Non profit

Banca centrale europea: la presunzione tecnocratica della neutralità

Se si muovono decine di miliardi di euro al mese la presunzione di neutralità decade. La Bce dovrebbe rispettare le volontà dei cittadini, per come espresse dall’unica istituzione democratica in grado di raccoglierne e sintetizzarne le indicazioni: il Parlamento europeo

di Marcello Esposito

Attraverso il Quantitative Easing, la Banca centrale europea intende manipolare in maniera profonda i meccanismi di allocazione delle risorse del sistema economico. E lo intende fare attraverso il controllo diretto dei tassi d’interesse su tutte le scadenze, anche le più lontane. Mentre con le misure tradizionali le banche centrali controllavano solo i tassi d’interesse a brevissima scadenza e lasciavano alle forze di mercato decidere i tassi a più lunga scadenza, con il QE la banca centrale scala di livello e si pone come obiettivo il controllo dell’intera curva dei tassi.

L’obiettivo è controllare le decisioni di allocazione intertemporale delle risorse, da quelle a brevissimo che riguardano la gestione della liquidità fino a quelle a più lungo termine che riguardano il risparmio previdenziale o gli investimenti.

Più che ad un modello di mercato, il QE sembra ispirato ad un modello di pianificazione centralizzata. Il fatto che i tassi d’interesse nominali siano stati portati a livelli negativi dall’azione della banca centrale, un unicum nella storia dell’umanità, rende ancora più evidente come il principio ispiratore del QE abbia poco o nulla a che vedere con un libero mercato.

Difficile immaginare che con tassi negativi si favorisca un’allocazione efficiente delle risorse. Al contrario, si riducono gli incentivi alle riforme strutturali da parte di paesi o di aziende altamente indebitate. Con tassi nulli o negativi qualunque livello di debito è sostenibile e qualunque spesa, anche la più improduttiva, può essere finanziata.

I tassi negativi o il QE possono avere un senso se si tratta di interventi in reazione ad una crisi di liquidità, ma se utilizzati per periodi di tempo prolungati alimentano inefficienti allocazioni di capitale e bolle speculative. Oltre ai tassi d’interesse negativi, che sono già di per sé il segno di una spaventosa bolla, basta vedere i prezzi delle obbligazioni corporate che possono essere acquistate nell’ambito del QE per rendersi conto della follia valutativa indotta dalle banche centrali.

Il fatto che alcuni debitori abbiano il privilegio di emettere titoli idonei ai fini del QE e altri no rappresenta un altro fattore di interferenza con le forze del libero mercato. Il fatto di replicare in maniera passiva una sorta di indice dei corporate bond e quindi effettuare acquisti che riflettono “in modo proporzionale il valore nominale delle obbligazioni ammissibili nell’universo dei titoli idonei ai fini del CSPP “ può essere una scelta che non altera le logiche competitive se ad effettuarla è un investitore privato.

Ma se si muovono decine di miliardi di euro al mese la presunzione di neutralità decade. Perché i debitori in questione sono le grandi “corporations”, già favorite nella UE da un regime fiscale di assoluto favore grazie ai paradisi on-shore. Mentre invece le aziende medio piccole non hanno la possibilità di accedere al nirvana dei tassi negativi e quindi sono sfavorite nel contesto competitivo europeo per un costo del capitale maggiore rispetto a quello delle aziende di maggiori dimensioni che si possono finanziare a tassi quasi nulli. Se poi la BCE, contemporaneamente, riduce con la regolamentazione macro prudenziale le possibilità per il sistema bancario di erogare credito alle PMI, si viene ad accentuare ulteriormente il dualismo tra grandi aziende e il resto del sistema economico.

La politica monetaria ha quindi passato il Rubicone ed ha di fatto assunto con il QE le caratteristiche tipiche della politica fiscale. Questo la rende responsabile nei confronti dei cittadini europei per il modo in cui, in maniera esplicita o implicita, finanzia questo o quel settore economico.

Pertanto, la BCE dovrebbe rispettare le volontà dei cittadini, per come espresse dall’unica Istituzione democratica in grado di raccoglierne e sintetizzarne le indicazioni: il Parlamento europeo. Se il Parlamento europeo delibera per una transizione verso le fonti di energia rinnovabile, la BCE dovrebbe trarne le conseguenze. Si genera infatti il paradosso che il settore delle fonti fossili venga favorito rispetto a quello delle rinnovabili solo perché si è deciso di replicare pedissequamente l’indice delle obbligazioni corporate dove il peso maggiore ce lo hanno i colossi petroliferi.

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