Ricerche

Banche etiche, gli Esg per davvero

Dal 6^ Rapporto sulla finanza etica in Europa un confronto fra 22 istituti "valoriali" e 60 "convenzionali" di dimensioni importanti. I primi sono più performanti sui rendimenti, più solidi a livello patrimoniale e molto liquidi, grazie ai depositi dei clienti. Soprattutto appaiono più coerenti sotto il profilo della sostenibilità

di Giampaolo Cerri

L’etica frutta, l’etica performa. Almeno in banca.

Lo dice il 6° Rapporto sulla finanza etica in Europa, risultato dalla collaborazione tra l’italiana Fondazione finanza etica – Ffa, nata da Banca Etica, la spagnola Fundación finanzas éticas e la Federazione europea delle Banche etiche e alternative – Febea, ovvero e l’organismo europeo che, dal 2001, raccoglie istituti di credito etici da 21 Paesi.

Anche se è un dato consolidato da tempo, e che il mondo dei risparmiatori etici o comunque di quanti decidono di scegliere un istituto di credito responsabile come banca, conoscono bene.

Un Rappoto che quest’anno ha esaminato 22 banche etiche europee sotto il profilo della redditività, dell’adeguatezza patrimoniale e della performance finanziaria, mettendole a confronto con 60 banche convenzionali («significative», osserva la nota di Fondazione finanza etica) sottoposte alla vigilanza diretta della Bce. Lo studio scandaglia per tutti gli istituti i dati relativi agli ultimi 10 anni, dal 2012 al 2021.

«Dal 6° Rapporto», scrive Banca Etica, «emerge una fotografia nella quale la finanza etica si afferma come movimento forte e in costante crescita; un movimento che, grazie all’efficacia del proprio modello di business eticamente orientato, può contaminare virtuosamente il sistema finanziario mainstream globale e indirizzarne le trasformazioni, necessarie e urgenti di fronte alle sfide economiche, sociali e ambientali dell’umanità».

Redditività: le etiche bene sul mercato

Entriamo nel dettaglio, dunque. Le banche etiche europee evidenziano una sostanziale migliore redditività rispetto alle banche “significative”: la redditività del capitale proprio (il cosidetto Roe) delle banche etiche è stata infatti – in media nel periodo analizzato – del 5,23%, contro il 2,21% delle banche convenzionali. Un vantaggio che si rileva anche per la redditività degli attivi (Roa), che ha premiato le banche etiche con una media dello 0,46% contro lo 0,25% delle banche convenzionali. Un dato che si presenta come una distintività positiva di carattere strutturale, considerato che si è affermato lungo un decennio di rilevazioni, includendo l’anno 2020, quando entrambe le tipologie di istituti subivano i colpi della crisi pandemica. 

«Le differenze tra banche etiche e banche convenzionali si registrano poi su altre voci di gestione, mostrando vocazioni e impostazioni alternative», prosegue la nota.  Sul fronte degli attivi «è risultato evidente che le banche etiche si concentrano maggiormente sulle attività bancarie tradizionali, soprattutto sul credito, mentre le banche convenzionali puntano maggiormente su investimenti e collocamento di fondi e titoli». Quella dei depositi dei clienti è la fonte di maggior liquidità nelle banche etiche (81,1% delle passività totali), «mentre le banche convenzionali si affidano a varie fonti di liquidità, con un conseguente rapporto depositi/patrimonio netto inferiore».
Quanto alla solidità patrimoniale, le banche etiche hanno mantenuto costante nel tempo una forte capitalizzazione «con un rapporto tra patrimonio netto e passività totali pari in media all’8,2%», mentre le banche convenzionali hanno migliorato la loro posizione patrimoniale, «ma partendo da una posizione più debole, crescendo dal 4,3% nel 2012 al 6,20% nel 2021».

Per quanto riguarda la liquidità, il rapporto prestiti/depositi (Ldr): si è mantenuto stabile e inferiore (da 77% a 81,5% di media) nelle banche etiche, rispetto a quelle convenzionali (incrementato da 86% a 102,5%), che mostrano dunque potenzialmente un rischio di liquidità più elevato.

Clima e pace, l’azione coerente della finanza etica

Il confronto, proposto dal Rapporto, si sposta anche sul terreno della transizione ecologica e del cambiamento climatico dove, ricorda Ffe, «le banche convenzionali europee non sembrano aver davvero avviato una transizione ecologica nel proprio modello di business». Se offrono singoli prodotti “verdi”, obiettano le banche responsabili, «restano votate al massimo profitto e, dal 2016 al 2022, hanno finanziato con oltre 5 miliardi di euro i combustibili fossili, mentre solo il 7% dei loro finanziamenti energetici è andato alle energie rinnovabili».

Anna Fasano, presidente Banca Etica

Va da sé poi che le banche etiche e finanza etica si impegnano inoltre a non alimentare l’industria bellica. «E su questo si sono differenziate particolarmente dallo scoppio del conflitto in Ucraina nel 2022. Rapporti recenti della ong olandese PAX mostrano invece che da 15 grandi banche europee convenzionali sono giunti prestiti e obbligazioni per 87,7 miliardi di euro a imprese delle armi, e 306 operatori finanziari hanno sostenuto 24 produttori di armi nucleari con 746 miliardi di dollari».

