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Bangkok, camicie color sangue
La morte di un fotoreporter italiano riaccende i riflettori dei nostri giornali sugli scontri in Thailandia
di Redazione

Fabio Polenghi è stato colpito in una delle tante sparatorie che hanno insanguinato la città dopo lo sgombero del quartier generale dei ribelli
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“Il massacro di Bangkok” è l’apertura de LA REPUBBLICA che nel sommario aggiunge: “L’esercito spara sui ribelli, muore fotoreporter italiano”. Tre pagine all’interno per descrive gli scontri della capitale diventata, sottolinea Raimondo Buldrini, «un solo, grande campo di battaglia» sul quale è caduto Fabio Polenghi, fotoreporter free lance, colpito in una delle tante sparatorie che hanno insanguinato la città dopo lo sgombero del quartier generale delle camicie rosse (sarebbero circa 9 i caduti). All’alba di ieri i carri armati sono entrati nell’area costringendo alla resa le camicie rosse. Un’operazione dopo la quale sono però scoppiate molte altre rivolte anti-governative. Questo nonostante l’appello del leader della rivolta che, prima di consegnarsi alle forze dell’ordine, aveva invitato tutti a tornare a casa: «non possiamo assistere all’uccisione di altri fratelli e sorelle». Dietro i disordini, spiega in un altro pezzo Vincenzo Nigro, potrebbe esserci l’ex premier in esilio, Thaksin Shinawatra, miliardario populista messo fuori gioco nel 2006 da un golpe e sospettato di essere la guida dei “rossi”. Lui smentisce e aggiunge: «c’è una teoria che sostiene che la repressione militare può diffondere rabbia, e queste persone arrabbiate diventeranno guerriglieri». Affermazioni che ad alcuni paiono minacce. Infine il ritratto del caduto italiano: “L’ultima foto, poi il colpo al cuore”. Fabio Polenghi, free lance che dalla moda è passato ai reportage. Ne aveva realizzati oltre 70 per molti giornali. Un uomo curioso e appassionato del suo lavoro, ma prudente.
“L’esercito attacca, Bangkok brucia. Tra i morti un fotoreporter italiano”, è il titolo della fotonotizia che campeggia in prima pagina sul CORRIERE DELLA SERA di oggi. “La Tienanmen thialandese” è invece il titolo del commento di Sergio Romano. Scrive l’ex ambasciatore: «…i grandi alberghi, le splendide spiagge, le isole incantevoli, l’elegante folklore e la promessa di qualche svago sessuale hanno creato un diaframma che ci impediva di vedere la vera Thailandia. Di qui la sorpresa con cui apprendevamo di tanto in tanto che nel paese esistevano masse irrequiete e che queste masse potevano inscenare manifestazioni di fronte alle quali i raduni hitleriani e mussoliniani sarebbero parsi modesti». I servizi interni coprono le pag 10 e 11. “I ribelli si arrendono. L’esercito uccide fotografo italiano” è il pezzo di resoconto firmato dall’inviato Marco Del Corona. Questo l’incipit: «la fine del mondo sa di gomma bruciata: barricate in fiamme davanti ai cingolati. Fa rumore: lo schianto delle granate, lo scambio di colpi. La fine del mondo a Bangkok sono i nuovi morti: almeno 6, caduti nella battaglia scatenata dall’offensiva dei soldati contro l’accampamento delle camicie rosse nel centro della città. Uno di loro è il fotografo italiano, Fabio Polenghi, 45 anni, centrato all’addome». Il ritratto più dettagliato del fotoreporter impegna quasi completamente la pag 11. Racconta il CORRIERE: «Fabio Polenghi – il fotoreporter morto in Thailandia negli scontri tra esercito e camicie rosse – viveva a Milano ma si trovava nel sudest asiatico da circa tre mesi. Polenghi lavorava dal 2004 come free lance, ed era molto conosciuto tra i suoi colleghi. Ma aveva collaborato con importanti agenzie e testate, prime fra tutte Grazia Neri, Vanity Fair, Vogue, Marie Claire, Elle e altre, come risulta da un suo curriculum postato su Internet. Il sudest asiatico era una delle sue grandi passioni, insieme al Brasile. Qui aveva anche comprato una casa, a Rio de Janeiro. Descritto dagli amici come persona mite e gentile, era molto legato alla madre, che vive nella zona di via Paolo Sarpi, la Chinatown milanese, e che al ritorno dai suoi viaggi per prima cosa si preoccupava di farlo mangiare». E ancora: «Aveva girato una settantina di Paesi. «Realizzo servizi fotografici nei settori del reportage, ritratto, moda e pubblicitario», diceva di se stesso Fabio Polenghi in un blog, definendosi «occasionalmente regista, con varie realizzazioni all’attivo, la più significativa tra le quali un documentario di 52′ (Linea cubana) che racconta di un padre, campione olimpico di pugilato e di suo figlio, campione nazionale nella stessa disciplina, realizzato a Cuba». Non a caso, aveva proposto a Sportweek, il settimanale della Gazzetta, un reportage dalle Filippine sul pugile Manny Pacquiao. Polenghi è il dodicesimo professionista dell’informazione morto sul campo in questa prima metà del 2010, secondo un elenco pubblicato sul sito di Reporters sans frontières».
