Cultura

Barakah meets Barakah, l’Arabia Saudita fuori dai luoghi comuni

Dopo il sucesso al festival di Berlino e al Middle East Now di Firenze Vita.it incontra gli autori della pellicola che azzera tutti gli stereotipi con cui gli occidentali guardano a Ryad. «Nei grandi festival cinematografici in Occidente i film arabi parlano sempre di omosessualità, oppressione femminile o fanatismo islamico, il nostro se ne discosta completamente», spiega il regista Mahmoud Sabbagh

di Eleonora Vio

L’Arabia Saudita è di nuovo sotto i riflettori. Dopo aver offerto un sacco di soldi al Presidente egiziano al-Sisi per riprendere il pieno controllo su due strategiche isole nel Mar Rosso, ha stupito gli alleati e i rivali con il suo piano decennale, dove ha proposto di sostituire la lunga dipendenza dall’esauribile oro nero con un’avanzata industria militare. Lo scacchiere geopolitico non è però il solo banco di – riuscitissima – prova del Regno dei Saud, che, a quasi quattro anni di distanza dal pluripremiato film Wadjda, diventa ancora il set di una nuova originalissima pellicola cinematografica.

Se, però, “nei grandi festival cinematografici in Occidente i film arabi parlano sempre di omosessualità, oppressione femminile o fanatismo islamico,” e così anche Wadjda, “il nostro se ne discosta completamente,” ha spiegato il regista saudita Mahmoud Sabbagh all’anteprima italiana di Barakah meets Barakah (Barakah yokabil Barakah) l’8 aprile scorso al Middle East Now di Firenze, seguita all’esordio mondiale a Berlino a febbraio. “Non sto dicendo di non supportare queste cause io stesso ma per il mio primo film volevo qualcosa di diverso, di semplice,” continua Sabbagh, un simpatico trentatreenne dall’aria scanzonata che, con gli occhialini tondi calati sul naso e il mantello in velluto lungo fino ai piedi, non nasconde una vena hipster dal sapore mediorientale.

“Perché Berlino avrebbe dovuto accettare film dalle trame convenzionali provenienti da altri Paesi ma non dall’Arabia Saudita?” si domanda. Forse perché in Arabia Saudita il cinema è stato quasi del tutto bandito dal 1979 e, fatta eccezione per un IMAX adibito alla proiezione di documentari scientifici, sale per le proiezioni pubbliche non esistono. O perché, nonostante la monarchia wahabita stringa affari con tanti leader in Oriente e in Occidente, ben poco si sa di quel che avviene al suo interno. A dispetto di quel che si può pensare, Sabbagh ci ha visto lungo e, puntando su una semplicità che a volte sfocia nella banalità più ovvia, ha fatto di una storia d’amore da cliché il punto di forza di questa pellicola.

Ambientato “nella Jedda cosmopolita e vivace” che Sabbagh conosce fin da quando era bambino, il film (presto in distribuzione in Dvd anche in Italia) narra dell’inusuale avvicinamento tra l’attrice esordiente Fatima al-Banawi, che interpreta una ricca figlia adottiva e nota celebrità di Instagram dal soprannome frivolo e sensuale di Bibi, e Hisham Fageeh, il comico saudita che ha attirato l’attenzione mondiale con la campagna No Woman No Drive e che qui interpreta Barakah, un ingenuo dipendente in thobe (tunica maschile), proveniente dai sobborghi cittadini.

“Nessuno è forte abbastanza da rompere le barriere”, riportano i titoli di coda, ma due mondi all’apparenza agli antipodi si toccano in più di un’occasione e, tra le altre, la loro vicinanza emerge quando Barakah scopre che anche il vero nome di Bibi è Barakah, un riflesso delle sue lontane, ma non dimenticate, origini proletarie. Barakah meets Barakah non è un film che affronta i massimi sistemi, ma proprio qui sta il suo bello. “Non si ha più a che fare con la liberazione dell’Algeria o con Omar al-Moukhtar che scaccia gli italiani imperialisti dalla Libia,” afferma Sabbagh. “Non è la vita che viviamo oggi; la nostra è un’esistenza senza gloria e i protagonisti del film sono così: una ragazza e un ragazzo senza alcuna gloria.” Ciò non vuol dire che la pellicola non racchiuda altri livelli di lettura e non tratti, facendo uso di una ben calibrata dose di comicità, temi critici di forte attualità. “Abbiamo girato un film onesto e contemporaneo, senza che fosse troppo stereotipato alla maniera occidentale o difficilmente interpretabile all’esterno del Paese,” dice Fageeh, attore e co-produttore del film. “Quando vedo il pubblico straniero ridere leggendo i sottotitoli, e gli arabi rivedersi e sorridere per altre scene, capisco che siamo riusciti a creare un prodotto universale e fluido, sia nel linguaggio che nel tema.” Se a qualcuno scapperà da ridere nel vedere gli stratagemmi che due giovani s’inventano pur di passare qualche ora assieme in un Paese che lo proibisce, qualche altro non resisterà alla tentazione di parteggiare per Da’ash (lo zio di Barakah) quando, rimproverato dalle autorità mentre guarda un video della cantante egiziana Umm Khultum, non si fa remore nel replicare: “Andatevene, cretini!” Se Sabbagh prende in giro i rigidi precetti del Regno, e a più riprese sostituisce presunte immagini “scabrose” con grossi pixel, facendo divertire noi occidentali così poco avvezzi al pudore, i sauditi accenneranno una smorfia divertita, quando Barakah in veste ufficiale costringe un venditore e un proprietario di un caffè a gestire le proprie attività all’interno dei rispettivi stabili e a sgomberare la strada.

