Non profit
Bandiera blu guale mare pulito? Leggende e verità del vessillo più ambito
Balneabilità e classifiche. L'Europa non c'entra: ad assegnarla è una non profit privata che utilizza diversi criteri, oltre all'assenza di inquinamento. Per capirne di più...
di Chiara Sirna
Il balletto delle bandiere blu. Tutti le conoscono, almeno per sentito dire, ma pochi sanno chi le assegna. L?Europa c?entra o no? E se non c?entra allora chi c?è dietro? Basta digitare ?bandiere blu 2006? sul motore di ricerca Google per capire che quando si parla (e si scrive) di queste fantomatiche e ormai ventennali medaglie d?oro per le spiagge di casa nostra, le idee sono un po? confuse. In ordine vi compariranno un resoconto dettagliato sul sito ufficiale del governo, un altro sulla homepage della Fee Italia onlus (il più corretto di tutti visto che è proprio la Fee, una società privata non profit, ad assegnarle), e altri link, più o meno esaurienti, su siti di viaggio e vacanze (dgmag, il magazine digitale, ma anche travelblog, tanto per citare i primi). Se invece andate a spulciare negli archivi di alcuni tra i maggiori quotidiani nazionali, le sorprese non mancano. E gli errori nemmeno. Repubblica.it all?Unione Europea, giustamente, non fa alcun accenno. Il Corriere della Sera invece, nell?articolo pubblicato online il 10 maggio 2006, all?indomani della pubblicazione del rapporto, nel catenaccio scrive addirittura: «L?Europa premia 90 località »… Falso, perché l?Europa e le bandiere blu sono due cose distinte e separate. Eppure comunemente si continua a collegarle.
Allora forse è il caso di riordinare le idee. Ad assegnare le bandiere blu è la Fee – Foundation for Environmetal Education, un?organizzazione privata non profit con sedi in tutto il mondo. E una anche in Italia naturalmente, a Roma: la Fee Italia onlus per l?appunto. Ma torniamo al cordone ombelicale con l?Europa. I finanziamenti comunitari la Fee li ha ottenuti solo nei primi cinque anni di vita, fino al 91, tanto che la società stessa all?inizio era stata battezzata con la sigla Feee (dove l?ultima e stava proprio per Europe). Ma i legami si sono interrotti da 15 anni.
E a qualcuno non va a genio che questi prestigiosi riconoscimenti vengano assegnati da società private. Per quanto di fatto siano senza scopo di lucro. «Io sono intervenuto più volte pesantemente contro questi organismi perché scelgono in base a criteri privati, pertanto relativi. La mia non è un?opposizione preconcetta limitata alle bandiere blu, lo stesso discorso vale anche per le vele blu di Legambiente», dice senza mezzi termini Gianfranco Amendola, magistrato specializzato in materia di rifiuti, balneabilità, depurazione e tutela ambientale.
Ma a questo punto andiamo con ordine e vediamo in cosa consistono le obiezioni. «Intanto un aspetto discriminante è dato dal fatto che solo chi fa domanda per concorrere viene valutato», continua Amendola, «magari una località è bella e pulita, ma resta tagliata fuori». Quest?anno per esempio sui 630 comuni costieri italiani hanno aderito soltanto in 152. Alla fine sono state assegnate bandiere blu a 90 spiagge e 52 porti.
«Spediamo il questionario a tutti i comuni costieri», chiarisce Giulio Marino, segretario generale di Fee Italia, «chi non risponde, o non vuole o sa di non poter competere. Lei se lo immagina un Comune con un perfetto impianto di depurazione e acque invidiabili che rinuncia? Più facile ipotizzare il contrario…»
Ma per Amendola restano altri punti da chiarire. In primo luogo i criteri di assegnazione dei punteggi. «Il meccanismo consiste nel valutare parametri che vanno dalla balneabilità alla depurazione, fino all?accessibilità degli stabilimenti», incalza il magistrato, «dopodiché si fa una media. Sarebbe molto meglio pubblicare il risultato per ogni categoria o almeno quello complessivo con anche i risultati per ogni singolo parametro, in modo più trasparente, altrimenti va a finire che chi ha acque meno pulite può vincere ugualmente per altri criteri». In effetti le commissioni passano al vaglio diversi parametri (raggruppabili in sette sottogruppi), ma è anche vero che i primi tre hanno un valore assai maggiore. Per la balneabilità si va da 0 a 20 punti, da 0 a 15 invece per la depurazione e la raccolta dei rifiuti, mentre per tutti gli altri da 0 a un massimo di 10. «Il che significa che se la qualità delle acque è bassa, si perde parecchio», spiega Marino, «e si resta agli ultimi posti».
Tuttavia quello che per Amendola proprio non funziona è l?estromissione del pubblico. «Dovrebbero essere gli organi preposti al turismo, sotto l?egida del ministero dell?Ambiente, con rigidi controlli pubblici a dover stilare queste classifiche », dice «e soprattutto per tutti». «Senza contare», aggiunge, «che le informazioni più precise sulla balneabilità sono quelle contenute nel rapporto annuale del ministero della Sanità, sulla base dei dati delle Arpa locali». Dati a cui peraltro la stessa Fee si affida per la sua valutazione. Ma allora basterebbe riportare l?operazione sotto il controllo pubblico? «Se lo immagina lei il ministero che si mette a valutare tutti i dati e ancora prima di valutarli a raccoglierli?», dice con un velo di ironia Marino. «È ovvio che sia una società privata a occuparsene. Noi almeno non prendiamo soldi da nessuno». La Fee, in effetti, si finanzia con i soldi di Cobat e Coou, i consorzi obbligatori per la raccolta delle batterie e degli oli esausti e con qualche inserzione pubblicitaria sulla rivista interna, Chiron. Insomma,ognuno giudichi la serietà come meglio crede. Se non altro ora criteri e attori in gioco dovrebbero essere più chiari.
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