Famiglia
Bambini stranieri in Italia: sei pregiudizi che cadono
Il primo rapporto congiunto Unicef-Caritas sfata sei luoghi comuni sull'infanzia straniera in Italia
di Redazione
E’ stato presentato oggi a Roma il primo rapporto su bambini e adolescenti di origine straniera in Italia realizzato in maniera congiunta da Unicef Italia e Caritas Italiana.
L’idea nasce dall’esigenza di pubblicare un rapporto non governativo, in grado di analizzare il vissuto reale dei bambini stranieri nel nostro paese. Secondo le intenzioni degli enti promotori, l’esperienza non dovrebbe limitarsi ad un primo e unico Rapporto: si prevede infatti la pubblicazione congiunta di ulteriori Rapporti periodici sull’infanzia straniera in Italia. Questo primo Rapporto si è concentrato su cinque aree tematiche:
– la presenza di minori stranieri in Italia (a cura di Idos-Dossier Statistico Caritas/Migrantes);
– l’integrazione sociale e la devianza (a cura di Caritas Italiana);
– l’inserimento scolastico, la formazione professionale e la dimensione della famiglia (a cura dell’Unicef Italia).
Secondo la stima del Dossier Statistico Immigrazione di Caritas/Migrantes, i minori stranieri presenti in Italia all’inizio del 2005 sono 491.000. Tra questi, figurano 29.000 nuovi ingressi di minori per motivi familiari e altri 48.000 bambini stranieri nuovi nati in Italia. I minori stranieri rappresentano il 17,6% della popolazione straniera complessiva. Si tratta di un’incidenza superiore di due punti percentuali rispetto a quella (15,6%) ottenuta, attraverso stime analoghe, per il 2003, quando si era calcolato che i minori stranieri fossero circa 404.000. Tutte le regioni del Nord ovest (ad eccezione della Liguria) e del Nord est (ad eccezione del Friuli Venezia Giulia) presentano incidenze superiori alla media nazionale, quasi sempre intorno al 19%, con punte del 22% in Veneto.
Proprio a partire dai dati presentati in questo rapporto ?Uscire dall’invisibilità: bambini e adolescenti di origine straniera in Italia? cerchiamo di sfatare alcuni luoghi comuni, alcuni stereotipi, nell’ottica dell’individuazione di interventi culturali, relazionali, legislativi ed educativi appropriati e innovativi in ambito ecclesiale e civile, che considerino l’infanzia straniera e italiana in modo costante, integrato e organico.
1° stereotipo
I bambini stranieri non ?nascono già malati? e non costituiscono un pericolo per la salute dei bambini italiani; il rischio di contrarre dopo la nascita ?malattie causate da situazioni di povertà? è comunque più elevato rispetto ai coetanei italiani.
Dai dati disponibili, si rileva una condizione di salute alla nascita poco negativa rispetto a quella degli italiani. Non sembra infatti più rilevabile il forte gap di salute alla nascita, registrabile fino a pochi anni fa.
2° stereotipo
Non è vero che i bambini stranieri non vanno dal pediatra di base perché ?sono tutti irregolari? ma perché ?pagano? le abitudini culturali della famiglia di origine. Per quanto riguarda l’assistenza sanitaria infatti i bambini stranieri non frequentano in modo soddisfacente il pediatra di libera scelta. Secondo i dati Ismu (Istituto per gli Studi sulla Multietnicità di Milano) solo il 41% degli immigrati regolari con figli al seguito si rivolge al pediatra di base; nel caso degli immigrati irregolari la percentuale di fruizione si abbassa all’1,1% nel caso dei padri e al 9,7% nel caso delle madri intervistate. A questo riguardo, i bambini stranieri pagano le abitudini culturali dei genitori, dato che molti immigrati sono abituati a rivolgersi ai servizi sanitari solo in caso di emergenza e non conoscono il concetto di prevenzione sanitaria.
3° stereotipo
Non è vero che le ?corsie agevolate? di accesso hanno determinato un afflusso privilegiato di bambini stranieri agli asili-nido comunali e statali: la lista di attesa, la rigidità degli orari, le modalità di iscrizione e le difficoltà lavorative e burocratiche di molte famiglie straniere determinano comunque difficoltà nell’iscrizione all’asilo-nido, con tutti i problemi di accudimento facilmente immaginabili. Anche dopo i tre anni, quando i problemi di accesso dovrebbero essere superati, non tutte le famiglie straniere riescono a mandare i bambini alla Scuola dell’Infanzia. Tuttavia l’incidenza dei bambini stranieri nelle scuole dell’infanzia è passata dall’1,26% del 1997/98 al 4,58% del 2004/05 per una media finale di un bambino straniero ogni 22 bambini iscritti in scuole dell’infanzia statali o paritarie che equivale ad un bambino straniero in ogni sezione di scuola dell’infanzia. Una tendenza in linea con quella degli altri ordini di scuola.
4° stereotipo
Le difficoltà di incontro e scambio tra famiglie italiane e straniere non sono sempre riconducibili alla presenza di barriere culturali: in molti casi, la situazione di disagio economico della famiglie straniere ostacola la frequentazione. Come ricambiare un regalo ricevuto o una festa di compleanno in casa di un compagno di classe italiano quando si vive in un monolocale seminterrato? In base a studi condotti in sede locale, la maggioranza delle famiglie straniere cerca al proprio interno le risorse in grado di fronteggiare eventuali emergenze, ma lo scarso peso delle relazioni interetniche e tra famiglie determina spesso l’incapacità di risolvere alcuni problemi pratici e urgenti. Scarso il ricorso all’affidamento familiare per i minori stranieri, che in Italia non è mai veramente decollato: i minorenni di nazionalità non italiana rappresentavano nel 2000 l’11% degli affidamenti eterofamiliari (cioè a non parenti), e soltanto il 2,2% degli affidamenti intrafamiliari ( cioè a nuclei di parenti).
5° stereotipo
Non tutti i bambini stranieri che nascono in Italia ci rimangono. Per i ragazzi stranieri, l’Italia non è così accogliente come si potrebbe pensare: in molti casi, le difficoltà di accudimento e di inserimento possono spingere le famiglie ad inviare il figlio nel paese di origine, e non sempre per motivi di incompatibilità culturale con la società italiana.
6° stereotipo
Non è assodato che l’Italia conoscerà gli stessi fenomeni di devianza delle seconde generazioni di immigrati registrabili in altri paesi europei (vedi recenti episodi di violenza nelle banlieues francesi). Innanzitutto la scarsa incidenza di devianza tra gli adolescenti stranieri che vivono in famiglia è riconducibile anche alla relativa novità della presenza di famiglie immigrate con minori al seguito e il conseguente sottodimensionamento della componente adolescenziale. Al Censimento Istat del 2001, l’incidenza complessiva dei minori è risultata pari al 21,3% della popolazione straniera censita, dei quali solo il 12,8% ha un’età compresa tra 15 e 18 anni. A livello di intervento pubblico nel settore della Giustizia minorile è segnalabile una diffusa tendenza alla riduzione della presa in carico dei minorenni extracomunitari. Tale fenomeno è riconducibile ad una serie di difficoltà oggettive, tra cui l’assenza di abitazione, di una famiglia e di una rete di riferimento stabile nel territorio, che rendono difficoltosa l’impostazione di un programma partecipato di reinserimento sociale del minore.
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