Abbiamo girato un film onesto e contemporaneo, senza che fosse troppo stereotipato alla maniera occidentale o difficilmente interpretabile all’esterno del Paese

Fageeh, attore e co-produttore del film

“Volevo costruire il film attorno al concetto di spazio pubblico, tema che è diventato centrale in Arabia Saudita dall’assedio del Haram alla Mecca nel 1979, e in tutta la regione dalla Rivoluzione Islamica iraniana di quello stesso anno,” dice Sabbagh. “Da allora i nostri paesi si sono chiusi in sé stessi e per noi giovani che vivono a Jedda non è piacevole girare per le strade e vedere che non ci sono né donne né membri delle tante minoranze.” Da giornalista laureatosi in filmografia presso la prestigiosa Columbia University di New York, Sabbagh ha ben chiaro cosa attiri l’attenzione della gente. “Un film sullo spazio pubblico non è esattamente di grande impatto,” dice sorridendo, “ed è per questo che, pur facendo di Jedda una co-protagonista esuberante ed eccentrica, abbiamo ripiegato su una storia d’amore.

La love-story tra Bibi e Barakah rimane il nodo centrale del film ma si serve di due elementi, come la comicità e i social network, per parlare, ma mai apertamente, della vita complessa e reale dei giovani sauditi sospesi tra tradizione e modernità. Hishem Fageeh, autore satirico diventato famoso con YouTube, è l’emblema vivente di questo riuscito connubio. “Lo humour è una parte importante di come gestiamo la nostra ansia,” spiega Fageeh a VITA. “Questo film rappresenta la generazione millennio, che ha perso la propria identità e ha vissuto prima e dopo l’avvento di Internet, ed è esposta alla globalizzazione pur disponendo di limitate risorse locali.”

In Arabia Saudita, un Paese dove socializzare apertamente con persone dell’altro sesso è difficile, in sostanza impossibile, la comunicazione si è spostata sul piano virtuale. “Come trovo assurdo rinominare la Rivoluzione egiziana Rivoluzione di Facebook, perché non è stato Facebook a crearla bensì ad alimentarla,” precisa Fageeh, “così nel mio caso, e in quello di molti altri, internet ci ha fatto esprimere e mostrare al mondo, mettendo però in risalto un talento che già c’era.” Se entrare nelle case di milioni di persone facendo leva sulla comicità possa portare risultati a lungo termine, è tutto da vedere. Nel caso della campagna No Woman No Drive il pregio è stato di avvicinare più di 13 milioni di utenti a un tema sensibile come il veto di guida imposto alle donne in Arabia Saudita ma, “se le donne ancora oggi non possono stare al volante,” dice Fageeh, “da uomo, e privilegiato, ho inconsapevolmente monopolizzato l’intera iniziativa raggiungendo la fama.”

La chiave di volta nel caso di Barakah meets Barakah consiste nell’aver creato un prodotto mainstream, che si rivolge a un pubblico ampio e variegato, lontano da nicchie e indipendentismi. Sabbagh avrebbe potuto osare di più, vero, ma per lui “non è questione di girare un solo film e andarsene via per sempre.” A Jedda ci vive e a Jedda vuole “girare 10 o 20 film, per poi creare una scena e un movimento cinematografico.” Sabbagh e Fageeh hanno il pregio di essere giovani e di aver gestito con leggerezza, e senza demordere, le difficoltà incontrate nel raccogliere i fondi per le riprese e nelle negoziazioni con le autorità che hanno rilasciato loro i permessi. “Poco importa se a Riad, nella nostra capitale, ci sia una sola commissione per le serie TV, e di scarsa qualità per di più, e si sia quindi girato con carte irregolari,” ride Sabbagh.

Dopo Berlino, Firenze, l’Australia, e diversi paesi arabi, questi intrepidi sauditi affronteranno l’unica prova che per loro conta davvero: proiettare Barakah meets Barakah pubblicamente nel loro paese. “Abbiamo ricevuto diverse proposte per mostrare il film nelle ambasciate straniere a Riad,” dice Sabbagh, “ma per noi è un insulto. Abbiamo sempre lottato apertamente per lo spazio pubblico, e loro ci propongono di organizzare un evento a porte chiuse… E’ ridicolo.” Sabbagh è convinto che un giorno riuscirà nella sua impresa ma, dopo avermi stretto la mano, mi sussurra all’orecchio di incrociare le dita per lui.

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