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Baracche addio. A patto che …

La questione Rom: per entrare nei container comunali si dovrà firmare un patto di socialità e legalità. Un’idea che suscita malumori tra gli abitanti e le associazioni di Daniele Biella

di Daniele Biella

Via Triboniano, Milano: posti 580, inquilini 700. Riunione in corso. Come in ogni condominio anche qui si discute animatamente. Ma questa non è una riunione come tutte le altre. Dopo l?incendio di fine dicembre, in uno dei campi rom più disastrati d?Europa non c?è più posto per tutti. Ora arrivano le ruspe del Comune: questa volta, sembra, non per sgomberare ma per mettere container al posto di roulotte e baracche. Ma 120 rom, quelli arrivati dopo il censimento di ottobre 2006 (quando il numero di abitanti era 580), rimarranno all?addiaccio, e molte famiglie si divideranno.

«Stiamo discutendo proprio di questo», spiega Melisa, una giovane madre rom rumena che partecipa alla riunione. Un bimbo in braccio e un altro che le fugge in continuazione, la donna ha perso la roulotte nell?incendio, e da allora vive con altri sette nella stamberga dei cugini, incastrata fra decine di altri alloggi stipati all?inverosimile.

Situazione esplosiva, ma si sopravvive. Dopo la prima impressione di un girone dantesco in cui regnano topi e promiscuità, il campo si rivela un caravanserraglio di sorprendente umanità. C?è chi si scalda fumando sigarette attorno a bidoni di lamiera ardenti, chi porta in giro pane fresco cotto chissà dove, chi stende i panni tra le teste dei passanti. Ogni angolo è un mondo a sé, in cui spuntano un tavolo da biliardo, un bazar di vestiti seminuovi, alcuni ragazzi che tagliano il legno e altri che ascoltano musica balcanica a tutto volume. I sorrisi della gente e il loro perfetto italiano fanno per un attimo dimenticare le loro estreme condizioni di vita.

Ma la realtà ritorna presto, l?eco della sempre più concitata riunione supera addirittura la musica. Ora tra i presenti si discute sul ?patto di socialità e di legalità? che ogni famiglia dovrà accettare e firmare per entrare nei container comunali. «Sarà un?altra presa in giro?», si chiedono alcuni, memori di anni di sfratti massivi e promesse non mantenute. E i dubbi dei rom sono gli stessi di molti enti milanesi che seguono le loro vicissitudini da almeno un decennio, e che quasi ogni giorno si recano al campo. Al lato dell?ingresso della baraccopoli, per esempio, c?è la roulotte dell?associazione Naga, che dà assistenza medica alle famiglie e distribuisce giocattoli ai bambini, aiutata dagli animatori del collettivo Vagabondi di pace. C?è anche l?associazione Aven Amenitza. Ne fa parte Ernesto Rossi, che dal giugno 2005 gestisce uno sportello sindacale con il quale aiuta i rom nei rapporti con i datori di lavoro. Sul patto di socialità non ha dubbi: «Con questa modalità, suona come un?imposizione». Al suo fianco, intento a discutere con alcuni capifamiglia, c?è Fabio Zerbini, attivista di un comitato contro gli sgomberi forzati. Anche a lui il patto non piace: «Visto il recente passato, come potrebbero fidarsi delle istituzioni?», dice. Istituzioni che, poco lontano, vegliano, nelle vesti di una pattuglia di polizia.

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