“Camice rosse costrette alla resa” titola a pagina 13 IL SOLE 24 ORE, che mette in prima pagina la fotografia di Fabio Polenghi, il fotoreporter ucciso ieri, nel corso di una giornata-resa dei conti fra il governo thailandese e i manifestanti in camicia rossa, come scrive Marco Masciaga, da Bangkok. «A sbloccare la situazione ed evitare un massacro, proprio mentre le truppe dell’esercito stavano avanzando da sud verso la zona occupata da migliaia di civili disarmati, sono stati i leader delle camicie rosse», vista la situazione hanno chiesto ai manifestanti di andarsene «per evitare -hanno detto – il sacrificio di altre persone». I militari hanno ripreso il controllo delle due arterie che dividono in quattro il quartiere di Ratchaprasong ma non hanno salvato in tempo dalle fiamme Central World, il centro commerciale più grande della Thailandia, preso di mira dai manifestanti. Poco dopo sarebbe toccato a una banca e alla Borsa, scrive l’inviato del SOLE, «tutti edifici accomunati dal fatto di essere fortemente rappresentativi dello status di potenza economica della Thailandi. E simboli altrettanto efficaci agli occhi di questi manifestanti provenienti in larga parte dagli strati meno abbienti della popolazione, delle enormi sperequazioni economiche di un paese che esce da questa crisi, se possibile, più diviso che mai».
Sulla Thailandia IL GIORNALE pubblica la cronaca della morte di Fabio Polenghi e un breve ritratto con il ricordo della sorella. Reporters sans frontiers fa la conta: solo ieri a Bangkok, oltre al morto Polenghi, tre repoter feriti.
“Bangkok brucia. Giornalista italiano ucciso”. È questo il titolo del piccolo richiamo nella parte bassa della prima pagina che IL MANIFESTO dedica all’assalto finale dell’esercito che ha portato alla morte del fotoreporter italiano durante il blitz. A pagina 9 si racconta la giornata di repressione della protesta delle camicie rosse che si sono arrese. In box viene relegata la notizia dell’uccisione di Fabio Polenghi, raccontata da un altro fotoreporter italiano che si trova a Bangkok. Mentre di spalla viene analizzato il perché della rivolta. «La cittadinanza mancata alla radice della rivolta» è il titolo dell’analisi di Renato Novelli (docente di economia all’università di Ancona) che scrive: «La rivolta è sconfitta. Ma gli sviluppi di queste ore hanno spinto qualche ministro a dire che neppure il governo può vantare vittoria. La traversale élite politica thai sta riuscendo (forse) a chiudere questa drammatica vicenda, aprendo però nella società e al proprio interno una ferita dalle conseguenze imprevedibili (…) Nella storia recente della Thailandia le crisi si sono sviluppate in modo coerente con il venire al pettine di nodi regionali e internazionali». L’analisi parte dal 1933 e per l’oggi si sottolinea come «La società thailandese presenta un coefficiente di disuguaglianza insostenibile, ma la dinamica sociale ha avuto sviluppi complessi. Una parte degli strati poveri ha partecipato alle briciole dello sviluppo, ma questo non ha prodotto una cittadinanza piena e democratica nella vita quotidiana, che resta dominata da un autoritarismo pesante. La società politica, specializzata nell’acquisto di voti, non ha funzionato come un’élite ma come una “casta”, aperta a continue new entry di potenti provenienti dal mondo economico, militare, intellettuale (…)».
