Educazione

Bambini stranieri: solo l’80% frequenta la scuola dell’infanzia

Solo 80 bambini stranieri su cento frequentano la scuola dell’infanzia contro i 95 italiani. I minori stranieri sono infatti il 14% dei residenti tra i tre e cinque anni, ma rappresentano solo l’11,7% degli iscritti all’istruzione pre-scolare con un divario di oltre 2 punti percentuali

di Alice Rimoldi

Solo 80 bambini stranieri su cento frequentano la scuola dell’infanzia contro i 95 italiani. In media in Italia il 92,7% della popolazione nella fascia 3-5 anni si avvale di questo livello di istruzione. Tra i bambini di queste età residenti in Italia il 14% ha origini straniere, ma nella scuola materna i non italiani sono solo l’11,7%. Questi sono solo alcuni dati dell’analisi pubblicata sul portale di Openpolis sull’inclusione scolastica dei minori stranieri nei primi anni di vita.

L’importanza di questo livello d’istruzione è attestata dall’obiettivo posto dall’Unione Europea: per il 2030 si vuole raggiungere la frequenza da parte del 96% dei bambini nella fascia d’età 3-5 anni.

Perché la scuola dell’infanzia è importante

Il periodo in cui iniziano a svilupparsi le competenze linguistiche e la percezione di sé e dell’altro è quello tra i 3 e i 6 anni. A quest’età i bambini imparano a padroneggiare la parola, a disegnare oggetti riconoscibili, a condividere oggetti ed esperienze con gli altri. È un tratto distintivo dell’essere umano apprendere in itinere, mettendosi in gioco nell’interazione con l’altro. Dal punto di vista linguistico appare evidente nel momento in cui si apprende un nuovo idioma, da qui l’enfasi sempre posta sull’importanza dello strumento del dialogo e delle esperienze all’estero.

È nella relazione con altri bambini e con adulti esterni al proprio nucleo familiare che si sviluppano le competenze emotive e sociali, si impara a relazionarsi con pari e non, si apprendono le regole scritte e non scritte di una comunità. 


Ciò ha ancora più importanza per chi si trova a dover assimilare più lingue, e in alcuni casi più culture, contemporaneamente. La mancata frequentazione della scuola dell’infanzia incide non solo sull’istruzione, ma anche sulle esperienze sociali quindi. In termini didattici le difficoltà maggiori, una volta approdati alla scuola primaria, sarebbero in ambito linguistico e non tanto in materie come matematica o scienze, di cui si pongono solo le basi, in modo variabile tra gli istituti. Parlare è invece un’azione necessaria per la socialità, come tale si apprende anche in modo collaterale e si affina con l’uso. 

I dati

Gli anni della pre-primaria sono anche quelli in cui quindi si stabiliscono le prime relazioni esterne al nucleo familiare, si stringono amicizie e si apprendono le convenzioni sociali. 

Una mancata frequentazione di questo livello di istruzione crea quindi gap in termini didattici e di integrazione linguistica e sociale, come emerge dai dati Istat. Degli intervistati si dichiaravano “non molto bravi a scuola” il 4,4% degli italiani e il 7,7% degli stranieri. Tra i ragazzi ammettevano di non vedere amici al di fuori della scuola l’1,5% dei giovani italiani e il 4,9% degli stranieri.

Osservando i dati si nota anche come, nella maggior parte dei casi, ad una bassa frequenza prescolare dei bambini stranieri corrisponda poi un’altra percentuale di ragazzi con carenze alfabetiche, emerse nelle prove Invalsi di terza media. Prendiamo ad esempio Prato: qui i bambini stranieri tra 3 e 5 anni sono il 32,7% della popolazione in quella fascia d’età, ma solo il 25,6% degli iscritti alla scuola dell’infanzia. L’inadeguatezza delle competenze linguistiche mostrata nelle prove Invalsi al termine della secondaria del primo grado è qui del 46,5%, superiore alla media nazionale del 38,6%. Casi simili con La Spezia, Parma, Livorno, Latina e Pavia.

Di contro nelle provincie di Pordenone, Cremona, Trento, Aosta e Ravenna, dove la frequenza della scuola dell’infanzia si attesta a livelli più alti anche tra i bambini stranieri, le quote di insufficienza linguistica nelle prove Invalsi scendono sotto la media nazionale. 

Il periodo dai 3 ai 5 anni è un momento complesso e pieno di competenze da apprendere per ogni bambino. Imparare a stare insieme è una di queste, così come parlare, conoscere realtà nuove e rispettare il mondo che lo circonda. Proprio per questo l’istruzione prescolare ha una grande rilevanza nella formazione degli adulti di domani, così come evidenziano le indicazioni nazionali, che pongono come obiettivi l’apprendimento delle prime competenze, lo sviluppo dell’autonomia e dell’identità, ma anche l’esperienza della cittadinanza. Perché lo scopo della scuola non è solo la formazione di adulti competenti, ma di “cittadini del mondo”.

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