Volontariato
Banalità postmoderna
Il discusso film di Malaponti è una sintesi di convenzioni, un prodotto pensato in fretta, che offende lintelligenza dello spettatore. Bocciato
7 km da gerusalemme
di Claudio Malaponti,
Italia 2006
con Alessandro Haber e Luca Ward
Confesso di non aver visto il primo lungometraggio di Claudio Malaponti intitolato La grande prugna ed uscito nel 1999. Dico anche subito che dopo aver ?prestato? ben 108 minuti del mio tempo al suo secondo film, 7 km da Gerusalemme, non mi affretterò in sala per un eventuale terzo. Perché non c?è come non rispettare l?intelligenza dello spettatore per irritarlo. E non c?è rispetto se gli si offre un prodotto pensato in fretta e perciò male. Né si capisce la premura: la storia dello spirito è piuttosto millenaria e avrebbe potuto aspettare ancora qualche po? per poter essere ri-raccontata in salsa – come si dice nel film – ?postmoderna?.
Vizietto facile facile, slogan da pubblicitario verrebbe da dire… se non fosse che il protagonista è appunto un pubblicitario in preda, non si capisce bene perché, a misticheggianti quanto ?astratti furori?. Che prendono corpo in un viaggio in Terrasanta, dove sulla strada per Emmaus il nostro quarantenne incontra appunto Gesù. Ovviamente un Cristo che è una citazione piuttosto furbetta (se no che postmodernismo sarebbe?). Occhio verde profondo, barba irregolare al punto giusto, tuniche ?comme il faut?: una sintesi insomma dell?iconografia corrente e più popolare, che – colmo dei colmi – parla come leggendo un bigino. Indicazioni spicciole un po? per tutti. Per l?amica malata e ovviamente moribonda lasciata in Italia. Per il cliente ricco, ateo ma molto buono, che da anni sta fedelmente accanto alla moglie paralizzata. Per l?amico impoverito che perde la casa (e non troverà uno straccio di prestito). Per la star tivù più stupida del mondo, che invita la poetessa in studio e le legge le proprie composizioni. E ovviamente per lui, il quarantenne separato dalla moglie. Piccole, chiamiamole così, perle di saggezza a buon mercato con un retrogusto convenzionale, davvero poco riflessivo e annacquato da uno sguardo furbo rivolto all?attualità.
La sceneggiatura del resto lo conferma: gli episodi si dispongono l?uno accanto all?altro come le nuvolette del Paradiso dei fumetti: su ciascuna sta un personaggio, il quale trascina la pellicola verso una sua propria direzione. La malattia come prova, la famiglia come rifugio, la vacuità come condizione necessaria anzi indispensabile per il successo, l?amicizia che non è più quella di un tempo, signora mia?
Quanto alla realizzazione, qualche momento interessante lo nota. In particolare per la fotografia, in alcuni momenti davvero discreta, e per la scenografia. E la regia? Stava dietro le quinte: io non l?ho vista…
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