“Inferno a Bangkok, muore fotografo italiano” titola in prima pagina LA STAMPA, che dedica le pagine 2 e 3 al blitz dell’esercito in Thailandia e alla morte del fotografo italiano Fabio Polenghi. A ricordarne la figura di “testimone solitario sempre pronto a partire” è Michele Neri, ex direttore dell’agenzia fotografica Grazia Neri che scrive: «In un tempo in cui la professione del fotoreporter è in grande crisi, lui aveva mantenuto integro il bagaglio degli inizi: intuizione giornalistica, passione, versatilità, documentazione; la capacità di non prendersi troppo sul serio… Polenghi doveva sempre stabilire là dove avrebbe trovato una più fertile geografia di storie e problematiche da raccontare. Pensava il mondo in anticipo. Adesso colpisce leggere in un suo profilo pubblicato in rete questa risposta alla voce “disponibile”: immediatamente». L’altro articolo che LA STAMPA dedica al fotoreporter scomparso si intitola invece “La premonizione in una e-mail: ora arriverà il peggio” . In un box viene anche evidenziato il messaggio inviato alla famiglia dal presidente Napolitano (“Ha fatto onore al giornalismo vero e libero). Nell’analisi della situazione tailandese, l’inviato a Bangkok Alessandro Ursic scrive invece che sono scoppiate rivolte nel Nord del Paese e che «La protesta antigovernativa delle “camicie rosse” è finita ed è iniziata l’anarchia. Bangkok è una città in fiamme e sotto coprifuoco… L’esercito ha licenza di sparare, per cui è stata annunciata la pena capitale. Altri 15 morti si vanno ad aggiungere a una settimana di guerriglia che segnerà la Thailandia a lungo».
Il titolo di apertura di AVVENIRE è “Bangkok rosso sangue” e il punto della situazione è accompagnato sia da un reportage da Bangkok di Stefano Vecchia sia da un editoriale di Bernardo Cervellera. Per Vecchia la resa dei conti «non è stata una sorpresa», e racconta di come «la metamorfosi» delle camicie rosse gli sia passata sotto gli occhi nel giro di un’ora: di fronte alla barricata, «da pacifisti con il saluto pronto ed il sorriso facile si trasformano nelle camicie nere, dure, arroganti, mascherate, capaci di imporsi e di imporre, capaci di minacciare gli stessi compagni, capaci di cacciare con uno sguardo chiunque si azzardi a scattare una foto. Un senso di insicurezza che prende alla gola». La notte dopo gli scontri, nel coprifuoco e con il sottofondo della «guerriglia che ha per scopo portare il terrore nel cuore di Bangkok», si ascolta il silenzio, «con il timore che qualcosa – un passo di corsa, un rumore ignoto, un grido soffocato – possano indicare che la vendetta è dietro l’angolo». Cervellera, nel suo editoriale, dice che la ferita maggiore è quella subita dalla democrazia thaliandese, con un re che «ha lasciato prevalesse la logica del più forte» e i luoghi di culto (chiesa cattolica e tempi buddisti) rimasti l’unico luogo di riconciliazione, «segno di contraddizione e quindi segno di speranza». Una pagina racconta invece Fabio Polenghi, 45 anni, il fotoreporter milanese rimasto ucciso, «che amava l’oriente e i temi sociali». Podestà, presidente della Provincia di Milano, ha proposto di assegnargli il Premio Baldoni 2010.
E inoltre sui giornali di oggi:
OLIMPIADI
LA REPUBBLICA – Il Coni candida Roma per le Olimpiadi del 2020 e Venezia si arrabbia. La Lega, furiosa, denuncia: «ladroni». Il governatore Zaia parla di «atto di ingiustizia sociale» e aggiunge: «Il nord non perdona». Gli risponde a stretto giro il suo ex collega di governo, il ministro Ronchi: «Roma non è ladrona, è la capitale d’Italia». Il dossier a fianco sottolinea che la candidatura potrà portare benefici ma anche consentire grandi affari.
INFORMAZIONE
IL MANIFESTO – Una foto del blitz alla Diaz del luglio 2001 è l’apertura del MANIFESTO che titolo «L’ultima bella notizia», nel sommario che rimanda alle pagine interne si uniscono due argomenti: la sentenza di appello per i fatti di Genova e l’approvazione del disegno di legge sulle intercettazioni: «Stop alle registrazioni e alle riprese, sanzioni per gli editori e carcere per i giornalisti. Non si può scrivere, non si deve sapere. Il disegno di legge sulle intercettazioni infligge un altro colpo alla democrazia malata. Come a Genova, nove anni fa, la violenza contro la protesta segnava la macelleria del diritto. Il governo difende i vertici della polizia (nel frattempo tutti promossi) condannati per la notte della Diaz». Marco Revelli firma il commento in prima pagina «Italia loro» dedicato alla sentenza della Corte di Appello di Genova che «non ci restituisce la luce. Ma per lo meno apre uno spiraglio di verità e di senso, nel buio fitto e appiccicoso che avvolge il Paese. Giunge tardi. Tardissimo. A quasi dieci anni da quell’ignobile “massacro in stile sudamericano”, che ci coprì di vergogna davanti al mondo. (…)» e prosegue: «Il Governo – c’era da dubitarne? – costituitosi in Corte alternativa, si è affrettato ad assolverli. “Piena fiducia”, ha dichiarato il ministro Maroni, “i nostri uomini – ha detto il sottosegretario Mantovano – resteranno al loro posto”, nonostante la pesantezza delle condanne, e l’esclusine dai pubblici uffici. E ha fatto bene a chiamarli “i nostri uomini”. Perché sono della stessa pasta e della stessa cricca (…) Sono l’Italia che ha praticato la tortura, a Bolzaneto, su decine e decine di ragazzine e ragazzini alla propria prima esperienza politica. Sono l’Italia che ha ammazzato Carlo Giuliani e ha sputato sul suo corpo adolescente. Oggi sappiamo – dall’inchiesta di Perugia – che sono anche l’Italia della corruzione sistematica e degli scambi di piaceri. (…) Sono, infine, la stessa Italia che, con un velenoso colpo di coda, ha sanzionato la libertà di stampa, minacciando il carcere ai giornalisti e condannando di fatto a morte gli editori che osassero rendere pubblici i materiali giudiziari connessi a quelle stese intercettazioni senza le quali mai si sarebbe giunti alla verità sui “fatti della Diaz”. Non vorremmo che quella di ieri fosse stata l’ultima “bella notizia” che abbiamo potuto festeggiare» conclude.