Europa e futuro, tre proposte della finanza etica

Al Rapporto, le tre organizzazioni accompagnano proposte alla politica comunitaria, anche in vista della tornata elettorale del 2024. «Le banche etiche e valoriali», spiega la nota, «guardano con interesse al voto europeo di giugno 2024 e avanzano tre proposte alle istituzioni, a partire dal riconoscimento e dalla valorizzazione dell’unicità dei vari modelli bancari (la cosiddetta “biodiversità bancaria”), per cui regole e strumenti non possono essere gli stessi per tutti. Tre proposte mutuate dalle tre lettere dell’acronimo Esg (ambientale, sociale e di governance), per un approccio che deve rimanere integrato nella visione e applicazione».

Viceversa, le banche etiche «adottano invece un approccio olistico integrato e investono da anni in metriche avanzate di misurazione delle emissioni di gas serra (Partnership for carbon accounting financials – Pcaf), anche quelle indirette (Scope 3), escludendo dal credito filiere dannose per l’ambiente e il clima, per allineare i portafogli di investimento alle indicazioni scientifiche e dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico».

Si comincia dunque con la E del famoso acronimo. «La finanza mainstream», di scrive, «deve allineare le sue azioni alle parole e impegnarsi realmente a rispettare i principi dichiarati. È urgente combattere il greenwashing nel settore finanziario. Purtroppo, l’elenco dei trucchi contabili per il “net zero washing” è ampio. Abbiamo bisogno di un quadro forte e trasparente per delineare come raggiungere le emissioni nette zero, applicarle a tutte le attività operative e facilitare forme di corretta rendicontazione».
Alla S di “sociali”, le due fondazioni e il rassemblement europeo.  Lanciano questa proposta: «L’attenzione principale sia rivolta a contrastare le disuguaglianze (crescenti e insostenibili): di ricchezza e di reddito; nell’accesso al credito e ai servizi finanziari; di genere e retributive nel settore finanziario»

Inoltre le banche etiche e valoriali, «che mostrano tassi di sofferenza più bassi rispetto al sistema, pur finanziando in misura maggiore le realtà dell’economia sociale – oggi valutate aprioristicamente ad alto rischio, e in assenza di giustificate ragioni tecniche -, chiedono l’introduzione di un social supporting factor, che riduca l’assorbimento di capitale richiesto per finanziare tali realtà. Sarebbe uno strumento fondamentale per lo sviluppo del settore, della microfinanza e per la lotta all’esclusione finanziaria, senza introdurre alcun costo per gli Stati».
Infine, alla G di governance, il documento invoca più trasparenza.
«La distinzione più significativa tra le banche etiche e il sistema tradizionale», si legge, «per quanto riguarda il terzo pilastro della governance, è la trasparenza. Permangono limitazioni nell’accesso pubblico alle informazioni sulle imprese, una normativa inefficace nel contrastare l’opacità del sistema finanziario favorisce soggetti finanziari che sfruttano diverse giurisdizioni per evitare le tasse, non essere trasparenti ed eludere le normative. Questa situazione genera ingiustizia sociale e crea una competizione sleale con gli istituti finanziari etici, che si astengono da tali pratiche»

Le voci della finanza etica italiana

In materia c’è anche una dichiarazione delle presidenti della Fondazione finanza etica, Teresa Masciopinto e di Banca Etica, Anna Fasano.

 «Mentre i colossi del sistema bancario convenzionale pronunciano impegni di sostenibilità che spesso vengono poi smentiti e non scalfiscono un modello di business complessivamente orientato al massimo profitto a ogni costo», esordisce Masciopinto, «le banche etiche europee si distinguono invece per la coerenza tra azioni svolte e principi sostenuti», ha detto, «La ricerca sottolinea l’importanza di allontanare dal settore finanziario le ombre di greenwashing e socialwashing e offre uno spaccato di conoscenza sulla finanza etica in Europa: un movimento che lancia una sfida di trasformazione valoriale alla finanza globale. Tanto più oggi, a pochi mesi dal prossimo voto per il rinnovo dell’Europarlamento».

Le fa eco Fasano: «La visione della finanza etica», sottolinea, «sta rivoluzionando il settore bancario e finanziario in Europa. Il dialogo con le istituzioni di Bruxelles e Francoforte e con gli attori della società civile insieme alla collaborazione con i network internazionali della finanza etica, Febea e Gabv, sono gli strumenti per amplificare la nostra capacità influenzare tali processi. Vogliamo condividere valori e buone pratiche per ridurre l’arbitrarietà di ciò che l’Europa definisce “investimento sostenibile”, per disincentivare il greenwashing e – grazie all’attesa tassonomia sociale – per arricchire le prescrizioni di sostenibilità ambientale con le dimensioni economica e sociale. La finanza», conclude la presidente di Banca Etica, «può tornare ad essere strumento al servizio dell’economia, delle persone e del pianeta in un sistema in cui i risparmiatori sono resi consapevoli dell’impatto potenziale, positivo o negativo, che può avere il denaro gestito dai diversi operatori».

La foto in apertura è di PA/LaPresse e mostra Greta Thunberg nella protesta contro l’Energy Intelligence Forum, il 17 ottobre scorsom a Londra.

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.