Economia

Banche e imprese. Un matrimonio in crisi?

La fine della separazione decretata dal Testo unico del 1993 ha fatto bene all’economia?

di Francesco Maggio

«Già é difficile fare il banchiere, sono contrario alle supplenze, alle banche che si sostituiscono agli imprenditori». A fine gennaio, all?indomani della vendita da parte del Sanpaolo del 3,5% del capitale Fiat (sul 4,38% complessivamente posseduto), il presidente dell?istituto di credito torinese, Enrico Salza giustificava così la decisione, aggiungendo che «l?intervento delle banche è positivo solo se propedeutico, se aiuta le imprese a dotarsi di una classe manageriale adeguata». Alcuni osservatori hanno interpretato queste parole come una sorta di ?regolamento di conti? tra Salza e il presidente della Fiat Montezemolo i quali, notoriamente, non si amano. In realtà l?uscita del primo gruppo bancario italiano dal capitale della prima azienda manifatturiera italiana (i cui azionisti di riferimento, la famiglia Agnelli, detengono a loro volta tramite Ifil, il 4,28% del Sanpaolo) è sintomatica di un malessere diffuso che attanaglia i rapporti tra banche e imprese. Quali le cause? Essenzialmente due: il sistema bancario è oggi il primo ?gruppo industriale? del paese poiché la crisi di numerose aziende ha costretto le banche a inventarsi azionisti; molti imprenditori fanno la coda per entrare nell?azionariato delle banche per garantirsi una corsia preferenziale per ottenere capitale. Non si tratta di una novità. Già mezzo secolo fa, il mitico presidente della Comit, Raffaele Mattioli, dotato (secondo l?economista Geminello Alvi) di genio letterario, aveva coniato l?espressione ?catoblepismo? per sottolineare la ?stranezza? per cui la banca era creditrice o proprietaria di imprese che a loro volta erano proprietarie della stessa banca. Negli ultimi anni questa stranezza si è diffusa a macchia d?olio. Il nuovo Testo unico bancario del 1993, abbattendo il muro eretto dalla precedente legge bancaria del 1936 che ha tenuto nettamente separate banche e imprese per quasi sessant?anni, ha finito con il produrre, non di rado, ?intrecci? pericolosi e opachi. La lunga vicenda Unipol-Bnl, per fortuna adesso brillantemente conclusa grazie all?arrivo di manager capaci e cristallini, è lì a testimoniarlo. È il caso, quindi, di provare a capire che ne è stato finora di questi matrimoni controversi, a forte rischio di ulteriore (ed eticamente inaccettabile) sperpero di dote.


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