Cinema

Barbie: un film già nella storia, anche senza Oscar

Barbie di Greta Gerwig è fuori dalle principali categorie degli Oscar. È l'espressione di una visione maschilista, che il film cerca di contrastare? Per Beatrice Fiorentino, critica cinematografica, le nomination dimostrano piuttosto un'apertura al cinema d'autore europeo e il film sulla bambola più famosa del mondo in versione femminista ha il merito di aver sollevato il dibattito sui rapporti di genere. Come "C'è ancora domani" di Paola Cortellesi

di Elisa Cozzarini

«Non c’è Ken senza Barbie»: così Ryan Gosling ha commentato con un certo imbarazzo la nomination all’Oscar come attore non protagonista del popolare film Barbie, mentre sono rimaste fuori dalle categorie principali la regista Greta Gerwig e l’attrice Margot Robbie. Proprio Ken è stato preferito all’acclamata Barbie in versione femminista: come mai? Ne abbiamo parlato con Beatrice Fiorentino, giornalista, docente e critica cinematografica, direttrice della Settimana internazionale della critica di Venezia dal 2020. Fiorentino fa parte degli Efa – European Film Academy e dell’Accademia del cinema italiano – Premi David di Donatello. Ha curato il volume Nuova Storia del Cinema, Hoepli 2023.

Beatrice Fiorentino, come interpreta l’esclusione di Greta Gerwig e Margot Robbie dalle categorie più importanti degli Oscar? È ancora una volta espressione di una visione maschilista che il film cerca di contrastare?

Vale la pena ricordare che non esiste una giuria di “cinque uomini barbuti” che hanno tenuto fuori Barbie dalla cinquina. C’è invece un’Academy con diecimila membri, persone che lavorano nel settore dell’industria cinematografica, che si esprimono. Ne deriva una tendenza, più che una scelta. Anche se la maggioranza dei membri dell’Academy è ancora maschile, da diversi anni – giusto o sbagliato che sia – sono stati introdotti criteri di inclusività per poter partecipare agli Oscar. L’attenzione non riguarda solo le donne ma in generale le minoranze, come i nativi americani, gli afroamericani… Non direi quindi che le nomination siano espressione di una cultura maschilista. Piuttosto, quest’anno c’era una concorrenza molto forte, segnale positivo per il mondo del cinema.

Beatrice Fiorentino

Nella cinquina per la miglior regia, in effetti, c’è una donna: la francese Justine Triet per Anatomia di una caduta


Un film, va detto, estremamente femminista e di un femminismo intelligente. In più è un film grandioso e per moltissime ragioni mi auguro che vinca. A me sembra che gli Oscar stiano cercando, in questa ansia di revisione, di dare spazio a un cinema che non sia solo Hollywood. Questa tendenza ad aprirsi al mondo è un fenomeno degli ultimi due decenni. Lo dimostra il fatto che, nella categoria principale, nel 2019 ha vinto il sudcoreano Parasite. Quest’anno, nella cinquina per la migliore regia, oltre a Triet, ci sono altri due europei: Jonathan Glazer per The Zone of Interest e Yorgos Lanthimos per Povere creature. Ecco, quello che vedo è una tendenza a cercare film più di autore ed europei.

Qual è il suo giudizio su Barbie?

Non voglio dare un giudizio di merito sull’opera. Trovo che i film con una certa dignità artistica, che aprono a delle discussioni sulla nostra società, siano tutti benvenuti. Barbie resterà nella storia come uno dei fenomeni del 2023 che hanno riportato il pubblico in sala, dopo la chiusura della pandemia, favorendo anche un ritorno per il cinema d’autore, come quello di Wim Wenders o Hayao Miyazaki. Ma soprattutto, è un film importante, perché ha innescato una discussione sul tema dei rapporti di genere, che riguardano tutti, ma soprattutto i nostri figli. Ben venga che emergano questioni rimaste irrisolte per troppo tempo: è ora che se ne parli.

Possiamo fare un discorso simile per C’è ancora domani di Paola Cortellesi?

Sì, come per Barbie non è il mio cinema. Da un punto di vista critico, lo leggo come un film molto sottolineato, a tesi, che porta avanti un’idea in modo semplice, per arrivare a tutti, non ha nulla a che fare con il Neorealismo. Ma in questo momento storico, il giudizio sul film non può prescindere dalla risposta del pubblico e dal dibattito che ha saputo innescare, anche se così usciamo dal terreno della critica. Con un film imperfetto, Paola Cortellesi ha fatto meglio di tanti colleghi uomini e già solo per questo merita un applauso. Invece dà fastidio. Facciamoci qualche domanda. Basterebbe avere il senso della misura e parlare dei numerosi pregi del film senza urlare al capolavoro, ma oggi è così che funziona. Giudizi polarizzati e spesso ideologici, mentre la realtà è più complessa e sfumata. Vale anche per Barbie (e Oppenheimer).

Foto in apertura di Jordan Strauss per Invision/AP/LaPresse.

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