ANEMONE & C
IL GIORNALE – Il quotidiano diretto da Vittorio Feltri continua a pubblicare rivelazioni sul caso Anemone. Oggi in copertina titola “Champagne, ecco il brindisi fra la cricca e la sinistra” e spiega come didascalia alla foto chi sono, (dove e perché) i tre personaggi immortalati mentre stappano bottiglie «Angelo Balducci, Fabio de Santis e il sindaco di Bari Michele Emiliano. E’ il settembre 2009 e il sindaco di Bari festeggia con Balducci e De Santis la rinascita del teatro Petruzelli. Ma su quei lavori costati il 150 % in più e affidati con procedure d’urgenza grazie all’intervento di Vendola e Rutelli, indaga la magistratura». E IL GIORNALE urla a pag.2 “Il segreto di Bruno (Vespa NDR)”. «Anche lui abita in una casa, su tre livelli a Trinità dei Monti, di proprietà di Propaganda Fide, la congregazione per l’evangelizzazione dei popoli finita nel mirino della magistratura per gli immobili riportati nella lista Anemone e per la gestione affidata a Balducci».
DONNE
IL GIORNALE – Negli Stati Uniti la farmaceutica Novartis è stata condannata a pagare 250mln di dollari per avere discriminato le donne sul posto di lavoro. Si tratta di 5mila donne che rispetto ai colleghi hanno ricevuto in maniera non giustificata stipendi più bassi, poche promozioni e hanno avuto problemi relativi alla maternità. Dopo la notizia le azioni sono scese di 0,61 punti alla borsa di New York.
FEDERALISMO
ITALIA OGGI– “Regioni mani bucate al fallimento“. Perché il federalismo fiscale porterà responsabilità alla spesa pubblica soprattutto a livello regionale? La risposta la dà il ministro Sacconi che ieri è intervenuto alla terza conferenza annuale dei commercialisti a cui il giornale dei professionisti dedica una pagina intera nella sezione Diritto & Fisco. Secondo il ministro, le regioni saranno gestite come un’azienda. «Non possiamo portare i libri contabili delle regioni in tribunale, però possiamo prevedere una misura deterrente molto efficace, e cioè che se l’ente fallisce si va al elezioni Ovviamente nessuno dei politici responsabili del fallimento potrà ripresentarsi per un bel po’ di tempo».
PARI OPPORTUNITÀ
LA STAMPA – Il quotidiano torinese dedica un richiamo in prima pagina all’inchiesta “Forlì, la città delle donne” a cui è dedicata tutta la pagina 23. Nel capoluogo romagnolo le “assessore” hanno conquistato cinque poltrone su dieci, il doppio della media nazionale, catapultando così Forlì prima in classifica nel “Rating delle Pari Opportunità stilato dall’Osservatorio Donne nella Pubblica Amministrazione.
AFRICA
IL SOLE 24 ORE – “Missione africane agli africani”. Intervista con Romano Prodi circa il documento appena presentato al Consiglio di Sicurezza dell’Onu che propone di passare progressivamente le missione di pace in Africa agli africani in termini finanziari, logistici, di formazione. Dopo aver lasciato i suoi incarichi politici in Italia il “professore” è stato investito da Ban Ki-moon della presidenza del Panel internazionale per riformare le missioni di pace. Domani la sua “Fondazione per la collaborazione fra i popoli” – un semplice appartamento fra i portici di Bologna – organizza un convegno internazionale per l’integrazione regionale in Africa. Con 42 ricercatori della John Hopkins University è stata preparata una vera e propria road map per rilanciare i processi di collaborazione fra i 53 Paesi che compongono il continente.
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