Famiglia

Bambini,vi racconto i miei amici curdi

Chi è il maestro che ha interrotto l’occupazione del consolato greco di Milano

di Cristina Giudici

Quando è tornato a scuola, i suoi bambini lo hanno accolto con grida e applausi. Lo avevano visto tutti, nel telegiornale della sera prima, mentre cercava di convincere i curdi a lasciare il Consolato greco di via Turati, occupato il 16 febbraio di Milano. Ma lui, Paolo Limonta, non è un eroe; è solo un maestro della scuola elementare di Cascina Robbiolo, in provincia di Milano, uno che, come dice lui, è nato dalla parte sbagliata, nell?Occidente ricco e indifferente che se ne frega della diaspora del popolo curdo. Alto e grosso, un ciondolo africano al collo, ricordo di un amico senegalese, e un paio di occhi scuri come quelli dei suoi amici che si sono asserragliati in via Turati minacciando di immolarsi per il loro leader, Abdullah Ocalan, Paolo Limonta non si sente un protagonista né pensa di aver fatto nulla di eccezionale. «Ero ritenuto l?interlocutore ideale» «Mi hanno chiamato dalla Questura di Milano mentre ero in classe perché sapevano che i curdi mi considerano uno di loro, una specie di interlocutore naturale. Sì, perché io conosco la loro disperazione e la loro storia, condivido la loro lotta da più di dieci anni e quando arrivano qui a Milano in cerca di asilo, li aiuto come posso», racconta Paolo Limonta. «La tragedia del popolo curdo è questione che riguarda tutti, italiani ed europei. Quando è scoppiata la guerra nel Golfo, all?inizio del 1991, ho sentito che fra i Paesi medioorientali e l?Occidente si stava aprendo un divario incolmabile, eppure questi Paesi sono qui dietro l?angolo e il giorno in cui i conflitti si allargheranno le conseguenze si ripercuoteranno in Italia, non certo a Washington». Ma per Paolo Limonta, i curdi non sono solo una questione di priorità internazionale o di simpatia ideologica. Si tratta di qualcosa che è scritto nel suo Dna, qualcosa che ha più a vedere col cuore che con la ragione, un cuore che lo porta sempre a sposare le cause perse e a guardare là dove nessuno volge lo sguardo. Sarà per questo che in tutti questi anni si è battuto per difendere i diritti dei bambini Sì, i curdi ha cominciato a conoscerli proprio a causa del suo amore ai bambini, quelli del suo quartiere ma anche quelli lontani. Fu a causa delle migliaia di piccole vittime dell?embargo in Iraq, bambini che si spegnevano a causa della mancanza di medicine, cure e alimenti, che la sua vita cambiò. «Nel ?94 mi sono licenziato per fare il coordinatore volontario del progetto ?Un ponte per Baghdad?, per portare in Italia bambini che non potevano essere curati in Iraq. Sono stato negli ospedali pediatrici a Bagdad e ho visto la disperazione dei medici che dovevano scegliere quali bambini lasciar morire e quali far sopravvivere perché non c?erano medicine per tutti. I genitori erano così disperati dalla mancanza di cibo che ogni sera mettevano i loro figli in castigo, a letto senza cena, perché non avevano il coraggio di confessare di non avere cibo per sfamarli. E così sono cresciuti col senso di colpa, senza mai sapere cosa diavolo avevano combinato per continuare a ricevere punizioni». Per Limonta il volto della miseria e dello sfruttamento, della guerra e dell?oppressione, è il volto dei tanti bambini con cui ha giocato ogni volta che ha potuto, e di quelli che ha cercato di salvare ogni volta che gli è stato possibile. Nei villaggi indigeni nel Sud del Messico, in Chiapas, dove i bambini crescono con il ventre gonfio e la paura dei militari. O in Palestina, dove bambini di 11 anni si alzano all?alba per aver il tempo necessario di superare dieci posti blocco e raggiungere il lavoro, a Gerusalemme. In balia degli umori dei soldati israeliani. E ancora a Milano, dove Limonta ha portato Kaed, un bimbo di sette anni, per farlo operare alla laringe. «Eravamo inseparabili», ricorda il maestro elementare, «Ci siamo incontrati per la prima volta a Baghdad, appena mi ha visto mi è saltato in braccio e non mi ha lasciato più, fino alla sua guarigione. Ogni pomeriggio lo andavo a trovare all?ospedale Niguarda. Non dienticherò mai il nostro ultimo incontro. Kaed era venuto in Italia per un controllo ed è venuto a cercarmi a una festa dove mi trovavo. Improvvisamente dalla folla è spuntato un bimbetto dai capelli biondi e gli occhi scuri, che mi è saltato al collo. Un?emozione tremenda. Ora è tornato a casa, ogni tanto ci parliamo per telefono, so che sta crescendo bene. Per me lui rappresenta la speranza di un mondo migliore. E la dimostrazione che, attraverso la solidarietà, si può resistere alle peggiori infamie della storia». «Il tempo libero? Lo passo a scuola» Ma la passione del maestro non si limita ai bambini massacrati dall?embargo