però, il manicomio è rimasto.

Insomma, pare che la Lombardia non faccia scuola nell’ambito della salute mentale…

No e il pericolo è legato al fatto che sulla sanità è comunque guardata come un modello dalle altre Regioni.

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Foto in apertura da Pixabay

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