Formazione
Baranda, un educatore con 500mila finanziatori
Parla il direttore della Fondazione Hogar de Cristo. Un caso unico al mondo
Sono le persone che ogni mese versano da uno a mille euro per sostenere le attività di Benito Baranda. Che quotidianamente aiutano 50mila poveri: «La nostra però non è mai una logica assistenzialista» «Ogni volta che ci chiudiamo al dolore dell’altro, ne scaviamo uno ancor più profondo dentro di noi. Perché accogliere la sofferenza del mondo equivale un po’ a sanare la propria». Al riscatto degli ultimi, Benito Baranda, direttore sociale della Fondazione cilena Hogar de Cristo e membro della Commissione per il superamento della povertà di Santiago, ha dedicato tutta la vita. E quella parola, “altro”, che per chiunque segna il confine oltre il quale preme l’estraneo, il diverso, per lui è solo un modo differente di dire figlio, padre, fratello, amico. O Ignacio, Antonia, María, Manuel, Francisca, Cristóbal… I disgraziati della capitale: senza tetto, carcerati, stranieri, tossicodipendenti. Emarginati, chi sono costoro? La risposta Benito Baranda non l’ha cercata nei libri di sociologia ma per le strade de La Pintana, periferia sud di Santiago, in testa alle classifiche per povertà, alcolismo e violenza familiare. Qui si è trasferito insieme alla moglie Lorena, dopo gli studi di psicologia e un dottorato in Italia, lasciandosi alle spalle i quartieri ricchi della città. Non potendo avere figli, ne ha adottati sei, la più piccola, Magdalena, gravemente disabile. Con loro la casa si è riempita di bambini, piante, pappagalli e vicini. Oggi, quaggiù il nome di Benito Baranda è più popolare anche della miseria. Vita lo ha incontrato a Milano in occasione della giornata di studi «Strade liberate», promossa dall’Accademia della carità e Souq, Centro studi sofferenza urbana.
Vita: Che cos’è l’Hogar de Cristo?
Benito Baranda: È un’opera grandiosa nata nel 1944 da un “mistico sociale”, il padre gesuita Alberto Hurtado, canonizzato nel 2005 da Benedetto XVI. Si occupava inizialmente di accogliere i ragazzi di strada, offrendo loro una casa, un pasto, una parola. Ben presto però ha superato i confini della capitale, dimostrando grande dinamismo nel rispondere alle diverse emergenze sociali espresse dalle comunità: dal problema dell’abitazione (fra il 1958 e il 2005 ne ha data una a un milione 510mila persone) a quello della salute fisica e mentale. Dagli anni 70 è un fiorire di iniziative: nascono “hogares” (focolari) di vita familiare e di accoglienza, ambulatori, comunità terapeutiche per disabili e tossicodipendenti, programmi di formazione, di assistenza per invalidi e malati terminali, centri di inserimento sociale e di aiuto al lavoro, refettori, asili nido, sostegno scolastico, assistenza legale, case di riposo.
Vita: Quante persone aiuta oggi la fondazione?
Baranda: 50mila ogni giorno, attraverso le oltre 800 opere distribuite in tutto il Paese. Dalla Fondazione Hogar de Cristo ne dipendono altre sei, ciascuna delle quali operativa in uno specifico settore. Nel 2002 nasce il Fondo Esperanza, un istituto di microcredito che conta oggi 22 sedi fra Iquique e Puerto Montt. Nel 2005 avevamo 5.259 clienti, un anno dopo erano 13.500: grazie a 72.990 prestiti per un totale di 10.508 milioni di pesos, sono attive oggi 30.022 piccole imprese, l’87% delle quali gestite da donne, con un tasso di solvenza del 99%.
Vita: Come finanziate le opere?
Baranda: In gran parte con le donazioni dei soci: mezzo milione di persone che ogni mese versano somme variabili da 1 a mille euro. Per molti di loro è un sacrificio, ma sanno che l’Hogar è un’opera di tutti e per tutti, e non vogliono mancare. Dei 12mila operatori attivi nella fondazione, inoltre, 8mila sono volontari.
Vita: Tutti per l’Hogar, l’Hogar per tutti…
Baranda: Sì, perché la logica non è assistenzialista ma sussidiaria. In questi anni la fondazione ha operato una scelta importante, all’inizio controversa ma poi dimostratasi vincente: non lavoriamo per dare una nuova casa ai bambini disagiati, ma perché il primo luogo di accoglienza sia la loro abitazione. Non vogliamo edificare istituti per anziani o per disabili, ma famiglie che sappiano prendersi cura dei propri congiunti. Solo così gli ultimi possono diventare costruttori di futuro. Amartya Sen dice che la povertà, prima che una mancanza di mezzi, è una privazione di libertà, perché impedisce alla persona di utilizzare le proprie potenzialità e le proprie doti naturali come risorsa per se stessa.
Vita: Che cosa fa di uomini poveri uomini liberi?
Baranda: L’educazione. In Cile il 40% dei bambini di due anni presenta uno sviluppo intellettivo inferiore alla sua età, contro l’11% negli Usa e il 9% in Europa. Le neuroscienze hanno dimostrato l’importanza della stimolazione precoce nei primi 18 mesi di vita e gli esiti negativi che la povertà produce sui minori dal punto di vista cognitivo. Per questo dieci anni fa, ispirandoci al metodo Montessori, abbiamo costruito asili nido nelle aree più degradate del Paese, cominciando a lavorare coi bambini e le famiglie già in età prescolare. A Temuco, nel sud del Cile, insegnando ai genitori come stimolare i propri bambini, la percentuale di ritardo è scesa dal 40 al 10% ed è calata rapidamente anche la piaga della violenza domestica su donne e minori: i padri scoprono un rapporto nuovo coi figli, le mamme grazie al supporto degli asili riprendono a lavorare, la coppia scopre che si può educare senza picchiare, mentre i piccoli imparano dalle maestre la parità fra i sessi. Oggi, con la nostra collaborazione, il presidente Michelle Bachelet ha avviato politiche scolastiche molto coraggiose, investendo ingenti somme in nuovi asili e in programmi di formazione per i genitori.
Vita: Cambiare la politica per cambiare lo sguardo?
Baranda: Al contrario. Cambiare lo sguardo per cambiare tutto il resto. I governi commettono sempre lo stesso errore: pretendono di modificare le coscienze attraverso le leggi e le istituzioni. Non c’è legge che possa convincere qualcuno ad amare il rom o lo straniero. Io e mia moglie abbiamo dovuto trasferirci fra gli esclusi per capire chi sono, per imparare a guardare oltre lo stigma. In questo il volontariato ha un ruolo decisivo: il suo compito non è appena quello di offrire un servizio ai meno abbienti, ma traghettare la comunità in un cambiamento di sguardo sulla realtà e le persone.
Vita: Vede qualche fragilità nel volontariato di oggi?
Baranda: La dissociazione fra il sé della vita quotidiana e il sé impegnato nel servizio, come se una frattura invisibile impedisse l’unità della persona, incapace di portare il valore affermato col volontariato dentro le mura di casa propria, nella relazione col vicino disabile, con la colf straniera, coi parenti anziani. Detto questo, però, tutto ciò che moltiplica gli spazi di gratuità è sempre una grande risorsa.
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