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Bangladesh, l’istruzione che supera le caste

Silvia Rovelli, cooperante del Centro orientamento educativo che lavora nel Paese in appoggio alla ong Dalit, in questi giorni è in Italia per raccontare il proprio impegno. «Sul caso del collega ucciso a Dacca posso solo dire che è stato uno shock. Il mio lavoro è quello di costruire il futuro dei “fuori casta” attraverso l'educazione»

di Lorenzo Maria Alvaro

In questi giorni il Bangladesh è sulle prime pagine dei giornali per una presunta ondata di islamismo radicale di cui avrebbe fatto le spese il cooperante italiano ucciso a Dacca. Ma nel Paese di cooperanti italiani ce ne sono tanti. In particolare Silvia Rovelli del Centro orientamento educativo che in questi gironi è in giro per le scuole lombarde per far conoscere il proprio impegno e i problemi che si trova ad affrontare tutti i giorni. Vita.it l'ha intervistata.


Il tuo viaggio italiano è stato organizzato prima dell'assassinio del tuo collega a Dacca. Inevitabilmente però nel raccontare la tua esperienza dovrai rispondere a molte domande sull'argomento. In Italia si è perlato del Bangladesh come della casa di forti spinte islamiste radicali. È così?
Con Dalit non operiamo a Dacca ma nel sud ovest del Bangladesh, non lontano dal confine indiano. Quindi non conoscevo il cooperante ucciso, che a quanto ho capito era arrivato da poco. C'ero anch'io, in previsione della partenza per Milano, a Dacca in quelle ore. La zona dov'è accaduto il fatto è nota per essere la più sicura. Per questo io e i tanti italiani che lavorano in Bangladesh siamo rimasti scossi per quello che è successo. Mi muovo spesso da sola e con mezzi pubblici, non ho mai avuto particolari paure o timori. Ho sempre trovato una popolazione cordiale e disponibile

Quindi la ricostruzione secondo cui in Bangladesh si stia assistendo alla nascita di gruppi terroristici islamici non è vera?
Il Bangladesh è un paese musulmano con l'88% della popolazione che è islamica. Ci sono naturalmente le scuole coraniche. Ma non so quanto siano effettivamente legate alla nascita di queste cellule fondamentaliste. Non mi sento di dare risposte sull'accaduto né in un senso né nell'altro. Ci sono delle indagini in corso. Quello che posso dire è che personalmente non ho mai avuto a che fare con fenomeni simili. Ho sempre anzi visto una buona convivenza interreligiosa

In cosa consiste il tuo lavoro?
In particolare nella stesura di progetti e nella rendicontazione. Naturalmente poi, come sempre in questo tipo di attività, do una mano in tanti campi, a seconda delle necessità. Il settore principale dell'intervento della ong è l'educazione. La parola “dalit” significa “fuori casta” ed è legata alla cultura delle divisione in caste della società. Così si chiamano quelli che sono al di fuori delle 4 principali caste riconosciute. Sono gli ultimi, quelli che si devono occupare dei lavori più umili e umilianti. Dalit si occupa di favorire l'accesso all'educazione di queste persone per permettergli di emanciparsi.

Che tipo di proposte mettete in campo?
Il nostro scopo è far si che queste persone riescano a frequentare le scuole governative. Noi li prepariamo con corsi di alfabetizzazione e poi con dopo scuola con cui ne seguiamo il percorso di studi. Abbiamo poi corsi professionalizzanti, in particolare di informatica, per aiutarli a trovare lavori più dignitosi. Naturalmente il nostro impegno è anche di sensibilizzazione e informazione rispetto a diverse tematiche che hanno a che fare con le principali difficoltà sociali del Bangladesh

Quali sono?
C'è fortissimo il tema dei diritti delle donne, con la piaga delle “mogli bambine”. C'è poi tanto da fare per quel che riguarda l'igiene, e l'acqua potabile. Cerchiamo di informare le persone sule buone pratiche basilari per evitare contagi e malattie. La salute è minacciata principalmente dalle scarse condizioni igieniche.

Perché sei in Italia in questi giorni?
Sono venuta per raccontare il nostro impegno come Dalit e per raccontare il Bangladesh. Sarò in giro per le scuole in Lombardia per almeno due settimane.

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