e dilaniati dalle mine, il suo amore non è solo per quei bambini cresciuti troppo in fretta perchè nati nel Paese sbagliato. «Forse perché più conosco gli uomini e più amo le bestie», dice ridendo, «e i bambini sono quelli che più assomigliano agli animali, sono istintivi ancora puri». Sarà per questo che il maestro, quarantenne, sposato con Barbara e militante di Rifondazione Comunista, passa la maggior parte del suo tempo libero nella scuola dove insegna a giocare a nascondino e a sparviero con i suoi alunni o a narrare racconti di mondi dove i bambini non hanno medicine per curarsi e, quando ridono, hanno sempre gli occhi tristi. «Insegno le materie umanistiche in una scuola elementare solo da tre anni, ma penso che sia sempre stato il mio destino. I bimbi sono veramente geniali. Da loro imparo cose nuove ogni giorno. L?anno scorso, per esempio, stavamo studiando la Mesopotamia e i miei alunni hanno scoperto che fra i Tigre e l?Eufrate c?è l?Iraq, e siccome molti guardano i telegiornali, hanno voluto sapere tutto di quel Paese di cui si parla spesso. Il giorno dopo un mio alunno mi ha preso da parte e mi ha detto che voleva dirmi un segreto. Mi ha sussurrato: ?Sai, secondo me il problema dell?Iraq c?entra con il sesso di Clinton?. I miei bambini sono così: grandi e piccoli allo stesso tempo, straordinari e semplici. E soprattutto stanno sempre dalla parte dei vinti. Ecco perché mi piacciono tanto». alla parte dei vinti «Adesso io e mia moglie abbiamo deciso di adottare un bambino, dell?Europa dell?Est, forse dalla Romania. Perché mettere al mondo un bambino, quando ci sono migliaia di bambini rinchiusi in orfanotrofi lager che hanno bisogno di un paio di genitori?» Allora forse per Limonta e sua moglie non ci saranno più assemblee con i curdi sette giorni su sette. Ci saranno meno viaggi in Palestina e in Chiapas, e non sarà così semplice uscire nel cuore del notte per andare incontro a una delle tante cause perse. «Forse», dice sorridendo. «Ma sono sicuro che se un giorno dovrò decidere se portare mio figlio al cinema o al consolato occupato dai curdi, lo porterò al consolato. Ma siccome anche la politica ha un limite, se poi dovrò decidere se portarlo a un?assemblea o al cinema, può star certa che lo porterò al cinema». Amnesty e Ics: facciamo pressioni sui turchi L?arresto di Ocalan ha provocato immediate reazioni nel Terzo settore italiano, preoccupate che il leader curdo abbia un processo equo. Daniele Scaglione, presidente della sezione italiana di Amnesty International, lancia un appello: «Ocalan, come qualsiasi altra persona che finisce nelle mani delle forze di sicurezza turche, rischia una serie di maltrattamenti, torture e interrogatori iniqui. Perché in Turchia – dove lo scorso anno sono morte in carcere almeno dieci persone a seguito di abusi – la pratica della tortura è molto diffusa, e riguarda anche i bambini. Simbolico il caso di una ragazzina di 12 anni, arrestata per il sospetto furto di un po? di pane, che è stata ?trattata? con la corrente elettrica». La speranza, secondo Amnesty, che ha già inviato una richiesta alle autorità di Ankara perché Ocalan abbia la possibilità di parlare con un avvocato di sua scelta, è che la forte pressione internazionale faccia da scudo al leader curdo. Più orientato verso la sorte del popolo curdo, è, invece, l?appello lanciato dal Consorzio italiano di solidarietà (Ics) che, nelle parole del presidente Giulio Marcon, «s?impegna ad appoggiare tutte le iniziative per premere sui governi europei affinché chiedano al governo della Turchia di non perpetrare altre violazioni sui curdi». Si calcola che i curdi, popolo privato di una patria e il cui territorio è diviso fra Turchia, Iraq, Iran e Siria, siano circa 40 milioni. Difficile dare un?esatta dimensione della loro presenza in Italia. Il Rapporto ?98 sull?immigrazione prodotto dalla Caritas di Roma azzarda solo un paio di proiezioni: da un lato sui richiedenti asilo nel 1997, incrementati del 176,6% rispetto al 1996, probabilmente anche a seguito dell?aumento di profughi curdi iracheni (notificati attorno alle 300 unità), ma anche turchi (meno di 100); dall?altro lato, sul numero dei respingimenti, che nell?ultimo biennio hanno riguardato sia Turchia (in totale circa 2.700) che Iraq (oltre i 3.500). Kaed “Aveva sette anni,l?ho portato in Italia per farlo operare alla laringe. E ora è tornato a casa, in Iraq, guarito” A Baghdad “Sono stato in Iraq, ho visto morire i bambini iracheni.Lì ho imparato ad amare anche i curdi” La scuola “Insegno alle elementari solo da tre anni,ma ho capito che il mio destino è sempre stato qui” Un figlio “Ora ho deciso di adottare un bambino rumeno. Avrò qualcuno che mi seguirà nelle mie battaglie”


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