Cultura
Barbarin, il cardinale in citybike
È uno dei protagonisti delle trattative in corso per arrivare alla scelta del nuovo Papa. Francese, modi molto moderni, poco formale, con idee molto chiare
È arrivato questa mattina all’appuntamento delle congregazioni dei cardinali in bicicletta (foto Ap sul sito di Repubblica): non con una due ruote old style un po’ da parroco di campagna, ma pedalando in clergymen e con andatura da collaudato citybiker. Lui è il cardinale di Lione, Phlippe Barbarin, 63 anni, un personaggio simbolo della chiesa che cambia anche nel vecchio continente e anche in un paese supersecolarizzato come la Francia. Barbarin è personaggio che ha saputo aggiornare il proprio linguaggio spogliandolo da quei toni clericali che a volte fanno della gerarchia ecclesiastica una presenza fuori dal tempo.
Nominato cardinale da Giovanni Paolo II nel 2003, è oggi un vero figlio della stagione ratzingeriana: custode della tradizione ma capace di grandi aperture sociali e culturali. Ha pubblicato un libro con Gilles Bernheim, rabbino capo della sinagoga della Vittoria di Parigi, ma è anche andato a pregare Allah nella moschea di Lione il 27 febbraio scorso. Ha celebrato i funerali dell’Abbé Pierre, figura di punta del della chiesa sociale francese, ma è anche uno dei cardinali che per primo si è prestato a celebrare la messa in rito trindentino, dopo il via libera in questo senso dato da Ratzinger. È stato molto chiaro sul tema delle nozze gay, nel dibattito in corso attualmente in Francia, rivendicando il diritto della Chiesa ad avere un ruolo pubblico e sociale («in un Paese che si vuole democratico e non sottoposto a un pensiero unico è del tutto legittimo»). Ha spiegato al quotidiano Le Progés: «Il parlamento deve occuparsi di trovare lavoro, di sicurezza, salute, pace, ma non è il Padreterno! Ognuno deve avere il senso dei limiti delle proprie responsabilità». Sul gesto di Ratzinger ha detto parole non di cerimonia: «Ha sempre esercitato la sua missione con grande libertà, la stessa libertà con cui ha deciso di lasciarla. È anche un atto di umiltà, perché spesso le persone si attaccano al potere e lui non ha fatto niente per diventare Papa. E siccome penso che non sia in possesso delle piene facoltà per continuare a esercitare il suo incarico, è come se avesse detto ‘è meglio che me ne vada, è una cosa bella e utile’».
Quanto al papa che verrà, non si è trincerato dietro forme allusive, tracciando un profilo che coincide con alcune caratteristiche suggerite dallo stesso Benedetto XVI nei suoi ultimi discorsi (un uomo che abbia vigore per affrontare i momenti di mari in tempesta). Ha spiegato Barbarin in un’intervista in questi giorni: «Mi auguro soprattutto che il successore sia un santo e poi che abbia una mente ben strutturata. E poi che sia una persona solida perché il Papa è il successore di Pietro, su cui è stata costruita la Basilica. Dunque è meglio che l’edificio stia in piedi ed è meglio che la pietra sia abbastanza solida». E pochi mesi fa al mensile 30 Giorni aveva confidato la sua ammirazione per le chiese del mondo nuovo: «Si nota neo sacerdoti venuti dall’Africa la freschezza delle giovani Chiese; si danno senza risparmiarsi, come se volessero “svegliare” i cattolici di Francia, rivitalizzare situazioni assopite o invecchiate. Sono loro molto riconoscente».
Sul prossimo numero di Vita in edicola da sabato, la scelta di Ratzinger e e l’attesa del nuovo Papa è raccontata da quattro donne: Cristina Simonelli, presidente delle teologhe italiane, Gloria Mari, consacrata della comunità Nocetum, Chiara Giaccardi, sociologa e Luisa Muraro, femminista. In allegato l’introduzione al servizio firmata da Giuseppe Frangi
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